lunedì 30 marzo 2009

Paesaggio veneto addio, arrivano i capannoni

Paesaggio veneto addio, arrivano i capannoni
Gianni Sandon
Il Mattino di Padova 29/03/2009

Con la pronuncia del Consiglio di Stato, la vicenda deve considerarsi purtroppo conclusa. La Regione si è ben comportata, hanno sentenziato Tar e Consiglio di Stato. Critiche alle sentenze a parte, quello che si vede a Gazzo si può dunque considerare un caso esemplare di «tutela del paesaggio» alla veneta. Da esserne fieri! In gioco c’era la tutela del contesto di un pregevole edificio alla periferia di Villalta, frazione di Gazzo, nell’area cosiddetta dei «prati stabili». Con una delibera ancora del 1997 la Giunta regionale aveva imposto al Comune di cancellare dal suo Prg la previsione di far avanzare la confinante zona produttiva fino ad invadere questo contesto. Ma il Comune ripropone l’operazione nel 2003 (da manuale anche questo accanimento degli amministratori locali contro il proprio territorio). La Regione replica richiamando le sue prescrizioni del ’97 e ribadisce di volerle mantenere, anzi rafforzare. E cosa decide? Elabora uno specifico «schema distributivo» con cui precisa dettagliatamente gli interventi consentiti. Ed eccolo il capolavoro di coerenza e di sensibilità paesaggistica: il modo migliore per valorizzare il contesto storico-ambientale dell’edificio in questione è per la Regione quello di costruirci proprio davanti due mega capannoni: uno lungo 130 metri e largo 20 (già costruito come si vede nella foto a destra), l’altro di quasi 100x100 (dovrà sorgere dall’altra parte della stradina che compare nelle due foto). Un’altra decina di capannoni sono previsti a fianco e sul retro dell’edificio. Il risultato paesaggistico dell’operazione comincia ad essere sotto gli occhi di tutti. Evidentemente Tar e Consiglio di Stato, non rilevando alcuna contraddittorietà nel comportamento della Regione, hanno ritenuto che ormai nel Veneto il paesaggio si tutela così! Lo teorizza del resto lo stesso Galan: in una dichiarazione al Giornale dell’Arte, che aveva documentato il disastro paesaggistico veneto, il governatore ammette: «Mi ha sempre impressionato che quasi tutto sia stato costruito con carte e timbri in ordine. Comuni, Regione, Parchi, Soprintendenza. Tutto regolare, ma il misfatto c’è». Appunto! Addirittura, in questo caso di Gazzo, con le delibere del 1997 e del 2003 che portano la sua firma!

sabato 28 marzo 2009

Dietro le case popolari spunta il muro di Teodorico

Dietro le case popolari spunta il muro di Teodorico
Camilla Bertoni
Corriere del Veneto - VERONA - 2009-03-28

La scoperta Alto San Nazaro, durante i lavori al complesso per trasformarlo in residenze di lusso

Le ruspe sono al lavoro da gennaio nel borgo di Alto San Nazaro, nato nel 1887 per conto della Società Anonima Cooperativa Edificatrice di Case Operaie, come borgo popolare destinato agli operai al lavoro nelle fabbriche di Veronetta.

Il complesso è destinato ora a diventare nucleo residenziale di lusso. Da molti anni in abbandono, abitato abusivamente e in rovina, il borgo, originariamente chiamato Quartiere XVI ottobre, è collocato a ridosso delle mura scaligere, in alto sulla collina che domina via San Nazaro, dalla quale è raggiungibile attraverso una lunga e scenografica scalinata concepita contestualmente alla sua realizzazione. Oltre alla vista mozzafiato sulla città, l'area edificata nasconde anche altro un gioiello: un tratto di mura di cinta della città, in conci di tufo, di età precomunale, forse addirittura risalente al regno di Teodorico, che chiude sul retro il terreno di pertinenza. Il muro corre parallelo alle mura scaligere, qualche metro più internamente alla città, e versa in condizione di grave degrado. Per questo la direzione lavori della Protec, impresa che sta eseguendo la ristrutturazione delle case di Alto San Nazaro, vincolate dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici, ha chiesto la supervisione della Soprintendenza ai Beni Archeologici per procedere al restauro e al consolidamento del tratto di mura, già in passato in parte crollato. Frequenti sono infatti i punti critici dove mancano conci, mentre il profilo denota un forte incurvamento.
La soprintendenza ha già fatto i primi sopralluoghi e l'impresa è in attesa di indicazioni. Dopo che Teodorico fu signore di Verona, installandovi il suo famoso palazzo, fortificando e arricchendo la città di chiese ed edifici, Verona divenne longobarda sotto Alboino nel 568, e le sue possenti mura contavano allora quarantotto torri. Tratti dell'antica cinta sono visibili in vari punti della città, anche poco sotto l'area di Alto San Nazaro, nella porta Organa.
Solo in parte rimasto di proprietà dell'Ater, il complesso di Alto San Nazaro è di proprietà privata, e prevederà anche la realizzazione di impianti sportivi.

martedì 17 marzo 2009

«Venezia, hai forze per risorgere»

«Venezia, hai forze per risorgere»
A colloquio con lo storico Alvise Zorzi.
Claudio Pasqualetto
Il Sole 24 Ore, 29-SET-2006

Contro il declino le proposte. A colloquio con lo storico Alvise Zorzi, vincitore del prestigioso Premio Masi: tutti devono reagire alla monocultura turistica che sta uccidendo la città

Apocalisse, funerale, bancarotta. Non s'è lesinato sui termini per raccontare nelle ultime settimane il disagio di una Venezia sempre più incapace di reagire a una monocultura turistica che lentamente la sta soffocando, ma soprattutto di tornare a pensare in grande.
Alvise Zorzi, 84 anni, saggista e storico di Venezia con oltre una dozzina di volumi pubblicati, premiato in questi giorni per la sua attività con il Grosso veneziano, il più prestigioso riconoscimento della Fondazione Masi, condivide, sia pure in termini non così ultimativi, la preoccupazione.
Zorzi, ma che Venezia è quella di oggi?
“Questa purtroppo è una Venezia che non è più quella che abbiamo conosciuto e amato, è una Venezia iperturisticizzata in cui la maggioranza delle persone che trovi per strada sono turisti dall'aria dispersa, attratti da questo mito immortale ma che forse non sanno bene cosa cercano.”
Chi lavora o ha lavorato a rendere mortale il mito? Cesare De Michelis recentemente ha denunciato una gestione fallimentare della città causata dalla mancanza di una classe dirigente sia politica che imprenditoriale e culturale...
“Questo è vero. È un processo cominciato molto tempo fa e che si è accentuato recentemente. Manca effettivamente un'energia propulsiva, anche se esiste un sedimento che potrebbe dare buoni frutti. Non va dimenticato comunque il problema della trasformazione della città, da residenziale a regno delle seconde case.
Ma c'è anche la trasformazione di palazzi in alberghi, di appartamenti in B&B. Tutto contribuisce a uno spopolamento della città che, secondo un calcolo matematico, proseguendo a questi ritmi nel 2030 non avrebbe più un solo veneziano.
Un nocciolo duro di veneziani resiste. È vero però che la monocultura turistica regna sovrana snaturando la città.”
Ci sono soluzioni?
“Non si possono tirare fuori così dal cappello. Ci sarebbero state se non si fosse incoraggiato imprudentemente negli anni 50 il trasferimento in massa in terraferma. Ma è mancata anche una seria politica per la casa. Ha ragione De Michelis, anche quando denuncia la mancanza di una classe imprenditoriale con delle idee, come è stata quella dei Volpi, dei Cini, dei Gaggia che hanno fatto tanti guai con Porto Marghera, ma hanno anche rivitalizzato la città con molte altre iniziative.”
Gli albergatori hanno denunciato una visione pubblica sempre più miope, la mancanza di grandi mostre, la concentrazione dei grandi eventi internazionali in un paio di settimane.
“Più che alle mostre bisognerebbe pensare a una valorizzazione globale del patrimonio di Venezia. Purtroppo qui nessuno ha mai spiegato a chi viene che cosa c'è veramente da vedere, così tutti i turisti bighellonano da Rialto a San Marco e non s'accorgono degli enormi giacimenti che ci sono nel resto della città. Venezia potrebbe essere un grande museo ma inteso in senso moderno, vivo, fatto di itinerari e shopping, in cui uno si sente parte di qualche cosa.”
Renzo Piano ha rilanciato la proposta di fare di Venezia una fabbrica delle idee. Non le sembra che il problema sia piuttosto trovare chi realizza idee, che finora non sono mai mancate?
“Occorre fare un minimo di ordine e di chiarezza. Tanto per stare nell'architettura, Venezia ha rifiutato scioccamente alcuni interventi di grandi architetti ma ha accettato costruzioni assolutamente minori e deturpanti.”
C'è stato un tentativo di far cassa anche attraverso un brand, un marchio di Venezia che Arrigo Cipriani ha definito un "fregio della decadenza".
“Il marchio è una scemenza, oltretutto brutto. Venezia non ne ha bisogno, basta che qualcuno pensi a valorizzare le sue risorse.”
Lei è anche presidente dei Comitati privati internazionali che da anni sostengono finanziariamente il restauro della città e la sua salvaguardia. Quale immagine ha la città nel mondo e in particolare come si vivono le discussioni sul progetto Mose?
“Ci sono molte cose che non vengono capite. In primo luogo perché lo Stato italiano ha sempre disprezzato i beni culturali e lesinato i fondi che li riguardano. È scandaloso che alla sovrintendenza ai Beni di Venezia, che tutela uno dei patrimoni più grandi al mondo, lavorino poche persone, contro le decine che affollano sovrintendenze di secondo piano al Sud o le otto direzioni generali del ministero. Anche sul Mose non si capisce perché non si vuoi far nulla in attesa di alternative che non sembrano esistere: le proposte fatte fin qui sono assolutamente inconsistenti. Si faccia il Mose e si ponga fine all'attuale fiera delle contraddizioni.”

