La Repubblica 6.10.08
Mantegna. L’artista della pittura scolpita. Una grande retrospettiva al Louvre
Le duecento opere esposte permettono un percorso cronologico ricco di originali e di suggestivi confronti
Trasformò la corte mantovana nel celebre avamposto dell´arte italiana
Entrò a servizio dai Gonzaga nel 1458 e vi restò fino alla morte nel 1506
Il sodalizio con Giovanni Bellini forte come quello Picasso-Braque
La prima sezione affronta lo studio dove lavorò quasi bambino a Padova
PARIGI. Pochi grandi artisti del Rinascimento possono vantare una fortuna espositiva pari a quella di cui ha goduto Mantegna, a partire dall´ormai mitica retrospettiva mantovana del 1961, che nell´Italia del primo boom economico aprì la strada all´era delle grandi mostre, per continuare con la altrettanto straordinaria esposizione che si tenne nel ?92, prima alla Royal Academy londinese e poi al Metropolitan di New York. Un percorso trionfale che sembrava essersi un po´ inceppato due anni fa, quando la ricorrenza del V centenario della morte dell´artista fu celebrata in Italia con una pluralità di mostre di vario livello, la più discutibile delle quali fu proprio quella organizzata nella città in cui l´artista spese la maggior parte della sua carriera, dominando ininterrottamente la scena per un cinquantennio.
A risarcire prontamente il danno d´immagine provocato da questo deprecabile incidente di percorso, giunge ora questa magnifica retrospettiva parigina a cura di Giovanni Agosti e Dominique Thiébaut (Mantegna 1431-1506, Louvre, con il sostegno dell´Eni, fino al 5 gennaio), che ha le carte in regola per segnare nella storia della fortuna critica dell´artista una tappa non meno memorabile di quelle del ?61 e del ?92.
Fin da quando era in vita, Mantegna godette in Francia di una fama eccezionale, tanto che nel 1499 Georges d´Amboise, ministro di Luigi XII, nel manifestare al marchese Francesco Gonzaga, che monopolizzava l´attività dell´artista, il suo ardente desiderio di ottenere una tavola dipinta da Mantegna per la sua cappella palatina, non esitò a definirlo «el primo pittore del mondo». La morte dell´artista, ma ancor più l´arrivo di Leonardo in Francia affievolirono un po´ questo entusiasmo, che però riprese presto a vigoreggiare grazie anche alla precoce presenza in territorio transalpino di importanti opere del maestro e alla diffusione delle sue invenzioni tramite stampe e placchette in bronzo. Può dunque ben dirsi che la fortuna critica del Mantegna in Francia non ha mai conosciuto momenti di crisi, come dimostrano l´impatto delle sue opere su un protagonista del ?600 come Poussin e la presenza di parecchi suoi capolavori nelle più prestigiose raccolte francesi del XVII e XVIII secolo. Per non dire di quell´ardente «ritorno di fiamma» che si manifestò nel tardo ?800 e che vide in prima fila i coniugi Jacquemart-André, intenti a non lasciarsi sfuggire neppure una delle sue rare opere ancora sul mercato, sostenuti dall´entusiasmo di studiosi come Yriarte e da romanzieri del calibro di Proust.
Potendo contare sul nutrito gruppo di capolavori mantegneschi presenti nei musei francesi, ma anche sul concorso generoso di tante prestigiose raccolte di tutto il mondo - con la deprecabile eccezione della Carrara di Bergamo, delle Gallerie veneziane dell´Accademia e della Ca´d´Oro e della Gemäldegalerie berlinese che non hanno voluto essere all´altezza dell´occasione - i due curatori della mostra sono riusciti ad allestire un percorso espositivo forte di 200 opere, distribuite in dieci sezioni che scandiscono in ordine cronologico la carriera dell´artista, illustrandone ogni snodo con una grande ricchezza di originali e di appropriati confronti. Giovanni Agosti è senza dubbio lo studioso italiano che maggiormente ha contribuito negli ultimi anni a rilanciare gli studi su Mantegna, con scritti in cui l´erudizione e l´intelligenza critica sono surriscaldate da un´acuta sensibilità estetica e da una scoppiettante vena letteraria. Thiébaut ha saputo coadiuvarlo egregiamente, tenendo ben ferma la barra di una mostra che sa parlare anche al grande pubblico, ma rifugge da ogni semplificazione banalizzante. Esemplari, sotto questo punto di vista, le brevi ma dense didascalie che accompagnano ogni singola opera, fornendo al visitatore un prezioso filo d´Arianna.
