“Quella torre non s’ha da fare mai”
Tomaso Montanari
“Il Fatto Quotidiano”, 5 dic. 2012
VINCOLO PAESAGGISTICO: IL PALAZZO DI 250 METRI CHE PIERRE CARDIN VUOLE ERIGERE DI FRONTE A VENEZIA È BOCCIATO DAI BENI CULTURALI
La
notizia è clamorosa: la Torre Cardin non si farà. La direzione generale
dei Beni culturali del Veneto ha comunicato al Comune di Venezia che la
legge dice no al Palais Lumière. Dopo mesi di dibattito si scopre che
il grattacielo da emiri alto due volte e mezzo il campanile di San
Marco, il superfallo che voleva violare Venezia e la sua laguna è
bloccato dal più ovvio e prevedibile degli ostacoli: un vincolo
paesaggistico. Quasi tutti, in Veneto, si erano inchinati al mare di
quattrini del compaesano Pierre Cardin – nato Pietro Cardin a
Sant’Andrea di Barbarana (Treviso) nel 1922. Il Comune di Venezia si
fregava già le mani all’idea dei 35 milioni di euro che avrebbe
incassato dalla vendita (da effettuarsi entro il mese in corso) dei
terreni pubblici di Marghera su cui sarebbe dovuto nascere il colosso.
(E, sia detto per inciso, quei milioni non sarebbero andati a finanziare
progetti di recupero ambientale, ma a zavorrare il bilancio ordinario,
come era già accaduto con i 40 versati da Prada per l’acquisto di Ca’
Corner alla Regina). L’Enac aveva detto che i 250 metri dell’enorme
abat-jour non avrebbero dato fastidio all’aeroporto Marco Polo, anche se
il limite di altezza per gli edifici in questa zona (distante 8
chilometri da Tessèra) sarebbe di 145.
Il ministro dell’Ambiente
Corrado Clini aveva inaugurato (insieme al governatore del Veneto, al
presidente della provincia e al sindaco di Venezia) la mostra dei
progetti della Torre eseguiti dal poco noto Rodrigo Basilicati, nipote
di Cardin e fresco di laurea padovana con tesi appunto sulla torre. E
quando il più determinato avversario del birillo luminoso (il veneziano
Franco Miracco, consigliere, peraltro assai inascoltato, del ministro
Lorenzo Ornaghi) l’aveva criticato pubblicamente per questa così
evidente sgrammaticatura istituzionale, Clini aveva replicato con una
stizza che alla luce della notizia odierna appare non si sa se più
comica o più arrogante.
Last but not least, il Consiglio regionale
veneto: che proprio lunedì ha consegnato a Cardin, alla Fenice e in
pompa magna, il ‘Leone del Veneto 2012’. Chissà se Cardin aveva potuto
leggere la lettera che il direttore regionale dei Beni culturali del
Veneto, Ugo Soragni, ha inviato al Comune già una settimana fa: una
lettera sigillata nei cassetti del municipio, ma che ora filtra dal
colabrodo romano del Mibac. E il contenuto è una bomba. Soragni aveva
chiesto all’Ufficio legislativo del Ministero come interpretare la
complessa normativa sul vincolo paesaggistico che grava sulla zona sulla
quale dovrebbe sorgere il gigante. In realtà non c’erano molti dubbi:
ma vista la mostruosa posta in gioco (ballano oltre due miliardi di
euro, tutti messi dallo stilista), era meglio assicurarsi che il Mibac
non cedesse anche questa volta. E invece l’ufficio guidato da Paolo
Carpentieri ha tenuto duro, e la risposta è stata netta: non c’è dubbio
che «la porzione territoriale inclusa nei trecento metri dalle sponde
del Canale industriale ovest in località Marghera debba considerarsi
sottoposta a tutela ai sensi dell'art. 112, comma 1, lettera a del
Codice dei Beni culturali e del paesaggio». Dunque, chiarisce il
direttore Soragni al sindaco Orsoni, “la scrivente Direzione regionale
rappresenta come sull'area interessata dall'intervento edificatorio in
oggetto debba ritenersi operante il vincolo paesaggistico ex lege”.