IL PREMIO MASI
Alvise Zorzi riceverà domani il Grosso d'oro veneziano, il più importante tra i premi Masi. Il riconoscimento gli verrà consegnato nella Pieve longobarda di San Giorgio di Valpolicella. Gli altri riconoscimenti di questa 25a edizione sono i seguenti: il Premio Masi per la Civiltà veneta a Pino Castagna, scultore e ceramista, a Paolo Biasi per la Fondazione CariVerona, a Cesare De Michelis per la Marsilio Editori; il Premio Masi per la civiltà del vino ad Antonio Cartoccio, ristoratore 'ambasciatore" del vino e del cibo italiano nel mondo anglosassone. Presidente della Fondazione che assegna il premio Masi è Demetrio Volcic.

lunedì 16 marzo 2009

Cercasi archeologo per il cantiere Usa

Cercasi archeologo per il cantiere Usa
Gian Marco Mancassola
Il Giornale di Vicenza 16/03/2009

Cercasi archeologo per sorvegliare gli scavi della nuova base Usa. La notizia sta rimbalzando via telefono e via fax da Roma a Vicenza. Se ne sono interessati i committenti del cantiere, vale a dire i vertici militari statunitensi, la Sovrintendenza ai Beni archeologici e il ministero per i Beni culturali. In settimana dovrebbe essere formalizzato l'incarico a un esperto, scelto da una rosa di nomi estratti dal mondo universitario e da società di consulenza, ricerca e analisi. ANTICI RESTI. Obiettivo principale è monitorare i lavori della Ederle 2, per segnalare eventuali rinvenimenti di interesse storico o artistico. In particolare, c'è la concreta possibilità che da quelle parti transitasse l'acquedotto di epoca romana che pescando dalle risorgive a nord del capoluogo alimentava la cittadella romana circoscritta nell'attuale centro storico. LA SEGNALAZIONE. È di circa un mese la scoperta di alcune vecchie fotografie scattate all'interno del Dal Molin nelle quali sono ritratti frammenti dell'antico acquedotto. Latore della segnalazione era Maria- no Arcaro, uno dei massimi esperti dell'acquedotto romano vicentino. Le foto sono inserite in un volume scritto nel 2005 dal maggiore Vincenzo Riccardi, per celebrare la presenza del 2T Gruppo del Genio campale all'interno dell'aeroporto militare di Vicenza. Le immagini, risalenti a dieci anni prima, confermano il ritrovamento di una colonna «nella zona interposta tra l'officina demaniale e la recinzione perimetrale», effettuato durante gli scavi per la sistemazione dellaviabilitàdi servizio. Nella documentazione c'è un riferimento anche alla Soprintendenza archeologica di Padova, che «successivamente disporrà di ricoprire il reperto». Un'opera affidata a una colata di asfalto e bitumi. ALTO RISCIO. Nel libello del maggiore Riccardi il sopralluogo degli esperti inviati dalla Sovrintendenza viene spiegato dal «fatto che l'area ove insiste il 2T Gruppo del Genio campale è definito ad alto rischio archeologico . Il destino, quindi, assegna al gruppo una pesantissima eredità. Il 2T non solo deve onorare il ricordo del Re- parto lavori, che gloriosamentehaoperato in tempo di guerra, ma anche quello degli antichi romani». L'ESPOSTO. Copia di tutto il materiale, allegato a un esposto, è stato inviato dal comitato Salviamo l'aeroporto alla Sovrintendenza, al ministero per i Beni culturali, alla procura della Repubblica e persino al critico d'arte Vittorio Sgarbi. La prima conseguenza è che tra febbraio e marzo è stato organizzato un sopralluogo coordinato da studiosi della Sovrintendenza, accompagnati all'interno del settore ovest del Dal MoIm mentre il cantiere della Ederle 2 entrava nel vivo con le prime perforazioni nei terrenidestinati a ospitare gli alloggi dei soldati.

giovedì 12 marzo 2009

Piano casa, il centrodestra accelera Le opposizioni: pronti alle barricate

Piano casa, il centrodestra accelera Le opposizioni: pronti alle barricate
Michela Nicolussi Moro
Corriere del Veneto 12/03/2009

VENEZIA — Maggioranza e opposizione preparano la battaglia in Consiglio regionale per l'approvazione del piano casa, varato martedì dalla giunta. Sta ai capigruppo evitare che il progetto di legge voluto dal governo Berlusconi per rilanciare l'economia e recepito subito dal Veneto non ammuffisca per mesi agli ultimi punti dell'ordine del giorno. Ipotesi che Remo Sernagiotto (Fi) e Piergiorgio Cortelazzo (An) spazzano via: «Già la prossima settimana il testo approderà in commissione Urbanistica, che lo licenzierà nel giro di dieci giorni, ed entro il 10 aprile riceverà il via libera anche dal consiglio. Siamo d'accordo tra capigruppo di centrodestra. In un momento così difficile, tutto quello che serve a rimettere in moto l'edilizia va promosso subito e poi il provvedimento uscito dalla giunta è perfetto: nessuna cementificazione selvaggia». «Non ostacoleremo l'iniziativa del governo — aggiunge Onorio De Boni (Udc) — approveremo il piano prima della campagna elettorale». Cronometro alla mano anche per Nereo Laroni (Nuovo Psi): «Questi dispositivi contingenti o passano subito o non hanno più senso. La crisi c'è adesso perciò il progetto, di qualità, non può aspettare i soliti tempi del consiglio, deve avere la precedenza». L'unica condizione la pone Gianpaolo Bottacin (Lega): «Avanzeremo una proposta per migliorarlo, cioè l'inserimento degli incentivi per chi allarga o riqualifica un immobile».
Il centrodestra appare dunque compatto, ma se davvero punta alla rapida approvazione sarà meglio si presenti in aula al gran completo, perchè il centrosinistra non garantisce certo l'assist. «Presenteremo emendamenti — attacca Giovanni Gallo (Pd) — così com'è, la legge non ci convince. Non contiene la vera novità del piano casa, cioè il finanziamento dell'edilizia residenziale pubblica, necessario ai meno abbienti». «Farò di tutto perchè non passi — incalza Pierangelo Pettenò (Rc) — è un'azione che punta a riempire il Veneto di cemento. E poi, in una regione in cui si stanno cancellando centinaia di posti di lavoro chi ha i soldi, almeno 300 mila euro, per demolire e ricostruire?». Ironico Nicola Atalmi (Pdci): «Gli unici beneficiari saranno gli immigrati impiegati nell'edilizia. Ringraziamo la giunta per la sensibilità, ma se pensa di rilanciare l'economia con la liberalizzazione degli abusi edilizi ci riduce a Paese da Terzo Mondo. Cominciamo invece a ripopolare i centri storici, a restaurare gli alloggi popolari e ad abbassare gli affitti: il problema casa tocca chi non ce l'ha, non chi vuole allargarla. Inoltre gli sconti sugli oneri di urbanizzazione svuoteranno le già povere casse dei Comuni».
Nessun «prego s'accomodi» nemmeno da Gustavo Franchetto, vicecapogruppo del-l'Idv: «No a tutto ciò che significa slalom delle regole. Il piano crea conflitti tra cittadini: ognuno guarderà il proprio, senza considerare eventuali danni al prossimo. Risolviamo piuttosto il problema delle migliaia di appartamenti rimasti invenduti perchè la gente non ce la fa a pagare il mutuo. Diamole i mezzi, con lavori sicuri e stipendi adeguati». Avverte Gianfranco Bettin (Verdi): «Cercheremo di migliorare il dispositivo, che altrimenti bocceremo. Lavoreremo sul ricostruire per riqualificare, ma senza aggiungere altro cemento. Sennò il progetto rischia di essere un'ulteriore facilitazione al saccheggio del territorio ».

«Il Veneto ha già pianificato un'offerta edilizia in eccesso»

«Il Veneto ha già pianificato un'offerta edilizia in eccesso»
Alessandro Zuin
Corriere del Veneto 12/03/2009

VENEZIA — Professor Domenico Patassini, preside della facoltà di Pianificazione del territorio allo Iuav, che impatto potrà avere il Piano casa per l'edilizia?
«È evidente che la legge nasce con un connotato anticiclico. Da un lato si propone di rilanciare i consumi sul versante del bene-casa, dall'altro, per la natura stessa dei lavori che prevede, contiene una forma di sostegno alle imprese del settore. Almeno nelle intenzioni».
Per l'appunto: queste intenzioni potranno trasformarsi concretamente in misure anticrisi?
«Studi aggiornati che ci consentano una valutazione dei benefici purtroppo non ne abbiamo, vedo che il Cresme ha cominciato, per ora, a elaborare delle stime. Dal mio punto di vista, ho una netta sensazione: il rapporto tra ciclo economico e ciclo edilizio, oggi, è molto diverso rispetto agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso».
Secondo il suo giudizio, perché proprio il Veneto e la Sardegna fanno da capofila in Italia?
«Non è un caso. La Sardegna, per dire, viene da una fresca campagna elettorale che si è combattuta proprio su questi temi».
E il Veneto?
«Il Veneto esce da un periodo di transizione dalla vecchia alla nuova legge urbanistica regionale, in cui si sono accumulate migliaia di varianti ai Piani regolatori comunali. Questa corsa alla variante ha creato - e noi allo Iuav lo possiamo dire con cognizione di causa, poiché abbiamo studiato il fenomeno per conto della Regione una situazione di sovradimensionamento e di eccesso di offerta edilizia, già pianificata ».
Questo cosa comporta?
«Potremmo tranquillamente fermarci qui per almeno 5 anni e dichiarare una moratoria, senza che le potenzialità dell'offerta edilizia vengano minimamente intaccate».
Il presidente Galan, illustrando gli obiettivi del progetto di legge, ha indicato due bersagli precisi: la «villettopoli» veneta e i capannoni. Missione possibile?
«La legge ha un suo target ed è probabile che questi siano i segmenti che ne beneficeranno di più. Però, ripeto, parliamo di un settore che già adesso è sopra standard, non siamo certo in una situazione di carenza ».
E nei centri storici?
«In molti centri del Veneto ci sono aree dismesse o in via di dismissione, con cubature spesso notevolissime. Occorre che diventino occasione di riqualificazione per le città, più che di aumento delle volumetrie. Il provvedimento di legge, sotto questo aspetto, andrebbe meglio orientato: se c'è una cosa che non si può e non si deve fare, nei centri storici, è intervenire alla spicciolata. La manutenzione urbana è assolutamente fondamentale e costituirebbe un'opportunità enorme per il mercato ».
Il premier Berlusconi, dal canto suo, ha parlato invece di un'occasione per migliorare la «bruttissima edilizia» degli anni Sessanta. Sul fatto che sia brutta è difficile dissentire.
«Potrei presentare, come molto spesso facciamo a scuola, un corposissimo album degli orrori. Basta girare per la nostra "villettopoli", come la chiama Galan, per rendersene conto. Proprio per questo non vorrei che consentire un'aggiunta del 20 per cento, come prevede la legge, finisse per aggravare la situazione, sommando bruttura a bruttura. Meglio una politica di demolizione e ricostruzione, basata non tanto su incentivi individuali quanto, piuttosto, su programmi di riqualificazione urbana».

mercoledì 11 marzo 2009

I legami Già nel '400 la Serenissima aveva rapporti con il Corno d'Africa

Corriere della Sera 11.3.09
Una mostra a Cà Foscari
I legami Già nel '400 la Serenissima aveva rapporti con il Corno d'Africa
L'influenza Uno sviluppo artistico segnato dai pittori inviati dai Dogi
Il tesoro d'Etiopia
Venezia riscopre l'Impero del Leone con l'arte della Chiesa delle Origini
di Martina Zambon

