martedì 26 maggio 2009

Manuzio depositato. In banca

Manuzio depositato. In banca
Lorenzo Tomasin
Corriere del Veneto 21/05/2009

C’era una volta un tempo in cui le ban­che investivano in beni culturali. Stret­ti come sono nella morsa di una crisi che - dicono - impedirebbe loro di esporsi per­sino nella normale attività creditizia, gl’istituti di risparmio sono oggi assai meno propensi ad accumulare tesori d’arte. Ma, almeno in alcuni casi, si apprestano a promuovere e a far cono­scere quelli collezionati negli anni del (vero o presunto) miracolo italiano. È il caso, ad esem­pio, della Cassa di Risparmio di Venezia. Quan­do le fusioni bancarie che l’hanno fatta conflui­re nel gruppo Sanpaolo erano ancora di là da venire (correvano i tardi anni Cinquanta del se­colo scorso), alcuni membri del suo consiglio d’amministrazione pensarono che il minuscolo fondo librario posseduto dalla banca - e frutto, perlopiù, di donazioni o di circostanze occasio­nali - si sarebbe potuto trasformare in una vera e propria biblioteca dedicata a Venezia e alla sua storia attraverso una sistematica campagna di acquisti presso i librai antiquari della città. I quali, all’epoca, erano spesso rivenduglioli sen­za troppi scrupoli, pronti a straziare antichi vo­lumi per cavarne le pagine illustrate e venderle separatamente, a qualche decina di lire il foglio. Acquistare copie preziose di testi relativi alla storia, alle tradizioni, alla letteratura e all’arte della Serenissima, salvandole dalla dispersione di un mercato più incolto di quello odierno par­ve addirittura un’opera di impegno sociale e culturale nei confronti della città. Una beneme­renza. Dopo alcuni anni di assaggi e di esplora­zione, la biblioteca veneziana della Cassa di Ri­sparmio nacque nel 1962: iniziò così un piano d’acquisti che dai piccoli librai antiquari si este­se presto alle grandi aste internazionali. Allar­gandosi dai libri alle incisioni, e poi anche alle monete antiche. Purché, s’intende, veneziane.

In una elegante sala della Presidenza dell’isti­tuto, in Campo Manin, si accumularono uno dopo l’altro i più antichi libri stampati a Vene­zia: da quelli del mitico Vindelino da Spira, il ti­pografo tedesco che col fratello aveva portato in laguna la tecnologia inventata da Gutenberg (una copia, preziosamente decorata, del suo De civitate Dei è uno dei pezzi più suggestivi della collezione), a quelli di Aldo Manuzio, la cui bot­tega, vedi caso, si trovava proprio nell’area oggi occupata dall’edificio eretto negli anni Settanta fra Campo San Luca e Campo Manin. Ecco l’Hypnerotomachia Poliphili, feticcio del colle­zionismo librario moderno: è il celeberrimo li­bro illustrato uscito dai torchi manuziani nel 1499 (e poi ristampato ancora nel secolo succes­sivo), di cui la CaRiVe possiede sia la prima edi­zione, sia quella del 1545; ed ecco la Storia vene­ziana di Pietro Bembo, prodotta - in latino - da­gli stessi torchi.

Ma la parte, forse, più preziosa dei quasi tre­mila volumi che compongono la collezione non riguarda i grandi nomi e i volumi fin trop­po noti (e riprodotti) nell’ambiente degli studi e del collezionismo. Né riguarda i «pezzi da no­vanta » di una serie di album d’incisioni di Cana­letto e del Tiepolo. No: ciò che rende davvero pregiata una collezione come questa sono le cento e cento e cento rarità bibliografiche che compongono una completa galleria di storia culturale veneta. Sono i Garzoni, i Coronelli, i Morosini, i Nani; sono gli anonimi raccoglitori di leggi, decreti e atti della Repubblica.

Sono gli autori di un piccolo fondo di mano­­scritti, che spazia da una raccolta quattrocente­sca di tariffe e di regolamenti commerciali rela­tivi a Padova fino ad alcuni memoriali sulla vi­cenda dell’Interdetto. Troppo, davvero troppo per essere tenuto sotto chiave in una sala scono­sciuta al pubblico: la Cassa di Risparmio di Ve­nezia, assicura oggi il suo presidente Giovanni Sammartini, intende aprire le porte agli studio­si di cose veneziane e far conoscere, anche con esposizioni e mostre, il proprio patrimonio li­brario. Bussate e vi sarà aperto, dice Sammarti­ni, il cui unico rammarico è di non poter trasfor­mare la «sua» biblioteca in una vera sala di con­sultazione, visitabile in modo diverso che per appuntamento (bisogna rivolgersi alla sua se­greteria).

