PALLADIO: degrado del paesaggio e restauro delle ville
Sergio Frigo
il gazzettino online Edizione del 2/11
«Dopo 50 anni le ville, in quanto architettura, sono in ...
«Dopo 50 anni le ville, in quanto architettura, sono in buona parte restaurate. Nel contempo però è mutato radicalmente il contesto, si è trasformato in profondità il paesaggio, che ora è assediato da ogni parte dalle costruzioni che invadono anche il territorio agrario e le prospettive delle ville».
Questa dichiarazione, resa al Gazzettino dall'architetto Franco Posocco l'11 maggio del 2001, in occasione di un convegno della Fondazione Mazzotti, potrebbe sintetizzare l'inchiesta pubblicata sull'ultimo numero del Giornale dell'Arte, firmata da Edek Osser e intitolata "Così l'Italia ha massacrato Palladio". Un vero e proprio catalogo degli orrori, un lungo elenco di monumenti assediati dalle strade, dalle case, dai capannoni, un imbarazzante biglietto da visita diffuso (anche su "The Art Newspaper") proprio in concomitanza con le celebrazioni per il cinquecentenario palladiano.
L'articolo, che cita alcuni noti studiosi e vari addetti ai lavori, da Lionello Puppi a Francesco Vallerani, da Giulio Muratori a Nadia Qualarsa, da Marco Magnifico a Margherita Verlato, racconta anche dei recuperi andati a buon fine, dell'impegno dell'Istituto Regionale delle Ville Venete, degli interventi del Fai e di altri enti morali anche stranieri, come il Landmark Trust che ha come presidente onorario il principe Carlo. Ma la sostanza dell'inchiesta è la dura denuncia per le duemila ville (su 4.270) non vincolate e spesso in stato di abbandono, per le fabbriche che assediano la splendida Riviera del Brenta, per Villa Chiericati, a Vancimuglio, «circondata da capannoni», per Villa Onesti Magrin a Grisignano strozzata dalle strade. Una denuncia che diventa vero e proprio allarme per la prospettiva di raddoppio del Dal Molin, a poche centinaia di metri dai monumenti palladiani a Vicenza, per la realizzazione della Valdastico sud, "cavallo di Troia per nuove urbanizzazioni" (Vallerani), per il proliferare delle cave (603 attive, 701 dismesse ma ancora aperte, solo quelle censite) che feriscono a fondo il paesaggio regionale.
Un'istantanea che Giancarlo Galan, che è anche assessore alla tutela del paesaggio, bolla come «false notizie, figlie di una assoluta povertà ideologica». «Innanzitutto il tracciato della nuova autostrada - precisa Galan - invece che accanto a villa Saraceno di Agugliaro sarà realizzato al di sotto del campestio, proprio per non creare alcun impatto paesaggistico». L'ampliamento del Dal Molin poi, aggiunge Galan «è stato giudicato "assolutamente ininfluente rispetto a qualunque architettura palladiana" dal ministero dei Beni culturali, anche quando questo era diretto da Rutelli».
Il Veneto degli ultimi 30-40 anni del grande sviluppo industriale, ricorda Galan, «ha di sicuro consumato parti importanti del cosiddetto "paesaggio culturale", ma quanto accaduto non è niente di più e niente di peggio di ciò che si vede attorno a Prato e a Firenze, o ai piedi della Rocca di Orvieto o dalle parti di Perugia». C'è una differenza, però: «Qui nel Veneto il paesaggio culturale trova punte significative estese e assai tutelate: vaste aree dell'alta trevigiana o delle Dolomiti o del Delta del Po, per non parlare di ciò che è possibile ammirare ancora in Lessinia, negli Euganei e nei Berici. In ogni caso il Veneto è l'unica regione italiana che fin dal 1979 ha creato un Istituto che ha come finalità la tutela, la salvaguardia e il restauro dell'immenso patrimonio costituito dalle ville venete. L'Istituto ha concesso mutui ai proprietari delle ville per circa 130 milioni di euro. Chi in Italia ha fatto altrettanto?»