Pur conferendo all´insieme un´impronta unitaria e personale, Agosti e Thiébaut hanno curato in proprio solo una sezione ciascuno, affidando le altre otto a specialisti. Aldo Galli e Laura Cavazzini, ad esempio, hanno curato la prima, intitolata «Padova, crocevia artistico», in cui si segue la precocissima ascesa di Andrea, che entra a dieci anni nella fervida bottega dello Squarcione, frequentata da giovani artisti di belle speranze venuti da ogni dove, ne assorbe il clima di curiosità antiquaria alimentato dagli umanisti dello Studio padovano e si confronta con la dominante personalità di Donatello, che è presente in città per un intero decennio.
Più di ogni altro, fu proprio quel genio fiorentino a marchiare a fuoco la fantasia figurativa del giovane Andrea, imprimendo nel suo stile quella minerale durezza del marmo e forbitezza del bronzo, che hanno fatto non a caso parlare di «pittura scolpita». La sezione che segue, curata da Bellosi, è fra le più emozionanti e innovative, mostrandoci Andrea, che nel ?53 ha sposato la figlia di Jacopo Bellini, Nicolosia, procedere «in cordata» con il giovane cognato, Giovanni Bellini, in un sodalizio così stretto e reciprocamente proficuo da indurre Agosti ad evocare quello che legò Braque e Picasso negli anni eroici del primo Cubismo. Segue una sezione curata da De Marchi, il cui fulcro è la presentazione unitaria dei tre pannelli della predella del Trittico di San Zeno, che di norma sono divisi tra il Louvre e il Museo di Tours, mentre la quarta sezione, a cura di Marco Tanzi, affronta il primo decennio mantovano dell´artista, che entrando al servizio dei Gonzaga nel ?58 per restarvi fino alla morte (1506), prende in mano le redini dell´intera produzione artistica, trasformando quella corte padana, fino ad allora culturalmente periferica, nel più celebrato avamposto dell´arte italiana. La quinta sezione ruota attorno al famoso San Sebastiano proveniente da Aigueperse, il primo capolavoro di Mantegna entrato in Francia quando il pittore era ancora nel pieno della sua attività, mentre la sesta è dedicata al denso capitolo della diffusione delle invenzioni mantegnesche tramite l´incisione e le arti applicate, un espediente cui l´artista si dedicò intensamente anche per affrancarsi dallo stretto controllo sulla sua produzione esercitato dai Gonzaga, suoi signori e padroni. Le due sezioni successive poggiano quasi esclusivamente sulle straordinarie raccolte del Louvre, essendo dedicate, la settima alla Madonna della Vittoria, che è del ?95-´96, e l´ottava al celebre Studiolo di Isabella d´Este, che la mostra offre l´eccezionale occasione di vedere al completo, con le due tele di Mantegna, assieme a quelle di Perugino, di Costa e di Correggio, esposte proprio come lo erano nella Corte mantovana. Dopo la sezione dedicata ai Trionfi, che grazie alla generosità della regina inglese può vantare la presenza di una delle nove celeberrime tele della Royal Collection, la mostra si chiude in modo avvincente con una sezione in cui le ultime opere di Mantegna, prossimo alla morte, si alternano a quelle del giovane Correggio, rivelandoci come il trapasso da un mondo che andava inesorabilmente tramontando e il nuovo universo figurativo della «maniera moderna», non si sia consumato in modo improvviso e violento, ma come un naturale passaggio di testimone: il sorgere di un nuovo e vigoroso virgulto, capace però di trarre ancora alimento dalle radici di una vecchia quercia abbattuta.