Esistono mostre atipiche. Come questa che sceglie un versetto del Cantico dei Cantici come titolo, «Nigra sum sed formosa» per invocare la maestosa figura della Regina di Saba, mostra nata e cresciuta all'interno di un ateneo con la collaborazione, però, di una banca. Un tema «di nicchia», l'arte sacra della cristiana Etiopia, presentato da un ologramma come guida, un iPod touch per orientarsi fra manoscritti, reportage filmati, antichi oggetti liturgici. Un viaggio possibile, forse, solo a Venezia, porta misteriosa fra Occidente e Oriente, fra Europa e Africa. Cinque secoli prima che Picasso «scoprisse» lo spigoloso carisma dell'arte africana dipingendo le sue «Demoiselles d'Avignon», il sodalizio commerciale e culturale fra Venezia e l'Etiopia scintillante di icone e croci astili era già consolidato. Ed ecco la prima grande mostra italiana dedicata all'arte millenaria dell'Etiopia. La scelta di ospitarla a Venezia è sembrata naturale, già nel '400 la Serenissima instaurò un rapporto molto solido con il regno che dominava il Corno d'Africa. Tanto da inviare laggiù i suoi pittori che avrebbero impresso un'impronta indelebile allo sviluppo artistico etiope.
L'Etiopia, in cui ancora oggi sussiste una sorta di chiesa delle Origini, degli Apostoli, costituisce un unicum visto che, rapidamente, l'impero del Leone si trovò circondato da popoli islamici. L'esposizione racconta questa storia affascinante a partire dai suoi protagonisti: la Regina di Saba; il re Lalibela (sec. XII-XIII), da cui prende nome la città santa costruita sulle montagne del Lasta, la «Nuova Gerusalemme». E poi ancora, il re Zar'a Yâ'qob che, nel XV secolo, aprì decisamente alle presenze occidentali; il pittore veneziano Nicolò Brancaleon, detto Marqorêwos (Mercurio), documentato alla corte dei re Eskender e Lebna Dengel fra XV e XVI secolo.
Ad accompagnare i visitatori nella mostra allestita a Ca' Foscari sarà il professor Stanislaw Chojnacki, patriarca degli studi moderni sull'arte etiopica, o meglio, sarà il suo ologramma a grandezza naturale. Il filo narrativo parte dal piano terra che avviluppa il visitatore con fotografie, filmati e colonna sonora per arrivare alle acqueforti di Lino Bianchi Barriviera sulle chiese rupestri fatte erigere dal re Lâlibalâ. Scorci e decorazioni di questi edifici sono proiettati sulle pareti delle sale adiacenti al salone d'ingresso, sul cui soffitto, invece, viene proiettato una sorta di rotolo magico. Nella sala di collegamento al piano superiore si incontrano le vetrine con croci astili di squisita fattura. Protagonista indiscusso del secondo salone è il Mappamondo di Fra Mauro, capolavoro cartografico della Biblioteca Marciana, concesso, per la prima volta in prestito esterno.
Dalla cartografia ai libri, il secondo salone si impreziosisce con codici miniati e rotoli magici. Quattro sale contigue allineano decine di icone, per lo più inedite, dal XV al XIX secolo. Un'intera sala è, invece, dedicata a Nikolaus Brancaleon, il pittore veneziano inviato dal doge in Etiopia nell'ultimo scorcio del '400. In mostra il bellissimo dittico del Museo etnologico di Zurigo attribuito alla sua bottega.
Prestiti internazionali prestigiosi resi possibili dalla curatela dei professori Giuseppe Barbieri dell'Università Ca' Foscari di Venezia, Gianfranco Fiaccadori della Statale di Milano, dell'architetto Mario Di Salvo, direttore della Fondazione Montandon di Sierre (Canton Vallese) per una mostra promossa da Università Ca' Foscari di Venezia, Regione Veneto e Banca Popolare FriulAdria-Crédit Agricole che, dopo eventi come Pordenonelegge e altre esposizioni d'arte, si propone come partner continuativo per la fruizione dell'arte secondo un taglio innovativo, quello della multimedialità d'avanguardia.

martedì 10 marzo 2009

IL SUMMANO: IL MONTE SACRO AGLI DEI. IL MISTERO DEI FIORI

IL SUMMANO: IL MONTE SACRO AGLI DEI. IL MISTERO DEI FIORI

Tra i mille segreti e curiosità del Summano, non va scordata l'enorme varietà di fiori, [a tal punto eccezionale che ha mosso e stimolato centinaia di studiosi italiani e stra-• nieri, dal Rinascimento, sino ai giorni nostri. Un solo esempio: in una radura a 600 metri sono state trovate 21 varietà di orchidea, sulle 30 presenti in tutto l'arco alpino. La ricchezza della flora potrebbe essere collegata con i pellegrinaggi per adorare il sacro idolo. La festa del dio Summano (ed esistono confusioni non ancora chiarite con Giove e Plutone) era il 20 di Giugno. Secondo gli storici romani, in quella data, si sacrificava un montone nero, si offrivano libagioni con focacce di farina in forma di ruota e si spandevano semi esotici nel terreno. Queste feste erano le "summanalia". Probabilmente queste sementi sparse dai pellegrini nel loro sacro viaggio verso la cima, trovando un clima estremamente diversificato, si sono riprodotte, perpetrandosi sino ad oggi. I botanici hanno infatti accertato la coesistenza di varie situazioni micro-climatiche nella stesso monte: privo di contrafforti collinari, il Summano è investito dalle correnti calde provenienti da sud, ma anche da quelle fredde da nord che investono la cima. Nello spazio di poche centinaia di metri, si passa dal clima mediterraneo di certe radure, al clima alpino.

Spargimenti di sangue e bruciature d’incensi….

Francesco Rando, che pubblicò "Sulle rive dell'Astico" nel 1958, scrisse ben 10 pagine sul Tempio ( lo disegnò pure), favoleggiandone i riti che lassù si perpetravano, gli odori degli incensi, il brusìo dei pellegrini...Riportiamo qualche passaggio. "Il Summano fu un monte celebratissimo nell'antichità. Venti secoli fa Roma adorava gli idoli; uno dei più famosi lo aveva sul Monte Summano... I romani si recavano in alto numero, al monte Summano, a cercarvi la salute, per la protezione dell'Idolo ch'era sul cocuzzolo del Monte stesso, il Summus Manium, cioè il Sommo degli dei Mani, ossia Plutone, il capo degli dei dell'Infero. Il monte era adornato da un idolo maestoso, tanto da poter essere ammirato fin dalla lontana pianura... Quell'idolo sorgeva in un pianoro antistante al tempio di Plutone; aveva la figura di becco, o di capro smisurato, con grandi coma d'oro, la lunga barba che scendeva sulle spalle....La cima era gremita di pellegrini giunti dalla valle e dall'Altopiano per l'annuale adorazione e sacrificio al dio degli inferi e delle ricchezze. Un sacerdote coadiuvato da alcuni leviti eseguiva, con esperta perizia il sacrifìzio di animali. Spargimenti di sangue e bruciature di incensi. Ovunque odore di carne bruciata.. Il dio Plutone auspicava giudizi favorevoli presso Minosse, Eace e Radamanti a chi sacrificava pingui agnelli sull'altare. Esaltava l'ardimento di coloro che si immolavano per la sua gloria, incitava a disprezzare, odiare e combattere tutti coloro che tentassero di far penetrare la nuova religione, la religione di Cristo... Nei reconditi recessi del monte. vive un popolo immerso nelle tenebre dell'idolatria e del peccato: i loro boschi sono sacri a Giunone e Diana, le loro fonti hanno la protezione delle Ninfe, il dio Pan sorveglia i loro pascoli, Satiri e Sileni sono ispiratori dei loro ludi scenici... La pietà degli antichi pagani concorse mirabilmente ad abbellire il monte... Si trovavano laghetti ombreggiati da frassini enormi, da faggi secolari, aiuole innumerevoli dai fiori esotici, raccolti da tutte le parti del mondo, che rendevano quei prati un immenso giardino...Dappertutto fiori non comuni, peonie, gigli, miosati, mughetti, rose giacinti, garofani, tulipani, campanelle, gerani, camelie, rododendri, ginestre e prati interi di narcisi...SÌ dice che la ricchezza e la varietà della flora del Summano sia dovuta ai pellegrini che venivano d'ogni parte del mondo e che rendevano omaggio all'idolo Summus Manium: i pellegrini recavano piante e sementi per ornare le tombe dei congiunti ivi sepolti per loro volontà e devozione all'idolo..."



da "storia vicentina" giugno-luglio 1994.

E' IL SUMMANO CIMA DELL'ALTO VICENTINO. IL MONTE SACRO AGLI DEI

E' IL SUMMANO CIMA DELL'ALTO VICENTINO. IL MONTE SACRO AGLI DEI

Un'oasi montana di sacralità, un centro di ritrovo collettivo per le genti della Padania in epoca romana, tutto questo e altre cose fanno parte della leggenda del Monte Summano, ormai diventato un simbolo per la provincia vicentina. Si aggiunga al tutto il giallo storico dell'esistenza del tempio pagano e dell'idolo d'oro dalla testa di capro e il successo popolare nel tempo è sicuro. L'unico cruccio degli studiosi sono le famose prove certe, ma se ci si mette di mezzo l'archeologia...

Di ALVARO BONOLLO

Familiare piramide, il Monte Summano si erge isolato nella piana altovicentina: si alza pigramente al cielo sdoppiandosi in due gobbe. Lo anima la notte e le sue folgori, le pioggie ne alimentano la rara, variegata vegetazione, il sole non trova ostacoli e lo riscalda di petto. Come evitare un pizzico di poesia su questa montagna che ha affascinato gli uomini e gli storici per millenni ed ha scritto una immensa pagina sulla religiosità pagana e cristiana. Il Summano è stato investito, a ragione, od a torto, da uno stratificarsi di culti. dedicati vuoi alle divinità indigene, come la dea Reithia, notizia supportata dalle abbondanti prove archeologiche del vicino Monte di Magre, da culti orientali od etruschi (il dio Summano dovrebbe essere di origine etrusca),da culti preromani e romani. Le varie sovrapposizioni portarono ad un "imbrogliato groviglio" religioso, come spiega lo storico Mantese. "Troppo forzato e difficile l'inserimento od agganciamento di una tradizione cristiana nella precedente tradizione pagana; la veneta Reithia svolse così, in epoca romana il ruolo di Diana, mentre il dio etrusco, Summano, dovette assumere le forme di Giove o di Plutone". Generazioni e generazioni di storici, di studiosi e di letterati hanno fantasticato su questa strana cima a due gobbe posta sulle Prealpi, in prossimità di Schio, che sembra un vulcano, ma che non lo è mai stato, e che si offre alla piana altovicentina come ultimo contrafforte che separa le due importantissime vallate dell'Astice e del Leogra e si pone proprio in mezzo ad esse. "Da sempre" gira una circostanziata leggenda che narra come lassù, nella gobba più alta, a 1299 metri di altezza fosse sorto un grandissimo tempio pagano, visibile fino a Vicenza ed oltre. Non solo: dove ora c'è la croce, si stagliava un enorme capro dalle coma d'oro massiccio e dalla forma idolatra. Era metà capro e metà uomo. Il tempio era dedicato a Plutone, summus manium, mentre altri, invece, parlano di un tempio a Giove Sommo, Juppiter Summanus. Secondo gli studiosi Kozlovic e De Ruitz, "il dio Summano era una divinità autonoma, infernale, dio della folgore notturna, mentre a Giove erano attribuiti i fulmini diurni . Il dio Summano, divinità resa ancor più affascinante dalle parentele con la religiosità etrusca, sarebbe una potenza fosca e vorace a cui venivano sacrificati montoni neri, a cui si offrivano doni e sacrifìci. Ogni due mesi, in suo onore, venivano celebrate le grandi feste dette Summanalia (Ovidio). La leggenda, od una certa mitologia cristiano-popolare, vuole che il grande capro dalle coma d'oro posto di fronte al tempio sia stato derubato dalle truppe se non da Carlo Magno in persona, ("si impossessò dell'idolo d'oro per adornare la sua reggia", scrisse il Giongo) nella sua campagna bellico-restauratrice. Altra "storiografìa" imputa la distruzione dell'idolo e del tempio all'opera evangelizzatrice di San Prosdocimo, nel 77 dopo Cristo. Scrive Francesco Rande nel 1958:" San Prosdocimo, nobile giovane d'Antiochia, seguito da proseliti cristiani, ascese il Summano, diroccò il tempio, ne stritolò il simulacro di Plutone, atterrò l'abitato contiguo e fece nel mezzo di una e dell'altra cima un nuovo tempio in onore della Regina dei Cicli della nostra salute". Ma anche il Rando si affidava quasi in toto alle suggestioni della leggenda; scarse le prove da lui riferite, a parte l'importantissima cronistoria della deposizione della croce, di cui parleremo. Ma proseguiamo. L'affascinante storia/leggenda del tempio del Summano è vecchia di oltre 2000 anni, ma i primi riferimenti "scritti" si rinvengono solamente attorno al 1300 d.C. Della storia del tempio e del capro d'oro, ne parlano anche storici seri e/o famosi come Macca, il Dal Pozzo, Pigafetta e tant'altri, ma nessuno ha mai tenuto conto delle "prove certe", quelle archeologiche, nessuno ha mai provato ad "assemblare" le centinaia di notiziole sui rinvenimenti nella cima del monte e nessuno ha affrontato autonomente questo capito per poi reinterpretarlo anche alla luce del "dato scritturale".