Poco male: grazie a un lavoro pluriennale, è intanto pronto un catalogo, che presto verrà messo on-line. E che forse farà tornare, a que­sta e ad altre banche, la voglia di protagonismo in un campo ben più ameno di quello fatto di numeri e di resoconti finanziari.

Restauri, sponsor addio l’arte salvata dall’arte

Restauri, sponsor addio l’arte salvata dall’arte
CORRIERE DEL VENETO, 21 MAGGIO 2009

Da museo Un concorso per disegnare «The Chair for Venice»

Obama L’icona pop Shepard Fairey dipingerà in piazza San Marco

Sedie, dipinti, design: i fondi arrivano dalle aste

Sedie, mura-les, dipinti e design. L’arte salva l’arte. E’ l’ultima frontiera del marketing, e a lanciarla per prima è Venezia attraverso l’onlus «Sms Venice». Che, per riuscire a trovare i fondi necessari per restaurare i propri monumenti si affida ora alla creatività. Basta sponsor, è arrivato il tempo di grandi designer mondiali che creeranno grazie all’azienda trevigiana Magis una «sedia per Venezia ». Ed è anche l’ora di Shepard Fairey (l’artista pop della campagna di Barack Obama) che dipingerà i teli di copertura delle impalcature di alcuni cantieri tra cui quello delle Procuratie Nuove a San Marco. In entrambi i casi royalties e vendite all’asta dovrebbero portare parecchi fondi nelle casse dell’Onlus e successivamente in quelle di Ca’ Farsetti. Solo per l’operazione «The Chair for Venice» si parla di cifre attorno ai 400 mila euro.

Tramontata l’epoca della ricerca sponsor porta a porta, Venezia prova dunque a rilanciare e cerca di superare il periodo di crisi economica con un’idea tanto semplice quanto (sulla carta) efficace: l’arte può salvare l’arte. Prima a partire è l’azienda trevigiana Magis che, appunto, assieme al progetto Sms Venice lancia un concorso internazionale riservato ai più importanti designer del mondo per la creazione di una sedia esclusiva ispirata a Venezia. «Sceglieremo il vincitore entro il 2009 — dice il presidente della società Eugenio Perazza — e la sedia entrerà in produzione a partire dall’ottobre del 2010». Ogni sedia venduta (va ricordato che molti oggetti di Magis sono presenti in numerosi musei d’arte contemporanea, dal Moma di New York al Design Museum di Londra) avrà poi una parte dei ricavati che verranno destinati al restauro di monumenti. «La seconda parte del progetto — dice il presidemte di Sms Venice Paolo Ambrosio — prevede che le sedie vengano poi personalizzate da artisti e quindi vendute all’asta come pezzi unici ». Operazione che Magis ha già fatto con il centro di ricerca contro il cancro di Miami e nelle casse dell’università americana sono arrivati 450 mila dollari. Sempre dall’America arriva il secondo «salvatore » di Venezia, la seconda pagina dell’arte che salverà l’arte. Shepard Fairey (autore del celebre logo «Hope» di Obama) sbarcherà in laguna la prossima settimana e per quindici giorni realizzerà dipinti itineranti i cui ricavati dalle vendite serviranno poi a restaurare la città. «Girerà la città assieme alla sua squadra di artisti — dice Tobia Tomasi, responsabile del progetto — realizzando grandi tele sul Canal Grande ma anche colorando direttamente le coperture di alcuni cantieri». Tra i quali quello delle procuratie nuove in piazza San Marco. Che nel periodo della vernice della Biennale potrebbe avere l’inconfondibile tratto pop dell’artista americano. «Sono doppiamente felice di queste iniziative — precisa Massimo Cacciari — non solo perché così si sensibilizza ulteriormente l’opinione pubblica sul problema della tutela e del restauro di Venezia, ma anche perché sarà rinnovato il connubio tra il grande design e la città. Venezia non è infatti solo, arte, 'facciata', ovvero quello che si vede sopra il pelo dell’acqua, ma anche ingegno, 'struttura', cioè quello che c’è sotto, la tecnologia che ha permesso di realizzare case e monumenti sul fango».