A dare man forte a Galan è arrivato in serata un comunicato del ministro Bondi, che ha ricordato di aver firmato a Vicenza, insieme al presidente della Regione e proprio in occasione dell'apertura della mostra del Palladio, un protocollo di intesa per l'applicazione rigorosa del codice Urbani: «la volontà mia e del presidente Galan per la difesa del paesaggio intorno alle ville del Palladio è totale - ha assicurato il ministro - Non sono mancate e non mancheranno, perciò, tutte le azioni necessarie a tale fine».
Gli studiosi però sono meno ottimisti. Il professor Giuseppe Pavanello definisce il paesaggio veneto come «il bel volto di una ragazza deturpato dai brufoli», e aggiunge all'elenco del Giornale dell'Arte altre brutture: come il condominio davanti alla stazione di Feltre, l'Ospedale di Castelfranco a 10 metri dal Parco Revedin Bolasco, la zona industriale a ridosso di Asolo. «Apprezzo l'impegno di Galan - aggiunge Pavanello - ma mi pare che i buoi ormai siano scappati».
Altrettanto severo il giudizio di Domenico Luciano, direttore della Fondazione Benetton: «Il disastro realizzato nel Veneto non è dissimile da quello di altre zone d'Italia: quello che è grave è la dimensione e la velocità con cui si è realizzato, devastando un tessuto fatto non solo di 4mila ville, ma di 2500 piccoli borghi, di centinaia di insediamenti storici. Per decenni chiunque ha potuto fare qualsiasi cosa, ovunque volesse, perchè tutti ci guadagnavano: i contadini che vendevano, i costruttori che costruivano, i sindaci che incameravano oneri di urbanizzazione. Ma in questo modo dal 1951 al 2001 il territorio dedicato all'agricoltura è sceso da oltre il 90 a meno del 60\% del totale: ci siamo persi 2300 kmq, come un'intera provincia».
Sergio Frigo
il gazzettino online Edizione del 2/11
«Dopo 50 anni le ville, in quanto architettura, sono in ...
«Dopo 50 anni le ville, in quanto architettura, sono in buona parte restaurate. Nel contempo però è mutato radicalmente il contesto, si è trasformato in profondità il paesaggio, che ora è assediato da ogni parte dalle costruzioni che invadono anche il territorio agrario e le prospettive delle ville».
Questa dichiarazione, resa al Gazzettino dall'architetto Franco Posocco l'11 maggio del 2001, in occasione di un convegno della Fondazione Mazzotti, potrebbe sintetizzare l'inchiesta pubblicata sull'ultimo numero del Giornale dell'Arte, firmata da Edek Osser e intitolata "Così l'Italia ha massacrato Palladio". Un vero e proprio catalogo degli orrori, un lungo elenco di monumenti assediati dalle strade, dalle case, dai capannoni, un imbarazzante biglietto da visita diffuso (anche su "The Art Newspaper") proprio in concomitanza con le celebrazioni per il cinquecentenario palladiano.
L'articolo, che cita alcuni noti studiosi e vari addetti ai lavori, da Lionello Puppi a Francesco Vallerani, da Giulio Muratori a Nadia Qualarsa, da Marco Magnifico a Margherita Verlato, racconta anche dei recuperi andati a buon fine, dell'impegno dell'Istituto Regionale delle Ville Venete, degli interventi del Fai e di altri enti morali anche stranieri, come il Landmark Trust che ha come presidente onorario il principe Carlo. Ma la sostanza dell'inchiesta è la dura denuncia per le duemila ville (su 4.270) non vincolate e spesso in stato di abbandono, per le fabbriche che assediano la splendida Riviera del Brenta, per Villa Chiericati, a Vancimuglio, «circondata da capannoni», per Villa Onesti Magrin a Grisignano strozzata dalle strade. Una denuncia che diventa vero e proprio allarme per la prospettiva di raddoppio del Dal Molin, a poche centinaia di metri dai monumenti palladiani a Vicenza, per la realizzazione della Valdastico sud, "cavallo di Troia per nuove urbanizzazioni" (Vallerani), per il proliferare delle cave (603 attive, 701 dismesse ma ancora aperte, solo quelle censite) che feriscono a fondo il paesaggio regionale.