PER LA CHIESA E’ PURA LEGGENDA

In realtà sul Monte Summano non s'è mai eseguita una seria campagna di scavo: alla Sovrintendenza mancano soldi ed organico per avventurarsi nelle verifiche di una leggenda. Scavi seri, nel 1912,1962, sono stati però eseguiti in una famosa grotta alle pendici del monte, di cui parleremo più avanti. Va altresì detto che, campagne di scavo a parte, Ì materiali rinvenuti casualmente in superfìcie, o dopo una aratura, o in seguito ad un lavoro edilizio, sono moltissimi, sia alle pendici del monte, sia sulla cima. Secondo noi, questo etemo dualismo, documento scritto e reperto archeologico, dualismo che pochi portano alla necessaria convergenza, ha prodotto ritardi di secoli nella ricerca della verità storica, o di una via che porti ad essa. E non solo in questo specifico caso del Monte Summano, ovviamente. Pensiamo solo alla pervicace ostinazione di uno studioso come don Simeone Zordan che scrive a chiare lettere che tutta la storia del monte Summano è stata inventata di sana pianta e che qualsiasi prova archeologica non ha valore :"Nè tempio, ne statue agli dei Stigyi, sul Monte Summano, non Ninfe a San Martino, non Diana nella Val Leogra, ma popolazioni pagane di origine germanica che furono evangelizzate da San Prosdocimo". Con una sola frase ha spazzato via millenni di storiografìa, negando qualsiasi giustificazione a quel discusso Istituto mediterraneo di Studi politeisti che agisce da anni proprio nel vicentino e che ruota attorno alla "paganità" del monte chiedendo che venga ripristinato l'antico tempio a Giove. Non devono stupire simili affermazioni: Zordan è innanzitutto un religioso e la sua fede ha prevaricato il suo essere anche uno studioso: non può certo avallare storie di sacrifici e capri dalle coma d'oro. E' lo stesso studioso che in barba alla logica ed alla storia, attribuisce l'origine di quasi tutti i comuni vicentini (tra cui Thiene, Santorso, Sarcedo, Schio, Zugliano, Zane, ecc) all'arrivo dei Longobardi. Più qualificata, ma troppo sbrigativa, l'affermazione di Lelia Cracco Ruffini (Storia di Vicenza, Neri Pozza, 1987) secondo cui "pura leggenda, non confermata da reperti, è quella del tempio dedicato a Plutone Summano". Secondo la studiosa la leggenda compare nella tradizione agiografica relativa al vescovo di Padova Prosdocimo e venne divulgata negli ambienti benedettini attorno all'anno mille. Va chiarita comunque una cosa: abbiamo rintracciato molte prove sull'esistenza del cosiddetto tempio del Summano e sull'annesso idolo, ma non siamo in grado di offrire le cosiddette "prove inequivocabili", o certe. Ma non mancano certo le prove archeologiche sulla diffusa "sacralità" di questa misteriosa piramide montuosa fatta di dura dolomia, molto appettita dai cavatori che hanno "estratto" cucchiaiate di monte.

Una sacralità antica: le prove archeologiche



Le pendici del monte, sin dal 2500 a.C (4500 anni fa, quindi) vennero frequentate dall'uomo preistorico dell'età tardo Neolitica, che perpetrava antichi riti legati all'incinerazione dei suoi morti; l'uso cultuale dell'antro prosegue fino all'epoca storica. Questo avveniva all'interno della grotta di Bocca Lorenza, nel costone a sud-est del monte, poco sopra Santorso. In queste sepolture, accanto a resti umani "bruciati", sono stati trovati svariati utensili in selce, frammenti dei rarissimi e spettacolari "vasi a bocca quadrata" (a quattro beccucci e con incisioni) denti di cinghiale e di cervo traforati, per ricavarne degli orecchini, o pendagli. Nella grotta di Bocca Lorenza, vennero scoperte anche due meravigliose asce in purissimo rame, forse di corredo funebre, tra le più belle mai rinvenute nel nord Italia. Già 4500 anni fa il monte era meta di pellegrinaggi preistorici da terre lontane e provenienti dal mare: sempre nella grotta, nella stessa stratigrafia Neolitica, sono state scoperte alcune conchiglie, gasteropodi marini (Columbella rustica), traforate a mò di elementi di collana. Forse frutto di scambi con le lontane popolazioni preistoriche del mare, forse lassù portate da queste genti lontane, attratte dal "sacro" monte. Bocca Lorenza si inserisce nella cultura delle "Grotticelle sepolcrali". Il Monte Summano, anche in epoca successiva, ossia nell'età del Bronzo medio, attorno al 1400 a.C., mantiene inalterata la sua sacralità. Lo storico Leone Fasani, in uno studio del 1966 attesta la presenza, sulle pendici del monte, di un sepolcreto dell'età del Bronzo. Non si trovarono i corpi incinerati dei primi uomini portatori del segreto del bronzo, ma gli ossuari, ossia vasi biconici in cui le cui ceneri erano custodite. E' la posizione, la sua forma, quel clima vario che può passare incredibilmente dalla mitezza mediterranea delle pendici, all'habitat alpino della cima, ad attrarre le genti nei millenni e nei secoli. E' un'attrazione che ha del mistico: quel monte apparentemente isolato, che svetta al cielo, tramite tra terra, roccia e ciclo, quelle pendici fertili che si innalzano in dolce forma mammellare, quella cima con due gobbe, tra loro intervallate da una verde conca, è tutto questo insieme mistico-morfologico che ha richiamato da sempre genti e fedeli fin dalla pianura più remota. Il Giongo, storico thienese, racconta che le popolazioni antiche raggiungevano il Summano dagli Appennini, sino a Roma, tant'era la fama del "sacro monte". Dalla "sacralità" preistorica, a quella paleoveneta: sulla cima del monte, vennero ritrovati anche 10 spendidi bronzetti, appartenenti probabilmente alla cultura paleoveneta forse dedicati alla dea Reithia, forse al tenebroso Summano. Alcuni raffinatissimi lavori erano chiaramente "cultuali": divinità votive (forse Cerere?) che reggono i simboli dell'abbondanza, oranti con le braccia icasticamente protese in segno di offerta, una mutila "virtus" romana. Oggi quel patrimonio di preziose statuine non più alte di 10 cm, è stranamente disperso, come spiegano Ruitz, Koziovic e Pirocca; rimangono solo alcune foto, riportate nel testo, redatto dai tre studiosi, "Appunti su Santorso romana". Tre bronzetti sono però riaffiorati e si possono ammirare nella mostra archeologica didattica di Santorso e, presto, nel Museo di Santorso. Gli autori, dopo avere presentato questi gioielli fotografici, in una nota ammoniscono: "Che questa inedita collezione di foto, serva di stimolo per una ricerca più approfondita sulla veridicità della tradizione secondo cui sulla vetta del monte sarebbe sorto un tempio sacro ad una divinità pagana". Ai piedi del monte, nel 1981, venne scoperto anche un vasto villaggio dell'età del Ferro (attorno al V-II secolo a.C.) con la presenza di casette seminterrate, e la tomba di un infante, a conferma del magnetismo ininterrotto sviluppato dal magico monte. Basta fare pochi km e aggirare il monte verso l'imbocco della Valdastico e, sopra a Piovene, scopriremo altrettanta antica antropizzazione: un castelliere del bronzo medio (1500/1300 a.C), casette seminterrate dell'età del ferro, lance in bronzo, preziose ciotole con le anse " a coma di bue", spilloni e fibule in bronzo romane, assi e vittoriati ecc.. Nella preziosa "Carta archeologica del Veneto" ci sono ben 7 pagine di segnalazioni di luoghi archeologici nelle pendici del Summano, per un totale di una cinquantina di siti. Un autentico record da guinnes dei primati.



