martedì 21 aprile 2020

21 aprile 1607 fine interdetto

21 aprile 1607 fine interdetto
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Riallacciandosi idealmente alle dispute insorte nel  ‘400 e che avevano visto nella seconda metà di quel secolo molti dei  patrizi veneziani propendere per la superiorità del concilio, il governo aveva deciso invece di pubblicare due scritti del celebre teologo  francese Jean Gerson, riuniti sotto il titolo Tra ttato e risoluzione sopra  la validità delle scomuniche. Da parte pontificia non si era rimasti  senza rispondere: entreranno nella cosiddetta “guerra delle scritture», condotta da una parte e dall’altra con estrema aggressività, grandi nomi della Chiesa, come i cardinali Baronio e Bellarmino; né  mancheranno di farsi sentire voci di uomini d’oltralpe. Sarebbe stato  necessario proibire ((la publication de force doctes escrits qui jettoient  de l’huile dans ce feu à bon escient», dirà un moderato quale l’ambasciatore di Francia a Venezia, Phiippe Canaye de Fresnes. Sarà più  facile, infatti, concludere la contesa dell’Interdetto sul piano politico-diplomatico, che arginare la diffusione di quegli scritti e delle idee di  ribellione e degli spiriti astiosi che essi suscitavano.  

La contesa si era conclusa ufficialmente il 21 aprile 1607, in virtù di  un compromesso negoziato dal cardinale de Joyeuse, intervenuto quale mediatore per incarico di Enrico iv di Francia: in base ad esso doveva  apparire che né l’uno né l’altro dei contendenti riconosceva di aver errato, e pertanto di essere stato sconfitto. A ben vedere, sconfitta era la  Sede Apostolica, anche se dirà che al momento dell’accordo il cardinale  aveva impartito di soppiatto una benedizione assolutoria alla Serenissima Signoria: sconfitta, anzi, proprio per aver cercato di salvare la faccia con questi mezzi; sconfitta perché, malgrado le difficoltà economico-finanziarie di cui si è detto, e il rischio dell’ostilità spagnola, non  bilanciata da un franco appoggio francese, la Repubblica non aveva  deflettuto dai suoi principi, mantenendo in vigore le sue leggi sulla proprietà ecclesiastica e continuando ad affermare il suo diritto a perseguire gli ecclesiastici che violassero le sue leggi. Punto di particolare importanza era poi che mentre i capuccini potevano rientrare nello Stato  veneto, ne rimaneva esclusa la Compagnia di Gesù, ossia l’ordine che  costituiva l’interprete più attivo ed efficace del rinnovamento  controriformistico della Chiesa. Si sentivano sconfitti anche il Sarpi e i  senatori suoi amici, per i quali la conclusione ottenuta non era sufficiente. Il risultato cui essi miravano non era tanto la difesa dello status  quo, quanto una riaffermazione indiscussa del potere della Serenissima  Signoria nelle materie ecclesiastiche, tale da rimetterla alla pari con le  grandi monarchie d’Europa: come, per fare un’ipotesi, il ricuperare il  diritto di nomina dei vescovi perduto nel 1510. Ma per ottenere questo,  la lotta con la SedeApostolica doveva essere portata avanti fino al limite  di una rottura, cioè fino alla minaccia di scisma; e la lotta,  (…)
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 Da 
Gaetano Cozzi 
Venezia Barocca 
Conflitti di uomini e idee nella crisi del Seicento Veneziano 
Il Cardo, 1995, Venezia 
Pagina 275