Massimiliano Cortivo

mercoledì 6 maggio 2009

Un «cuneo verde» fra Lessinia e città

Un «cuneo verde» fra Lessinia e città
Martedì 05 Maggio 2009 PROVINCIA Pagina 23 L'ARENA

LA PROPOSTA. Gruppi ambientalisti e Archivio Gazzola rilanciano i «corridoi» di collegamento fra il parco regionale e l’area di tutela collinare

Il primo passo è coordinare i Pat dei Comuni interessati armonizzando le norme con quelle adottate a Verona

Un cuneo verde, che partendo dalla Lessinia scenda fino a Ponte Pietra, aprendo il cuore monumentale della città al respiro ambientale e paesaggistico del territorio che le fa da corona, è l’obiettivo che dal 2003 perseguono l’associazione Lessinia Europa e il Comitato Colline Veronesi, a cui si sono aggiunti il Wwf e l’Archivio Gazzola. Partì infatti da una lungimirante intuizione dell’allora soprintendente ai Beni ambientali di Verona, Piero Gazzola, che la lanciò nel 1962 in un convegno intitolato «Urbanistica e civiltà», l’esigenza di tutelare le quinte collinari alle spalle della città con «le stesse misure intransigenti che si adottano per la tutela dei monumenti architettonici, essendo questo il solo modo per impedire la manomissione di una zona che, da splendida cimasa naturale è divenuta, in brevissimo volgere di tempo, una cintura attillata».
A quasi cinquant’anni da quella preoccupazione, che aveva fondati motivi, perché molto è stato irrimediabilmente perduto, si è fatto impellente definire un quadro normativo estremamente semplice e puntuale, in grado di incidere direttamente sulle scelte e sulle politiche urbanistiche relative al territorio collinare. «È successo nel 2008 con l’approvazione del Piano di assetto territoriale (Pat) di Verona, che si sancisse la “non edificabilità” di tale contesto di particolare valenza paesaggistica, panoramica e naturalistica, che si estende per 4 mila ettari da Ponte Pietra alle Torricelle e alle colline di Avesa, Quinzano e Montorio. Nemmeno per quanto concerne gli immobili funzionali alla gestione del fondo agricolo, i famigerati “annessi rustici”, fenomeno tipico della nostra Regione, che hanno devastato il tradizionale paesaggio agricolo veneto», sottolineano i responsabili delle associazioni coinvolte.
Da loro è venuta l’idea di estendere lo sguardo ad una scala territoriale più ampia constatando che, poco più a nord dell’area protetta istituita dal Comune di Verona come parco di interesse locale, sorge il Parco naturale regionale della Lessinia, che si estende per 10 mila sugli alti pascoli, ma scende anche a lambire la periferia cittadina e si protende lungo la direttrice dei principali vaj nella direttrice Nord-Sud.
Di qui la proposta che sarà presentata quest’oggi in una conferenza stampa e che è già stata anticipata nelle sue line essenziali in altre occasioni, della creazione di un’area naturalistica senza interruzioni che, partendo dalle pendici della Lessinia, si proietti direttamente nel cuore dell’area metropolitana veronese, attraverso le dorsali e i vaj delle colline alle porte della città.
In particolare si punta a realizzare la connessione Parco delle Colline-Parco della Lessinia attraverso il coordinamento dei Pat dei Comuni interessati, in due corridoi ecologici e viene proposta l’armonizzazione tra le norme del Pat di Verona con quelle degli altri Comuni attraversati dai corridoi: Boscochiesanuova, Cerro, Grezzana, Mezzane, Negrar, Roverè, San Martino Buon Albergo, San Mauro di Saline, Sant’Anna d’Alfaedo e Tregnago.

sabato 2 maggio 2009

Party blindato e stop all'obelisco «Pinault usa e getta questa città»

Party blindato e stop all'obelisco «Pinault usa e getta questa città»
Enrico Tantucci
La Nuova di Venezia 26/04/2009