Ovunque tombe e lapidi

II Sommano è una autentica miniera per quanto concerne l'epoca romana: fibule, monete, anche in oro ed argento, crinali in bronzo, spilloni, ciottoli di granito con incisioni votive; lapidi e tombe, scheletri adagiati sulla nuda terra, sono stati rinvenuti ovunque, dagli orti di Santorso, ai campi di Piovene, sino alla ventosa vetta. Solo in parte tali e tanti materiali sono stati segnalati alle autorità, causa l'annosa incomprensione, favorita da una legge del 1939, tra appassionati e Sovrintendenza archeologica. Solo a Santorso ricordiamo: le tombe, protette da embrici romani, rinvenute a contrà Leve e già citate in un documento del 1291, una decina di tombe a San Carlo di Lesina, poi quelle in località San Cristoforo, le ossa combuste e frammenti di cranio di una probabile necropoli nel Colle del Castello, le tombe lungo la ex linea Ferroviaria Schio- Santorso-Thiene, il sepolcreto rinvenuto nel 1779 presso Cabrelle, la probabile necropoli in località Stradelle. La sacralità è dunque plateale, certa. Ma che prove abbiamo del tempio "che sorse sulla cima del monte" e della immensa statua del capro dalle coma d'oro che probabilmente sorgeva di fronte al tempio? Innanzitutto esistono alcune lapidi, rinvenute proprio sulla cima del Summano che sono di estremo interesse. "In agro vicentino in Monte Summano prope templum S.Mariae, in lapide albo", venne ritrovata la lapide del famoso grammatico vicentino Remnio Palemone, citato da Svetonio e Giovenale e vissuto attorno al 30 a.C. Il Pagello scrisse all'amico Nicolo Volpe asserendo di avere visto con i propri occhi le spoglie di Palemone, rinvenute dai frati Girolimini sulla cima del monte. Il dotto Palemone pare avesse scelto proprio la vetta come luogo eletto per la sua sepoltura; altre lapidi accennerebbero proprio al tempio del Summano che racchiuderebbe l'idolo. La nobildonna romana, Argentina, colpita dal dolore ai polmoni (pleurite), volle essere sepolta nella cima del Summano presso il tempio di Giano (ma compaiono molte variazioni attorno a questa lapide ed esiste la possibilità che "arx lani" sia riferito ad Arzignano). Ecco il testo più — attendibile della famosa lapide di Argentina, moglie di Q. Metello, iscrizione citata da Manuzio, Trinagio, Marzari, Barbarano, sino al Macca: Metelli Argentilla uxor Summanum visum pergens ad sergiam arcem Iani declinavi tibi lanum primum consule-rem sed laterum dolore confossa perij fato fortasse ut neutrum viderem sed arceianum me obreveret solum. Sembrano non avere bisogno di tante prove i "politeisti altovicentini": per loro quella "leggenda" è vera in forma vitale. Non va nemmeno messa in discussione! Parliamo della "setta del Summano" (la gente l'ha conosciuta con questa impropria definizione), un gruppo di "pagani", rigorosamente anonimi che pubblicano alcune riviste come "Paganitas", "Luce Politeista", "Studi politeisti". Questi neo-pagani, dall'86, ad oggi, hanno innescato una autentica crociata "per restituire il Summano all'antica religiosità pagana ed abbattere l'offesa cruciata, ricostruendo l'antico tempio sacro a Giove". Hanno scritto ai sindaci di Santorso, Schio, Piovene, al vescovo Nonis: i politeisti chiedono sì l'abbattimento della croce, ma soprattutto vogliono che venga riedificato l'antico tempio sacro a Giove e che vengano tollerati i loro culti pagani.

Plutoni Summano aliisque Diis Stygis

Addirittura il nome di Thiene potrebbe derivare dal tempio, sopratutto dall'aureo capro, o toro. "La storia di Thiene ha stretta attinenza con quella del Summano e chi non conosce bene la vera storia del Summano sin dai primi tempi, non può concepire nemmeno l'immagine della vera origine di Thiene" (A. Giongo, "L'origine di Thiene", 1914). Secoli fa, venne recuperata (ma si sono perse le tracce) una lapide con le lettere "T.H.N.", "scavando le fondamenta di uno di uno dei primi caseggiati della valle del Summano". Per il Giongo quelle "sacre iniziali" stavano a significare "Taurus honor noster", ossia "il capro è il nostro dio". Da quella sigla nacque il nome di Thiene; verrebbe giustificata così anche la presenza dell'h. Questa origine divino-pagana di Thiene e del suo nome è stata fortemente avversata da molti storici, ma della presenza di tale lapide se ne fa accenno, pur con distacco, anche nel qualificato studio di Gabriele De Rosa (Storia di Thiene", Serenissima editrice 1994) e la teoria viene ripresa in un articolo sul "Giornale di Vicenza" dell'88 dal documentato studioso thienese, Massimo Martini. Padre Macca' ("Storia del territorio vicentino", Caldogno 1815), storico e narratore, secondo noi degno di grande rispetto, scrive:"!! cieco gentilesimo, assuefatto già a consacrare le cime dei monti ai falsi suoi numi, consacrò la superiore delle due punte a Plutone, dio dell'Inferno, detto Summan, vale a dire "Summus deorum Manium", il Sovrano degli dei Mani, ovvero delle ombre. Fu costruito a questa deità un superbissimo tempio, dentro il quale fu eretta la sua statua colla seguente iscrizione: "PLUTONI SUMMANO ALIISQ. DIIS STIGYIS". A riprova che la "leggenda" del tempio è "storicamente" radicata, non solo negli animi pagani, ma anche nella cultura cristiana, basta entrare nella chiesa di Santorso. Nella lapide posta nella sinistra della chiesa di Santorso, si legge:" Summano fu Plutone, dio degli Inferi, secundo idolatrie de' gentili, il cui simulacro era posto su questo monte, onde prese dall'idolo et il popolo vicentino vi sacrificava, per li suoi peccati et per l'anime". Giongo, sulle ali di una forte suggestione promanata da questo sacro/pagano monte, scrisse :" II Summano presentava l'aspetto di inospiti selve e balze scoscese, servì ai veneri di sicuro asilo e sulla vetta più alta del monte innalzarono il loro idolo". Secondo questo storico dei primi del '900, il tempio "adorato in tutta Italia", da una prima contenuta struttura, venne allargato. Nella porta d'ingresso venne scritto a caratteri cubitali: "Plutoni, Summano, aliisque Diis Stygis" (dedicato a Plutone Summano ed agli dei dello Stige). Tale iscrizione che secondo altri storici ornava invece il basamento della statua dell'idolo, è ritenuta da tutti gli storici vera, autentica. Solamente il Momsen, una autorità in materia di iscrizioni, bollò come falsa tutta la faccenda. Il Barbarano scrisse che il tempio del monte Summano "fu per tutto il mondo celebratissimo e in grande venerazione presso i Gentili, i quali ad esso venivano fino da Roma in pellegrinaggio". Il Da Schio, nel 1850 (Vocabolario vicentino) scrisse:"...! pastori chiamano per anche una delle sue vette l'idolo perché forse ivi eravi il simulacro del dio". Battista Sainiello nel 1760 narra della venerazione del dio Plutone "e del suo enorme tempio". Eusebio Giordano (ristampa del 1626) spiega con precisione :" Il tempio e l'idolo sono posti nel vicentino a 15 miglia lunge dall'antica città, appresso le Alpi". Anche il Pigafetta in una relazione del 1580, conferma " la presenza dell'idolo che si chiamava idolo del Summano". Il Castellini parlando di questo idolo, dice che "da tutta Italia et altre provincie, vi concorreva gran numero di persone per haver da lui risposta"

Dal mito alla realtà

C'è una prova archeologica che da sola potrebbe spazzare via molte delle perplessità : "secoli fa venne rinvenuta, proprio sul Monte Summano, la lapide che avrebbe dovuto ornare il basamento della statua dell'idolo del Summano" (Ruitz, Pirocca, Koziovic, 1978). Recava scritto:" Plutoni Summano", al dio Fiutone Summano. Secondo altri la scritta era:" Plutoni Summano aliisq. dis Stygiis". L'iscrizione del basamento dell'idolo venne vista da molti ( ma oggi non si sa più nulla), dal Giordani, dal Manuzio, pure dall'esperto d'iscrizioni, il Momsen che però la collocò tra le spurie. Chiaro che tale iscrizione "dedicatoria" implicherebbe quantomeno un'ara votiva al dio Summano, od un luogo di culto. Importantissima l'iscrizione (riportata nella autorevolissima "Carta archeologica del Veneto" del 1989), rinvenuta a Piovene Rocchette nel 1816, come riferisce il Mozzi. L'iscrizione funeraria, su lapide in pietra locale, "venne reimpiegata nelle fondamenta della torre campanaria" e reca scolpite le lettere "M.D". L'interpretazione delle due lettere è ancor più stimolante: "la presenza della formula D(is) M(anibus) induce a proporre una datazione posteriore alla metà del I secolo d.C.", si scrive nella Carta archeologica del Veneto. "Agli dei Mani", quindi, come avevano scritto molti studiosi; iscrizione chiaramente collegata alla religiosità del Summano e ad una probabile ara o tempio nella vetta. Fa certamente sorridere che tale lapide sia oggi cementata dentro un edificio cristiano, quasi a negarne l'esistenza (era però una pratica perseguita fino a 50anni fa), ma finalmente, per quanto non visibile, l'iscrizione non è andata persa, c'è. Esiste sì, ma non si può abbattere un campanile, o la canonica, come altri sostengono, o, nell'incertezza, entrambi. La lapide, in pietra locale venne rinvenuta in un colle sopra a Piovene, quindi nelle pendici del Summano (Sommo degli dei Mani).Nel 1650, Jacopo Giordani, stanco di "leggere leggende", o mezze verità sul mitico tempio del Summano, decise di fare degli "scavi presso le fondamenta delle antiche rovine". Non si sa dove abbia scavato e che cosa rimanesse del tempio nella metà del 1600; don Giordani rinvenne "ossa, ceneri, e medaglie (sta per monete antiche, n.d.r.) molte". Nel 1812, il Mozzi affermò ("Cenni storici") di avere visto sia le fondamenta, che parte del tempio. Il tempio, tutti sono concordi, se mai sia sorto, doveva essere nella gobba di sinistra del monte Summano, la più alta (1299 metri) dove oggi giganteggia la croce. In una antica mappa del 1652 con perizia vengono disegnate le due gobbe del monte e sopra quella di sinistra compare la scritta:" Hic erat olim Summano fanum" (qui un tempo sorgeva il tempio al dio Summano). C'è da dire che proprietario della mappa fu il Giongo che la pubblicò in suo libro. Non si conosce la provenienza. Proprio per installare quel colosso di cemento, nel 1932, in sostituzione di una scrostata croce lignea, si dovette costruire un basamento scavando la cima per ben 6 metri. Il racconto del Rando è preciso ed importantissimo: si tratta della prima vera notizia di uno scavo recente, per quanto non con finalità archeologiche. Questo non inficia le prove in quanto tali, anche se le priva di tutto un "contesto archeologico": la stra-tigrafia, la profondità, le intrusioni di altre epoche/strati, la posizione. Il mero dato archeologico, però, esiste. Ebbene: "Vennero portate alla luce, ossa di molte varietà di animali, anche ossa combuste (antichi sacrifìci, o meri resti di pasto?) tra cui lupo e cinghiale, medagliette e molti cocci di vaso", tutto questo nella cima da tutti indicata come "il" sito dell'antico tempio a Zeus. Purtroppo non si sa dove sia finito tale materiale; con le attuali conoscenze archeologiche basterebbe anche un rapido sguardo alla tipologia dei cocci di vaso, per comprenderne l'epoca e forse la destinazione d'uso. Quelli descritti dal Rando probabilmente erano veramente resti di antichi rituali. Ancora una volta, un velo d'ombra impone il condizionale: potrebbe trattarsi di reperti legati proprio al tempio del Summano, ma esistono anche altre possibilità. Nella favolosa raccolta (privata) del Cibin di Schio, esistono numerosissimi reperti rinvenuti sulla cima del Summano: monete romane e reperti "premonetali", un "Filippo l'Arabo" d'argento, denti di cervo e di cinghiale traforati, asce cultuali e d'uso in rame, embrici romani bollati, frammenti fittili con sigle pseudo alfabetiche, e decine di vasi, o cocci di vaso che vanno dal 2500 a.C., sino all'epoca romana. Il Cibin è morto e la collezione è impenetrabile: vani i rapporti tra la Sovrintedenza di Padova e gli eredi, per la vendita. Il Rando nella sua "Storia di Chiuppano" cita anche un "tempietto alle Ninfe Auguste, una iscrizione votiva, ora al lapidario vicentino ed un monumento funerario di Caio Vario Prisco".