Insomma: non si può costruire a meno di 300 metri dalla riva, ma il
progetto non può arretrare, perché dietro c’è una strada (via Fratelli
Bandiera: una seconda volta eroici). E dunque, niente da fare: la torre
si dovrà fare in Cina, dove sbavano per averla. Se finirà così (e il
condizionale è d’obbligo, vista la sensibilità di questo governo verso
il potere economico), sarà una incredibile irruzione del normale (la
legge!) in un paese dove sembra ovvio trattare Venezia come se fosse
Dubai: e infatti quasi nessuno si era posto il problema del vincolo.
Ma
alla fine di ottobre, Italia Nostra aveva elencato dieci durissime
ragioni per dire no alla Torre. Oltre a quelle relative all’impatto
ambientale della faraonica costruzione (fondazioni, infrastrutture,
fognature), l’associazione ha rilevato come l’idea “non rappresenta un
modello di crescita del territorio, ma fa leva sempre sullo sfruttamento
turistico di Venezia. Pierre Cardin ha detto di voler vendere i suoi
appartamenti a un prezzo altissimo, due milioni, ai super ricchi della
terra: non è questo di cui ha bisogno Venezia, ma di abitanti e di
normalità. È poi previsto un mega albergo e un mega ristorante: crescerà
ancora la pressione turistica sulla città”. Ieri è stato reso pubblico
un deciso appello in cui 60 intellettuali (da Settis a Ginzburg a
Rodotà, da Gregotti a De Lucia a Cervellati, da Rumiz a Scarpa a Fo)
chiedono al Presidente della Repubblica di fermare “lo sproposito
edilizio alto più di 250 metri” voluto da Cardin, “perché a Venezia gli
interessi privati e un malinteso culto del profitto non calpestino
mortalmente la legalità costituzionale”.
Già, perché la mostruosa
città verticale di Cardin è solo l’ultimo atto della presa di Venezia,
ormai luogo simbolo della privatizzazione selvaggia perpetrata dai
cosiddetti nuovi mecenati. Il rosario si allunga: Prada che compra Ca’
Corner dal Comune; Pinault che trasforma Punta della Dogana in una
show-room della propria collezione; Benetton che acquista un teatro e lo
trasforma in ristorante d’albergo, realizza un centro commerciale nella
Stazione Santa Lucia e ora progetta di annullare l’identità
architettonica e storica di un palazzo-simbolo come il Fondaco dei
Tedeschi; l’albergo Santa Lucia che raddoppia in vetro e cemento sul
Canal Grande, con un progetto firmato anche da uno degli autori della
Torre Cardin. Premessa e condizione per l’affermazione dello strapotere
privato è la compiacente irrilevanza delle istituzioni pubbliche che
dovrebbero vegliare sul bene comune. Quelle stesse istituzioni lagunari
che non sono state capaci di aprire un vero confronto pubblico sul
recupero della zona industriale di Marghera, di pianificare un
risanamento urbano attraverso la partecipazione popolare, si prostrano
all’istante di fronte ad un singolo privato che presenta un progetto
faraonico fatto in casa, che si basa sull’evidente desiderio di
“oltraggiare Venezia” (Salvatore Settis), modificandone per sempre lo
skyline con una gigantesca torre dall’impatto devastante.
Immancabilmente il dibattito pubblico si è concentrato sulla forma della
torre e sul suo valore estetico, sotterrando sotto il soggettivismo
dell’archistar ogni idea di città, di sviluppo sociale, di comunità. È
per questo che se a fermare l’acqua alta del grande capitale senza
regole, fosse, una volta tanto, la paratoia di una ‘normalissima’ legge
sarebbe una rivoluzione.