21 aprile 1607 fine interdetto
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Riallacciandosi idealmente alle dispute insorte nel ‘400 e che avevano visto nella seconda metà di quel secolo molti dei patrizi veneziani propendere per la superiorità del concilio, il governo aveva deciso invece di pubblicare due scritti del celebre teologo francese Jean Gerson, riuniti sotto il titolo Tra ttato e risoluzione sopra la validità delle scomuniche. Da parte pontificia non si era rimasti senza rispondere: entreranno nella cosiddetta “guerra delle scritture», condotta da una parte e dall’altra con estrema aggressività, grandi nomi della Chiesa, come i cardinali Baronio e Bellarmino; né mancheranno di farsi sentire voci di uomini d’oltralpe. Sarebbe stato necessario proibire ((la publication de force doctes escrits qui jettoient de l’huile dans ce feu à bon escient», dirà un moderato quale l’ambasciatore di Francia a Venezia, Phiippe Canaye de Fresnes. Sarà più facile, infatti, concludere la contesa dell’Interdetto sul piano politico-diplomatico, che arginare la diffusione di quegli scritti e delle idee di ribellione e degli spiriti astiosi che essi suscitavano.
La contesa si era conclusa ufficialmente il 21 aprile 1607, in virtù di un compromesso negoziato dal cardinale de Joyeuse, intervenuto quale mediatore per incarico di Enrico iv di Francia: in base ad esso doveva apparire che né l’uno né l’altro dei contendenti riconosceva di aver errato, e pertanto di essere stato sconfitto. A ben vedere, sconfitta era la Sede Apostolica, anche se dirà che al momento dell’accordo il cardinale aveva impartito di soppiatto una benedizione assolutoria alla Serenissima Signoria: sconfitta, anzi, proprio per aver cercato di salvare la faccia con questi mezzi; sconfitta perché, malgrado le difficoltà economico-finanziarie di cui si è detto, e il rischio dell’ostilità spagnola, non bilanciata da un franco appoggio francese, la Repubblica non aveva deflettuto dai suoi principi, mantenendo in vigore le sue leggi sulla proprietà ecclesiastica e continuando ad affermare il suo diritto a perseguire gli ecclesiastici che violassero le sue leggi. Punto di particolare importanza era poi che mentre i capuccini potevano rientrare nello Stato veneto, ne rimaneva esclusa la Compagnia di Gesù, ossia l’ordine che costituiva l’interprete più attivo ed efficace del rinnovamento controriformistico della Chiesa. Si sentivano sconfitti anche il Sarpi e i senatori suoi amici, per i quali la conclusione ottenuta non era sufficiente. Il risultato cui essi miravano non era tanto la difesa dello status quo, quanto una riaffermazione indiscussa del potere della Serenissima Signoria nelle materie ecclesiastiche, tale da rimetterla alla pari con le grandi monarchie d’Europa: come, per fare un’ipotesi, il ricuperare il diritto di nomina dei vescovi perduto nel 1510. Ma per ottenere questo, la lotta con la SedeApostolica doveva essere portata avanti fino al limite di una rottura, cioè fino alla minaccia di scisma; e la lotta, (…)
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Da
Gaetano Cozzi
Venezia Barocca
Conflitti di uomini e idee nella crisi del Seicento Veneziano
Il Cardo, 1995, Venezia
Pagina 275
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