Conclusione

Rutz, Pirocca, Koziovic, che non sono certo degli sprovveduti, nel 1978 pubblicarono un testo fondamentale: il già citato "Santorso romana", l'unico studio che contenesse un capitoletto autonomo, per quanto di due pagine, sul tempio pagano del Summano. Attentissimi al dato documentale ed archeologico, i tré studiosi, per quanto conceme "il tempio del Summano", reputano "che esista una serie cosi numerosa di reperti da non far escludere la presenza di un tempio, od altro edificio pagano, sulla cima del monte Summano". Questa ci sembra la sintesi più pacata e saggia. E così, a conclusione di questa estenuante ricerca vuoi libresca, vuoi archeologica, siamo tornati al punto di partenza, all'incertezza dell'inizio anche se questo "viaggio" ci ha mostrato molte cose e ci ha notevolmente accresciuti. Nessuna certezza sull'antico tempio e sul capro, o toro dalle coma d'oro massiccio, molti dubbi, ma anche parecchie disarmanti prove. Mai risolutive. Di certo, però, "qualcosa" c'era sulla cima del monte e qualcosa legato al culto, lo si evince dagli scritti, dalle prove e da una millenaria leggenda, stratificata che non può essere sorta così dal nulla. Simeone Zordan ("Da Thiene longobarda, a Padova longobarda", Duomo ed.) si oppone drasticamente a quasivoglia ipotesi di templi pagani, dei Stigyi & affini, però conclude il suo testo con una riflessione:" E' pur vero che il Monte Summano è il luogo ove la fantasia popolare si è sbizzarrita più di ogni altra parte". Chiediamoci il perché di questo primato della leggenda e del Mito, proprio sulla vetta del Summano. Certo la leggenda è una rivolta ad una storia spesso piatta, grigia, monotona, ordinaria. Al popolo poco piace la realtà storica, mentre colpiscono molto di più i fatti grandiosi, spettacolari, teatrali ed alcuni storici certamente con questa leggenda hanno giocato, ingigantendo le meraviglie del Summano. Qualcuno ha prospettato che nella cima ci fosse semplicemente un luogo di culto, un locus sacer, un punto sommitale che poteva attrarre genti da tutta Italia, non necessariamente fornito di un grande un tempio. Poteva esserci un piccolissimo saccello, od anche una roccia con una certa strana conformazione, od anche una pianta millenaria, perché no (si legga nelle notizie curiose il cipresso di Santorso del 1850)? Di certo la cima del monte fu abitata e per lungo tempo. Lo attestano i soli rinvenimenti numismatici: le innumerevoli monete scoperte che abbracciano un periodo che va dalla metà del II secolo a.C, a tutto il IV secolo d.C. Il De Bon prospetta che nella cima del monte vi fosse una stazione militare alpina romana, strettamente collegata al famoso castrum scoperto ai piedi del monte (ove oggi sorge il centro commerciale Campo romano). Forse per un certo periodo, prima dell'avvento del Cristianesimo e in parte anche dopo, calcolando attardamenti locali, la cima del monte costituì un punto magico/sacro di preghiera per dei soldati. Forse successivamente il culto locale si estese alla popolazione e si allargò fuori dall'Altovicentino..

E scaviamoci su

Eia dura dolomia trattiene ancora Ì suoi segreti e non li "molla", ma anche la dura dolomia non può resistere alla nuova archeologia, ai nuovi sofisticati metodi di ricerca. Perché una volta per tutte, non si effettua una seria campagna di scavi nella cima, o nell'avvallamento tra le due cime, per conoscere finalmente il segreto del Summano? Basterebbe solo la volontà materiale: con le foto dall'aereo, dal satellite, con i raggi infrarossi, foto in possesso della Sovrintendenza Archeologica, dell'Università di Padova, del Centro ricerche archeologiche di Superfice diretto da Armando De Guio, già potremmo avere delle notizie importantissime. La prospczione "aerea" è la prima mossa. Ma nessuno si muove! Solamente uno sponsor potrebbe, di colpo, aprire il discorso-Summano; anche la meravigliosa fiaba del Summano, alla fin fine si riduce ad un mero discorso di soldi.

da "storia vicentina" giugno-luglio 1994.

Alessandro Magno, la stele e la tomba di San Marco

Alessandro Magno, la stele e la tomba di San Marco
Corriere del Veneto - PADOVA - 2009-03-04

La soluzione del giallo

Appassionante come un archeo-giallo, il caso delle reliquie di Alessandro il Grande a Venezia aveva fatto il giro del mondo. Ora, uno studio del Centro studi Classica dell'Università Iuav di Venezia, insieme all'associazione Engramma, smonta pezzo a pezzo la fantasiosa tesi che voleva le spoglie del grande condottiero tumulate al posto di quelle dell'evangelista. La chiave del mistero sta in una stele, la Stele di Alessandro (foto), appunto, conservata nel chiostro di Sant'Apollonia, sede del Museo diocesano di Venezia. Si tratta di una lastra che porta scolpita la stella macedone che, da prova a favore della clamorosa scoperta, si è trasformata, dopo un'analisi storico-scientifica, nella smentita ufficiale. Secondo uno studioso statunitense nell'ottavo secolo, all'epoca dell'avventuroso trafugamento del corpo dell'evangelista ad Alessandria, si sarebbe verificato uno scambio di corpi e ora al posto di Marco ci sarebbero i resti di Alessandro (o, mescolate, le ossa di entrambi). La stele lapidea che porta scolpita la stella argeade, emblema della casata macedone, è stata oggetto dal 2006 di un gruppo di archeologi, storici, filologi, storici dell'arte e architetti di numerose università italiane facenti capo al Centro studi Classica dello Iuav coordinato da Monica Centanni, con la partecipazione della Procuratoria di San Marco. La prima analisi petrografica ha dimostrato che la stele è in pietra d'Aurisina proveniente da cave nordadriatiche usate dai romani solo dal II secolo avanti Cristo, e la ricostruzione archeologica ha spiegato il suo arrivo a Venezia nel IX secolo come materiale per la costruzione della Basilica. Si esclude, così, l'ambito ellenistico e cade l'ipotesi di romanzeschi scambi di tombe.
Camilla Anceschi La stele di Alessandro

Libertà di grattacielo? «Jesolo compromessa, saltino pure i vincoli»

Libertà di grattacielo? «Jesolo compromessa, saltino pure i vincoli»
Corriere del Veneto - VICENZA - 2009-03-06

Lo scontro Sovrintendenza contraria. Il Comune: «Si faccia subito»

Braccio di ferro sullo skyline di Jesolo. La Sovrintendenza ferma sette nuove torri fronte mare e punta i piedi. In prospettiva, però, proprio Jesolo potrebbe essere una delle aree apripista fra quelle su cui togliere il vincolo in quanto già «irrimediabilmente compromessa dal degrado urbanistico». Lo dirà il prossimo piano paesaggistico regionale secondo cui, di fronte a zone ormai deturpate, non ha senso mantenere i vincoli ed è invece auspicabile un piano di riqualificazione urbanistica più «libero». La rivoluzione del piano paesaggistico (che dovrà essere firmato in maniera congiunta con i ministeri dei Beni Culturali e dell'Ambiente), però, avrà un iter molto lungo. E Jesolo, carica di investimenti edilizi milionari, non può e non vuole aspettare: il sindaco di Jesolo promette e annuncia battaglia (legale).
La bozza del piano paesaggistico è stata stilata dal direttore regionale del ministero dei Beni Culturali, l'architetto Ugo Soragni, e sta per essere consegnata in Regione, da lì il lavoro congiunto con i due ministeri. Tempi lunghi. Ma così la spiaggia più frequentata della costa veneta rischia di diventare campo di battaglia fra diverse versioni e letture delle norme. Non ultima quella che interpreta le «zone compromesse » esclusivamente come piccole aree e non certo come interi litorali. La guerra Comune-Sovrintendenza, intanto, è in pieno svolgimento. Così com'è accaduto per la prima tranche di architettura del nuovo piano regolatore, servirà una «revisione» puntuale di ogni nuovo progetto, come a dire un inevitabile abbassamento delle altezze per avere il placet della Sovrintendenza. Ieri un incontro voluto dal ministro Bondi fra Comune, Soragni e l'architetto Renata Codello sovrintendente di Venezia ha lasciato «amareggiato dalla lesa autonomia pianificatoria» il sindaco di Jesolo Francesco Calzavara che valuterà ipotesi di ricorso volta per volta. Dopo i complessi residenziali di Meier e il «Fronte Mar» già abitati dalla scorsa estate, tra aprile e maggio si dovrebbe inaugurare la torre Aquileia in piazza Mazzini: 84 appartamenti su 21 piani con prezzi da 450 mila euro a un milione per l'ultimo piano da cui si vede Venezia. A ruota, dovrebbero seguire l'apertura delle torri gemelle di piazza Drago e la torre da 22 piani in pineta di Gonçalo Byrne e Joao Nunes, e quella a ridosso di piazza Aurora, a piani sfasati. Su questi interventi, la Sovrintendenza ha già agito limando le altezze dei grattacieli fronte mare e lasciando intatte quelle delle torri più arretrate. Del resto, il Tar ha recentemente dato ragione alla Sovrintendenza: non si possono costruire edifici così alti a meno di 300 metri dalla linea di battigia, lo dice la legge Galasso del 1985, lo dice il codice civile, lo ribadisce quel Codice dei Beni culturali varato solo sei mesi dopo il piano regolatore di Kenzo Tange nel 2004 e in cui di principi di tutela del paesaggio non c'è traccia. «Stiamo cercando di trovare una soluzione — spiega Soragni — attraverso approfondimenti tecnici caso per caso come già abbiamo fatto senza scalfire le cubature, ma ricordo che è ormai ben chiaro da che parte sta la legge». Le nuove edificazioni della zona B, quelle della riorganizzazione alberghiera che sorgeranno dalle ceneri degli hotel London e Tritone in via Dalmazia; Tahiti, Parioli, Sanremo, Terramare, Sorriso, tutti sul lungomare compreso tra piazza Drago e piazza Mazzini, saranno ora passate al microscopio della Sovrintendenza. Edificazioni legate a un giro d'affari a molti zeri: gli appartamenti deluxe vanno da 5 a 12 mila euro al metro quadrato. «La Sovrintendenza — spiega Calzavara — ha manifestato in tutta la sua evidenza la diversità di pensiero sullo sviluppo architettonico- ambientale di Jesolo». L'impegno preso è di incontrare in tempi brevi i vari progettisti per verificare eventuali modifiche. «Solo poi — conclude Calzavara — saremo in grado di decidere quali azioni perseguire per tutelare chi ha creduto nella nostra città ».
Martina Zambon Mauro Zanutto