Un'istantanea che Giancarlo Galan, che è anche assessore alla tutela del paesaggio, bolla come «false notizie, figlie di una assoluta povertà ideologica». «Innanzitutto il tracciato della nuova autostrada - precisa Galan - invece che accanto a villa Saraceno di Agugliaro sarà realizzato al di sotto del campestio, proprio per non creare alcun impatto paesaggistico». L'ampliamento del Dal Molin poi, aggiunge Galan «è stato giudicato "assolutamente ininfluente rispetto a qualunque architettura palladiana" dal ministero dei Beni culturali, anche quando questo era diretto da Rutelli».
Il Veneto degli ultimi 30-40 anni del grande sviluppo industriale, ricorda Galan, «ha di sicuro consumato parti importanti del cosiddetto "paesaggio culturale", ma quanto accaduto non è niente di più e niente di peggio di ciò che si vede attorno a Prato e a Firenze, o ai piedi della Rocca di Orvieto o dalle parti di Perugia». C'è una differenza, però: «Qui nel Veneto il paesaggio culturale trova punte significative estese e assai tutelate: vaste aree dell'alta trevigiana o delle Dolomiti o del Delta del Po, per non parlare di ciò che è possibile ammirare ancora in Lessinia, negli Euganei e nei Berici. In ogni caso il Veneto è l'unica regione italiana che fin dal 1979 ha creato un Istituto che ha come finalità la tutela, la salvaguardia e il restauro dell'immenso patrimonio costituito dalle ville venete. L'Istituto ha concesso mutui ai proprietari delle ville per circa 130 milioni di euro. Chi in Italia ha fatto altrettanto?»
A dare man forte a Galan è arrivato in serata un comunicato del ministro Bondi, che ha ricordato di aver firmato a Vicenza, insieme al presidente della Regione e proprio in occasione dell'apertura della mostra del Palladio, un protocollo di intesa per l'applicazione rigorosa del codice Urbani: «la volontà mia e del presidente Galan per la difesa del paesaggio intorno alle ville del Palladio è totale - ha assicurato il ministro - Non sono mancate e non mancheranno, perciò, tutte le azioni necessarie a tale fine».
Gli studiosi però sono meno ottimisti. Il professor Giuseppe Pavanello definisce il paesaggio veneto come «il bel volto di una ragazza deturpato dai brufoli», e aggiunge all'elenco del Giornale dell'Arte altre brutture: come il condominio davanti alla stazione di Feltre, l'Ospedale di Castelfranco a 10 metri dal Parco Revedin Bolasco, la zona industriale a ridosso di Asolo. «Apprezzo l'impegno di Galan - aggiunge Pavanello - ma mi pare che i buoi ormai siano scappati».
Altrettanto severo il giudizio di Domenico Luciano, direttore della Fondazione Benetton: «Il disastro realizzato nel Veneto non è dissimile da quello di altre zone d'Italia: quello che è grave è la dimensione e la velocità con cui si è realizzato, devastando un tessuto fatto non solo di 4mila ville, ma di 2500 piccoli borghi, di centinaia di insediamenti storici. Per decenni chiunque ha potuto fare qualsiasi cosa, ovunque volesse, perchè tutti ci guadagnavano: i contadini che vendevano, i costruttori che costruivano, i sindaci che incameravano oneri di urbanizzazione. Ma in questo modo dal 1951 al 2001 il territorio dedicato all'agricoltura è sceso da oltre il 90 a meno del 60\% del totale: ci siamo persi 2300 kmq, come un'intera provincia».
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