Mantegna. L’artista della pittura scolpita. Una grande retrospettiva al Louvre
Le duecento opere esposte permettono un percorso cronologico ricco di originali e di suggestivi confronti
Trasformò la corte mantovana nel celebre avamposto dell´arte italiana
Entrò a servizio dai Gonzaga nel 1458 e vi restò fino alla morte nel 1506
Il sodalizio con Giovanni Bellini forte come quello Picasso-Braque
La prima sezione affronta lo studio dove lavorò quasi bambino a Padova
PARIGI. Pochi grandi artisti del Rinascimento possono vantare una fortuna espositiva pari a quella di cui ha goduto Mantegna, a partire dall´ormai mitica retrospettiva mantovana del 1961, che nell´Italia del primo boom economico aprì la strada all´era delle grandi mostre, per continuare con la altrettanto straordinaria esposizione che si tenne nel ?92, prima alla Royal Academy londinese e poi al Metropolitan di New York. Un percorso trionfale che sembrava essersi un po´ inceppato due anni fa, quando la ricorrenza del V centenario della morte dell´artista fu celebrata in Italia con una pluralità di mostre di vario livello, la più discutibile delle quali fu proprio quella organizzata nella città in cui l´artista spese la maggior parte della sua carriera, dominando ininterrottamente la scena per un cinquantennio.
A risarcire prontamente il danno d´immagine provocato da questo deprecabile incidente di percorso, giunge ora questa magnifica retrospettiva parigina a cura di Giovanni Agosti e Dominique Thiébaut (Mantegna 1431-1506, Louvre, con il sostegno dell´Eni, fino al 5 gennaio), che ha le carte in regola per segnare nella storia della fortuna critica dell´artista una tappa non meno memorabile di quelle del ?61 e del ?92.
Fin da quando era in vita, Mantegna godette in Francia di una fama eccezionale, tanto che nel 1499 Georges d´Amboise, ministro di Luigi XII, nel manifestare al marchese Francesco Gonzaga, che monopolizzava l´attività dell´artista, il suo ardente desiderio di ottenere una tavola dipinta da Mantegna per la sua cappella palatina, non esitò a definirlo «el primo pittore del mondo». La morte dell´artista, ma ancor più l´arrivo di Leonardo in Francia affievolirono un po´ questo entusiasmo, che però riprese presto a vigoreggiare grazie anche alla precoce presenza in territorio transalpino di importanti opere del maestro e alla diffusione delle sue invenzioni tramite stampe e placchette in bronzo. Può dunque ben dirsi che la fortuna critica del Mantegna in Francia non ha mai conosciuto momenti di crisi, come dimostrano l´impatto delle sue opere su un protagonista del ?600 come Poussin e la presenza di parecchi suoi capolavori nelle più prestigiose raccolte francesi del XVII e XVIII secolo. Per non dire di quell´ardente «ritorno di fiamma» che si manifestò nel tardo ?800 e che vide in prima fila i coniugi Jacquemart-André, intenti a non lasciarsi sfuggire neppure una delle sue rare opere ancora sul mercato, sostenuti dall´entusiasmo di studiosi come Yriarte e da romanzieri del calibro di Proust.
Potendo contare sul nutrito gruppo di capolavori mantegneschi presenti nei musei francesi, ma anche sul concorso generoso di tante prestigiose raccolte di tutto il mondo - con la deprecabile eccezione della Carrara di Bergamo, delle Gallerie veneziane dell´Accademia e della Ca´d´Oro e della Gemäldegalerie berlinese che non hanno voluto essere all´altezza dell´occasione - i due curatori della mostra sono riusciti ad allestire un percorso espositivo forte di 200 opere, distribuite in dieci sezioni che scandiscono in ordine cronologico la carriera dell´artista, illustrandone ogni snodo con una grande ricchezza di originali e di appropriati confronti. Giovanni Agosti è senza dubbio lo studioso italiano che maggiormente ha contribuito negli ultimi anni a rilanciare gli studi su Mantegna, con scritti in cui l´erudizione e l´intelligenza critica sono surriscaldate da un´acuta sensibilità estetica e da una scoppiettante vena letteraria. Thiébaut ha saputo coadiuvarlo egregiamente, tenendo ben ferma la barra di una mostra che sa parlare anche al grande pubblico, ma rifugge da ogni semplificazione banalizzante. Esemplari, sotto questo punto di vista, le brevi ma dense didascalie che accompagnano ogni singola opera, fornendo al visitatore un prezioso filo d´Arianna.