Più cemento e meno regole

Più cemento e meno regole
Alessandra Carini
La Nuova di Venezia 07/03/2009

PADOVA. L’articolato è stato già discusso da Silvio Berlusconi con i governatori del Veneto, Giancarlo Galan, e della Sardegna, Ugo Cappellacci. E’ una legge di stampo federalista, cioè un testo base da proporre alle Regioni. Ma costituisce l’«ossatura» di quella «rivoluzione» annunciata ieri in Cdm dal premier. Sarà presentata e approvata dalla prossima riunione del governo. «Ci sarà una rivoluzione nell’edilizia - ha annunciato il premier - il piano case è una mia iniziativa che probabilmente realizzeremo nel prossimo Consiglio dei ministri con effetti eccezionali». Alcuni la presentano come legge anticapannoni, altri come rinnovamento edilizio stile Obama, cioè per promuovere l’utilizzo delle fonti di energia alternativa. Ma la rivoluzione annunciata da Silvio Berlusconi per l’edilizia è anche qualcos’altro: una grossa manovra per dare via libera ad un sostanzioso aumento delle cubature di tutto il patrimonio edilizio esistente, una liberalizzazione spinta delle norme per costruire, un ritorno in alcuni casi al «ravvedimento operoso» dal sapore di condono. Il titolo è «intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per promuovere l’utilizzo di fonti di energia alternativa». Dà la possibilità alle Regioni che la accettino, di ampliare gli edifici esistenti del 20%, di abbattere edifici (realizzati prima del 1989) per ricostruirli, con il 30% di cubatura in più, in base agli «odierni standard qualitativi, architettonici, energetici», di abolire il permesso di costruire per sostituirlo con una certificazione di conformità, giurata, da parte del progettista, di rendere più veloci e certe le procedure per le autorizzazioni paesaggistiche. Ecco i punti principali. Ampliamento edifici. I Comuni posso autorizzare, «in deroga ai regolamenti e ai piani regolatori» l’ampliamento degli edifici esistenti nei limiti del 20% del volume, sia che gli edifici siano destinati ad uso residenziale, che per altri scopi. L’ampliamento deve essere eseguito vicino al fabbricato esistente. Se è giuridicamente o materialmente impossibile, sarà un «corpo edilizio separato avente però carattere accessorio». Rinnovo patrimonio edilizio. La Regione «promuove» la sostituzione e il rinnovamento del patrimonio mediante la demolizione e la ricostruzione degli edifici realizzati prima del 1989, che non siano ovviamente sottoposti a tutela e che debbono essere adeguati agli odierni standard qualitativi, architettonici ed energetici. Anche qui i Comuni possono autorizzare l’abbattimento degli edifici (in deroga ai piani regolatori) e ricostruirli anche su aree diverse (purché destinate a questo scopo dai piani regolatori). Qui l’aumento di cubatura previsto è del 30% sia per gli edifici destinati a uso residenziale che per quelli adibiti ad uso diverso. Se si utilizzano tecniche costruttive di bioedilizia o che prevedano il ricorso ad energie rinnovabili l’aumento della cubatura è del 35%. Tutti questi interventi debbono rispettare le norme sulle distanze e quelle di tutela dei beni culturali e paesaggistici, non potranno riguardare edifici abusivi, o che sorgono su aree destinate ad uso pubblico o inedificabili, non potranno essere invocate per aprire grandi strutture di vendita. I comuni potranno anche decidere di «salvare» da questa legge alcune zone per «oggettive ragioni di carattere urbanistico». Avranno tempo per farlo solo due mesi. Agevolazioni fiscali. Questi interventi saranno agevolati fiscalmente: il contributo sugli ampliamenti sarà infatti ridotto del 20% in generale e del 60% se la casa è destinata a prima abitazione del richiedente o di uno suo parente entro il terzo grado. La legge che verrà proposta alle Regioni ha già la disponibilità di Veneto e Sardegna: ma con Comuni assetati di quattrini e assediati dalla crisi economica, le adesioni saranno molte. Revisioni legge urbanistica. Si va dall’abolizione del permesso di costruire, sostituito da una semplice certificazione giurata del costruttore, all’ampliamento dei casi che prevedono solo la denuncia di inizio attività (Dia), alla possibilità di valutare «preventivamente» con gli uffici i problemi che potrebbero insorgere nel corso dei lavori. E’ previsto un ambiguo «ravvedimento operoso con conseguente diminuzione della pena e nei casi più lievi estinzione del reato», dal sapore di condono, e norme per semplificare le procedure riguardanti i permessi in materia ambientale e paesaggistica. Per capire come si articolerà questa rivoluzione, già vista molte volte, basta aspettare la prossima riunione del governo.

Quadri, statue e palazzi in un clic

Quadri, statue e palazzi in un clic
CORRIERE del Veneto - VENEZIA - 2009-03-08

Tutta l'arte della città in un portale. Sperimentazione entro la fine dell'anno

Vianello: subito un tavolo con i soggetti culturali veneziani
Al via la digitalizzazione dei beni culturali lagunari Flussi turistici: andranno in Rete solo i percorsi alternativi

Dai teleri del Carpaccio alla Scuola di San Giorgio al Paradiso
del Tintoretto a Palazzo Ducale. Ma non solo. Anche alcune opere degli armeni, della Collezione Pinault ed altre della Fondazione Guggenheim. Tutto in Rete, tutto in un clic. Con immagini ad alta definizione e spiegazioni dettagliate per ingolosire potenziali turisti e mettere in mostra le bellezze della città per chi, magari, a Venezia, non può venire. Parte la fase due di Venice Connected, e il vicesindaco Michele Vianello, appena tornato da Boston, annuncia sicuro: «E' giunta l'ora della digitalizzazione dei beni culturali veneziani. Fino a questo momento — dice — le opere d'arte venivano "lavorate" al computer solo per una questione di conservazione. Adesso bisogna andare in un'altra direzione: quella della fruizione». Mettere tutta la cultura veneziana in Rete sarà un lavoro di anni ma la sperimentazione sarà visibile entro la fine del 2009.
«Abbiamo visto che il portale Venice Connected è in grado di lavorare bene con le prenotazioni turistiche — dice Vianello —, per questo motivo è tempo di voltare pagina e pensare ai contenuti. E quando si parla di contenuti in una città come Venezia non si può non fare riferimento alla cultura». Sfida enorme, addirittura utopica dice qualcuno, di sicuro difficile.
Ma i recenti accordi di collaborazione stretti al Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston danno coraggio. «Un passo alla volta, ovviamente. Partiamo da alcune opere che concerteremo nelle prossime settimane con le istituzioni culturali della città. Il percorso — dice Vianello — dovrà per forza essere condiviso. Ma la decisione è presa e siamo pronti per iniziare a creare un autentico libro virtuale». Dopo la presentazione del progetto alla giunta, Ca' Farsetti istituirà infatti un tavolo di lavoro al quale si siederanno, oltre all'Amministrazione, anche i soggetti culturali cittadini, dalla Fondazione Musei alla Cini e via dicendo. Per lavorare nella direzione della sostenibilità del turismo (uno dei veri obiettivi di Venice Connected che altrimenti si ritroverebbe ad essere un semplice strumento di prenotazione), le prime opere d'arte veneziane ad entrare sistematicamente in Rete saranno opere per così dire minori. «Ci confronteremo con i vari referenti ma credo che sarà più utile iniziare dai gioielli meno conosciuti della città — dice Vianello — perché lo scrigno- Venezia nonostante la sua grandissima varietà di oggetti viene normalmente aperto per ammirare sempre e solo i soliti noti». Insomma, un libro d'arte che entrando in internet non solo è in grado di garantire la fruibilità a tutti ma servirà anche ad orientare i flussi del turismo. E proprio sulla gestione del turismo, Venice Connected è pronto per un altro passo. Il trasferimento dei contenuti su strumenti tecnologici come palmari e Iphone: «Stiamo già dialogando con un gruppo di guide turistiche — dice il vicesindaco — prima del-l'estate realizzeranno tre o quattro percorsi di visita alla città alternativi che noi inseriremo e pubblicizzeremo sul sito. Così il turista sull'Iphone avrà la possibilità di essere guidato solo ed esclusivamente su determinate direzioni». Ma chi realizzerà tutto questo e soprattutto chi lo pagherà? «L'Unione Europea ha destinato una grossa fetta di fondi per la digitalizzazione ed è principalmente a loro che ci stiamo rivolgendo. Sulla realizzazione — prosegue Vianello — ci sarà un lavoro di squadra. Software-house locali cureranno la parte tecnica, le università quella contenutistica. Anche se il mio sogno sarebbe un altro. Che i testi della cultura veneziana li scrivesse direttamente la gente, come avviene su Wikipedia. Rompendo in questo modo le sacrestie della scienza ».
Massimiliano Cortivo

Una sbarra chiude la via archeologica

Una sbarra chiude la via archeologica
Domenica 08 Marzo 2009 PROVINCIA Pagina 37 L'ARENA

Il sindaco Sartori: «Da sempre quella stradina è aperta al passaggio». Il collega Bonometti: «Quell’area deve restare accessibile»

Il Comune segue le vie legali, Affi cerca l’intesa col privato che ha proibito l’accesso alla Bastia di San Michele

La stradina campestre nella frazione di Incaffi, che conduce agli scavi archeologici della «Bastia di San Michele», alla zona militare e alla lapide ricordo del luogo dell’eccidio dei quattro soldati fucilati il 27 marzo 1945, è stata chiusa al transito, con una sbarra che non concede il passaggio nè carraio, nè pedonale.
La cosa ha suscitato proteste, soprattutto da parte del Comune di Cavaion, che ha già votato una delibera di giunta, con cui ha dato incarico a un avvocato di procedere con un ricorso legale. Il sindaco Lorenzo Sartori spiega: «Da sempre quella stradina è stata aperta al passaggio, tanto che anche se ricade su territorio del comune di Affi, Cavaion ne ha acquisito il diritto di passaggio da anni. La sbarra è stata posta di recente dal nuovo affittuario del fondo agricolo, che senza chiedere nulla a nessuno, di propria iniziativa, ha chiuso la stradina-collegamento con l’importante zona archeologica del nostro paese, nonché zona militare e anche area dove si trova l’acquedotto di Cavaion. Per non parlare della rilevanza storica anche del posto con la lapide dei quattro fucilati, dove ogni anno si svolge una manifestazione, anche religiosa, nella ricorrenza».
«Cavaion», aggiunge il sindaco, «ha investito molto sugli scavi archeologici di San Michele, tanto che è divenuto un luogo pubblico, dove si svolgono anche attività didattiche scolastiche e manifestazioni culturali. Il Comune quindi, si farà valere anche in sede legale per affermare i diritti di passaggio, anche perché le chiavi della sbarra non si possono dare a tutti i cittadini e posta così com’è non ci si passa neppure a piedi: ai lati della sbarra ci sono le colonne con la rete che chiudono il fondo agricolo».
Dall’altra parte anche il comune di Affi sta intervenendo sulla vicenda. Il sindaco Roberto Bonometti spiega: «Da poco siamo venuti a conoscenza della cosa, quindi ora mi sono fatto carico di discuterne con il privato per trovare una soluzione. Da quello che ci è stato detto, pare che il privato abbia posto la sbarra per problemi di sicurezza, poiché di sera molte auto si recavano in quel luogo. Stiamo verificando con gli uffici comunali se il privato abbia il diritto di porre la sbarra. Una soluzione potrebbe essere di creare un passaggio solo pedonale, anche perché quella è una bellissima zona e va tenuta curata. Certo che il percorso pedonale dovrà essere garantito a tutti, anche al Comune di Cavaion e l’area dovrà essere accessibile, soprattutto in occasione delle celebrazioni che vi si svolgono ogni anno».

Restauri d'arte Venezia presa in giro con ventimila euro

Restauri d'arte Venezia presa in giro con ventimila euro
Alberto Vitucci
Nuova Venezia - Mattino di Padova - Tribuna di Treviso, 10 marzo 2009

La cultura a Venezia? Vale meno di un'auto usata. Un taglio drastico, che non ha precedenti nella storia recente, è stato applicato dal ministero per i Beni culturali ai fondi delle Soprintendenze veneziane. Nella città pi ricca di opere d'arte al mondo gli uffici preposti alla tutela del patrimonio potranno contare per l'anno 2009 su 20 mila euro. Una cifra ridicola, l'uno per cento di quanto era stato richiesto. Riduzione annunciata un mese fa al momento della presentazione del Piano triennale degli investimenti. E adesso adottata dal ministero. «Penalizzano la Soprintendenza, penalizzano il Comune», sbotta il sindaco Massimo Cacciari, «bene, avanti così. Ricordo che a oggi non sono ancora arrivati i soldi promessi alla città per la Legge Speciale. Penalizzato il Nord Est? Tutta la politica di salvaguardia e di tutela del patrimonio artistico e monumentale è sottovalutata, sottodimensionata, sottostimata da questo governo». La mazzata riguarda tutti gli uffici culturali del Veneto. Il piano «antisprechi» e i tagli della Finanziaria hanno ridotto le disponibilità del ministero per i Beni culturali del 30 per cento. I fondi per i restauri alle Soprintendenze venete sono passati da 7,5 milioni di euro dello scorso anno a 3,9 milioni di euro previsti per il 2009. E alla Soprintendenza di palazzo Ducale arriveranno soltanto le briciole. 20 mila euro, sufficienti per portare avanti un piccolo restauro del soffitto nella chiesa dei Gesuati. Zero euro, rispetto al milione e mezzo richiesto, per i lavori di sicurezza a palazzo Ducale, per le Procuratìe Nuove e il palazzo Reale, per il restauro della Sala d'Armi all'Arsenale (richiesti 600 mila euro) e per le Gallerie dell'Accademia (un milione di euro per completare i lavori sarà disponibile soltanto nei prossimi due anni, 2010 e 211). «Non si fermerà il cantiere», dice la soprintendente ai Beni architettonici Renata Codello, «perché potremo spendere i fondi del 2008. Ma certo è un problema. Speriamo che la quota a noi destinata venga modificata». Non commentano, i funzionari dello Stato. Ma si capisce che con queste cifre a disposizione l'attività dovrà essere ridotta drasticamente, qualche cantiere addirittura sospeso. Per fortuna a Venezia ci sono i comitati privati, che qualcosa ancora finanziano nei restauri delle opere d'arte. E poi ci sono i privati, che quest'anno garantiranno almeno 500 mila euro nell'ambito dell'accordo firmato nel 2008 per i restauri delle Procuratìe. «I fondi dei privati sono ora pi che mai indispensabili», sottolinea la soprintendente. Con una punta di polemica verso chei ha pesantemente criticato negli ultimi mesi l'affissione deicartellipubblicitari e delle impalcature con il logo in cambio di finanziamenti. La realtà è che per il 2009 da Roma non arriveranno che monetine. Al ministero hanno deciso, sentiti i dirigenti regionali (nel Veneto il responsabile è Ugo Soragni) di azzerare i fondi per l'anno in corso. Così, proprio quando si levano alte le denunce per il degrado e i danni da moto ondoso prodotti alla città e ai suoi monumenti, il governo decide di azzerare i finanziamenti di una struttura già ridotta all'osso come personale, con scarsi mezzi a disposizione per le gestione ordinaria. «Speriamo soltanto», dicono in Soprintendenza, «che non si tratti di una versione definitiva ma che il piano possa essere rimodulato». In caso contrario, i progetti di restauro li potranno fare soltanto i privati.

lunedì 9 marzo 2009

Restauri, dimezzati i fondi per il Nordest

Restauri, dimezzati i fondi per il Nordest
Lunedì 9 Marzo 2009, il gazzettino

Tagli in vista per i monumenti e le opere d'arte del Nordest. La previsione arriva dal piano triennale di programmazione dei lavori pubblici del ministero dei Beni culturali. Particolarmente penalizzato il Veneto che vede dimezzati i fondi per i restauri. Infatti da 7,5 milioni di euro per lo scorso anno si passa ai 3,9 milioni previsti per il 2009. Con una punta che arriva a tagli del 99% per i fondi concessi per restauri alla Soprintendenza di Venezia. Anche nei sacrifici ci sono differenze tra le varie regioni. Differenze che portano il Lazio, nel corso del 2009, a ricevere comunque il 25% dei fondi disponibili (poco meno di 18 milioni) contro il 5,41% concesso al Veneto.

martedì 3 marzo 2009

Venezia divorzia da Coca-Cola

Venezia divorzia da Coca-Cola
Anna Sandri
LA STAMPA, 3 marzo 2009

II matrimonio non si farà, per ora. La Coca-Cola non sbarcherà a Venezia armi, bagagli, frigoriferi e lattine; se proprio dovrà essere, se la giocherà con altri concorrenti cercando di mettere sul piatto l'offerta migliore.
Semaforo rosso dunque per l'operazione che aveva suscitato clamore planetario: in base a un accordo diretto, la Coca-Cola era pronta a portare a Venezia 38 frigoriferi no-logo per la distribuzione di bibite e lattine e lasciarceli per cinque anni. In cambio avrebbe datò a Venezia 2 milioni e 100 mila euro (più royalties) da investire nei sempre necessari restauri di palazzi e monumenti. In più, la Coca-Cola avrebbe ricevute altri beneflt, tipo posti in prima fila per i suoi ospiti al Redentore e alla Regata Storica, ma anche la possibilità di fare due feste all'anno nei più prestigiosi palazzi della città.
All'accordo mancava solo la firma delle parti, e la firma non è arrivata. Ieri mattina il sindaco Cacciari, spiazzando tutti (ma aveva spiazzato anche prima, alcuni suoi assessori della faccenda Coca-Cola avevano saputo solo dai giornali) ha comunicato che, se tanto scandalo doveva essere sollevato, allora tutto si fermava nonostante Venezia avesse un bisogno urgentis-simo e disperato di quei soldi.
Non è però un ripensamento legato all'opportunità di piazzare i frigoriferi a Venezia (tra imbarcaderi e Giardinetti reali); semplicemente, si riparte da una gara pubblica, il cui avviso sarà pronto entro due settimane. Tutti hanno detto che i soldi della Coca-Cola erano pochi e che Venezia non solo era messa in vendita, ma si era arrivati ai saldi di fine stagione. Si vedrà adesso, dice Cacciari, chi alle stesse condizioni offrirà di più. La gara, fa sapere, non l'aveva bandita prima perché l'offerta gli pareva ottima. I frigoriferi insomma sono nel destino di Venezia: si tratta solo di capire a che prezzo.
Si compiace per la decisione la Coca-Cola, che parla di una scelta di «trasparenza»; si rammarica, e si capisce facilmente il perché, la società Oltrex, che rastrella sponsor per il Comune di Venezia, e che aveva gestito tutta questa pratica. Vede sfumare la sua percentuale, 400 mila euro.
Tirano un respiro di sollievo, momentaneo, baristi ed esercenti: la concorrenza dei frigoriferi li aveva resi a dir poco nervosi.

Cacciari blocca l'accordo con Coca-Cola

Cacciari blocca l'accordo con Coca-Cola
Claudio Pasqualetto
Il Sole 24 ore, 3 marzo 2009

È una laguna di veleni quella nella quale si trova a navigare Massimo Cacciari con la fascia di sindaco di Venezia. Ieri, obtorto collo sembra di capire dal tono dell'annuncio, ha detto stop all'accordo di sponsorizzazione raggiunto con Coca-Cola Hbc Italia. Prevedeva, in estrema sintesi, un finanziamento alla città da parte della multinazionale di 4oomila euro l'anno per cinque anni in cambio dell'uso del marchio Venezia e della collocazione in vari punti, dagli imbarcaderi dei vaporetti ad alcuni spazi pubblici, di una cinquantina di distributori di bibite, snack e gelati che a loro volta avrebbero fruttato royalties calcolate in almeno altri 3 milioni nel periodo.
Di fronte alla tempesta di polemiche scatenata dall'intesa Cacciari ha dato disposizioni perché si segua l'iter dell'avviso pubblico, nella massima trasparenza, per la collocazione delle contestate macchinette, ferme restando le prescrizioni della Soprintendenza ai monumenti, oltre al numero ed agli spazi già individuati. «Ci sta bene - ha replicato Alessandro Magnoni, direttore affari generali di Coca-Cola Italia - perché il Comune potrà valutare in maniera chiara. Noi siamo sempre intenzionati a lavorare con Venezia per aiutarla a far fronte alle difficoltà di mantenere in vita un patrimonio unico nel suo genere attraverso il restauro dei monumenti e la continuazione di tradizioni secolari. »
«Sono convinto - ha chiarito Cacciari - che quando si conosceranno prescrizioni, vincoli e contenuti dell'avviso le ottimi-stiche valutazioni che oggi circolano diminuiranno di molto». Una frecciata diretta a chi, anche all'interno della sua amministrazione, aveva giudicato l'accordo una sorta di svendita, visto che il solo uso del nome Venezia merita ben altra quotazione. In realtà da quando la città lagunare ha avviato un marketing legato alla sua notorietà i risultati non sono stati né rapidi né eclatanti. Ma soprattutto, come sempre, Venezia ed i suoi tanti amici nel mondo si sono divisi tra chi si scandalizzava per la pubblicità di un'automobile sui teloni che coprono il restauro delle facciata di Palazzo Ducale e chi invece l'apprezzava come pragmatica accettazione della realtà di una città con enormi problemi di salvaguardia e perenne carenza di fondi. C'è guerra anche sulla società Venezia Marketing & eventi che ora dovrebbe gestire la partita, sul suo ruolo, sulla apertura ai privati, sulla collaborazione con gli operatori delle Fiere piuttosto che della congressualità.
Giusto ieri Giuseppe Mattiazzo, ad della Oltrex, la società veneziana che ha procurato la sponsorizzazione di Coca-Cola, sottolineava che l'esito di questa vicenda sicuramente influirà sulla ricerca futura di qualsiasi altro partner. Più prosaicamente commercianti ed esercenti locali non hanno esitato a parlare di una sorta di concorrenza sleale: 0,50 euro (forse) al distributore la stessa lattina che qualche bar fa pagare 3 euro. C'è stata pure qualche velata minaccia : «succede che le macchinette si guastano..». In questo clima Venezia ci riprova imboccando la strada della trasparenza. Sarcasmo di Cacciari, che ben conosce i suoi concittadini, compreso.