Pur conferendo all´insieme un´impronta unitaria e personale, Agosti e Thiébaut hanno curato in proprio solo una sezione ciascuno, affidando le altre otto a specialisti. Aldo Galli e Laura Cavazzini, ad esempio, hanno curato la prima, intitolata «Padova, crocevia artistico», in cui si segue la precocissima ascesa di Andrea, che entra a dieci anni nella fervida bottega dello Squarcione, frequentata da giovani artisti di belle speranze venuti da ogni dove, ne assorbe il clima di curiosità antiquaria alimentato dagli umanisti dello Studio padovano e si confronta con la dominante personalità di Donatello, che è presente in città per un intero decennio.
Più di ogni altro, fu proprio quel genio fiorentino a marchiare a fuoco la fantasia figurativa del giovane Andrea, imprimendo nel suo stile quella minerale durezza del marmo e forbitezza del bronzo, che hanno fatto non a caso parlare di «pittura scolpita». La sezione che segue, curata da Bellosi, è fra le più emozionanti e innovative, mostrandoci Andrea, che nel ?53 ha sposato la figlia di Jacopo Bellini, Nicolosia, procedere «in cordata» con il giovane cognato, Giovanni Bellini, in un sodalizio così stretto e reciprocamente proficuo da indurre Agosti ad evocare quello che legò Braque e Picasso negli anni eroici del primo Cubismo. Segue una sezione curata da De Marchi, il cui fulcro è la presentazione unitaria dei tre pannelli della predella del Trittico di San Zeno, che di norma sono divisi tra il Louvre e il Museo di Tours, mentre la quarta sezione, a cura di Marco Tanzi, affronta il primo decennio mantovano dell´artista, che entrando al servizio dei Gonzaga nel ?58 per restarvi fino alla morte (1506), prende in mano le redini dell´intera produzione artistica, trasformando quella corte padana, fino ad allora culturalmente periferica, nel più celebrato avamposto dell´arte italiana. La quinta sezione ruota attorno al famoso San Sebastiano proveniente da Aigueperse, il primo capolavoro di Mantegna entrato in Francia quando il pittore era ancora nel pieno della sua attività, mentre la sesta è dedicata al denso capitolo della diffusione delle invenzioni mantegnesche tramite l´incisione e le arti applicate, un espediente cui l´artista si dedicò intensamente anche per affrancarsi dallo stretto controllo sulla sua produzione esercitato dai Gonzaga, suoi signori e padroni. Le due sezioni successive poggiano quasi esclusivamente sulle straordinarie raccolte del Louvre, essendo dedicate, la settima alla Madonna della Vittoria, che è del ?95-´96, e l´ottava al celebre Studiolo di Isabella d´Este, che la mostra offre l´eccezionale occasione di vedere al completo, con le due tele di Mantegna, assieme a quelle di Perugino, di Costa e di Correggio, esposte proprio come lo erano nella Corte mantovana. Dopo la sezione dedicata ai Trionfi, che grazie alla generosità della regina inglese può vantare la presenza di una delle nove celeberrime tele della Royal Collection, la mostra si chiude in modo avvincente con una sezione in cui le ultime opere di Mantegna, prossimo alla morte, si alternano a quelle del giovane Correggio, rivelandoci come il trapasso da un mondo che andava inesorabilmente tramontando e il nuovo universo figurativo della «maniera moderna», non si sia consumato in modo improvviso e violento, ma come un naturale passaggio di testimone: il sorgere di un nuovo e vigoroso virgulto, capace però di trarre ancora alimento dalle radici di una vecchia quercia abbattuta.
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