«La presenza di François Pinault è eccessivamente ingombrante e nel suo rapporto con la città denuncia un’incompetenza totale. Anche la vicenda dei maxiobelischi di Tadao Ando, prima imposti e poi rifiutati, denota una concezione “usa e getta” di Venezia e dei suoi spazi». L’attacco ad alzo zero verso il finanziere è di Franco Miracco, portavoce del presidente della Regione Giancarlo Galan. Un fuoco di fila polemico all’indomani della decisione del finanziere di rinunciare ai due obelischi di cemento armato alti oltre 7 metri previsti a fianco del nuovo museo Pinault e del party tenuto nel complesso seicentesco del Benoni per festeggiare il matrimonio del figlio François-Henri con l’attrice messicana Salma Hayek. «Pinault farebbe bene a farsi vedere poco in laguna - insiste Miracco - e ad affidare l’immagine di Palazzo Grassi a Monique Veaute, che ha dimostrato di saperla curare egregiamente. Certo, proprio il comportamento di Pinault accresce il rammarico per il fatto che la Punta della Dogana non sia stata affidata alla cordata guidata dalla Fondazione Guggenheim, anziché a Palazzo Grassi, per gestire con ben diverso stile e professionalità Punta della Dogana, magari collaborando con la stessa Madame Veaute». Ma sull’atteggiamento delle autorità cittadine su tutta la vicenda punta il dito anche lo storico dell’architettura dell’Iuav Amerigo Restucci, consigliere della Biennale: «Fa piacere sapere che i due obelischi in cemento armato non verranno più collocati in campo della Salute. Colpisce di più sapere che a decidere sia stato il finanziere Pinault per sua autonoma scelta. A contrastare la collocazione dei due obelischi e a chiedere sulla vicenda l’intervento del Consiglio nazionale dei Beni Culturali era stata, meritoriamente, Italia Nostra, insieme a diversi cittadini, a fronte dell’oscurantismo dimostrato dalla locale Soprintendenza e dal Comune nell’appoggiare invece l’intervento». Prosegue polemicamente Restucci: «Sorprende che soltanto adesso appaiano diversi soloni che, a cose fatte, si dicono favorevoli al mantenimento dei delicati equilibri architettonici del Campo della Salute. Ci si chiede dov’erano prima, come per altre battaglie, quando, se le voci si levassero prima e si fosse in tanti, si riuscirebbe a difendere molto meglio il patrimonio di una città come Venezia». Plaude al dietro-front sui maxiobelischi di Pinault anche il capogruppo di An-Pdl alla Municipalità di Venezia Pietro Bortoluzzi mper il quale il finanziere ha dimostrato di avere maggior gusto e sensibilità «soprattutto rispetto a Soprintendenza, Salvaguardia, Giunta e Consiglio comunale, che si sono invece dimostrati incredibilmente miopi e proni, approvando un progetto così stonato e fuori luogo». Intanto la Punta della Dogana ospita per la seconda volta nel giro di un mese un ricevimento organizzato da Pinault. Circa un mese fa, però si era trattato solo della tradizionale ganzega, la festa di fine lavori con le maestranze del gruppo Dottor che hanno realizzato la ristrutturazione del complesso del Benoni. Venedì, invece, si è trattato del party blindatissimo e pieno di divi, legato al matrimonio del figlio di Pinault Francois-Henri con la bella attrice americana Salma Hayek. Si tratta ora di capire se questo uso “improprio” di Punta della Dogana - concluso l’allestimento del museo Pinault - non si ripeterà o se invece il collezionista francese interpreta in modo estensivo la convenzione trentennale stipulata con il Comune, inserendovi anche la possibilità di utilizzare il complesso seicentesco per scopi di rappresentanza. Nel qual caso, forse, si aprirebbe un problema.

La città antica La Soprintendenza rivela il risultato dei lavori

La città antica La Soprintendenza rivela il risultato dei lavori
Camilla Bertoni
CORRIERE DEL VENETO, 26 APRLE 2009

«Dopo 25 anni di scavi ecco il Campidoglio romano» Briciole, niente più, ma da quell’enorme quantità di briciole ritrovate in vent’anni di scavi archeologici Giuliana Cavalieri Manasse, direttore del nucleo operativo di Verona della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Veneto, è riuscita a compiere un'impresa che ha pochi altri riscontri: la ricostruzione, fin nei minimi dettagli, di quello che doveva essere l’imponente Capitolium di Verona romana, l’antico campidoglio. Di tutti gli scavi realizzati da quando è iniziato il suo incarico veronese (era il 1977) Manasse ha scelto di dare alle stampe gli esiti di questo lungo lavoro.

La città antica Il lavoro che riporta alla luce il Capitolium di Verona

«Dopo 25 anni di scavi nelle cantine dei palazzi ecco il Campidoglio romano»

La Manasse: un percorso museale, ma servono fondi

VERONA — Briciole, niente più, ma da quell’enorme quantità di briciole ritrovate in vent’anni di scavi archeologici Giuliana Cavalieri Manasse, direttore del nucleo operativo di Verona della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Veneto, è riuscita a compiere un'impresa che ha pochi altri riscontri: la ricostruzione, fin nei minimi dettagli, di quello che doveva essere l’imponente Capitolium di Verona romana (il Campidoglio). Di tutti gli scavi realizzati da quando è iniziato il suo incarico veronese (era il 1977) Manasse ha scelto di dare alle stampe gli esiti di questo lungo lavoro .

«Gli scavi sono iniziati in aree private interessate da opere di ristrutturazione », spiega Manass, 25 anni fa. «Nel 1983-84 i primi ritrovamenti sono emersi nelle cantine di Palazzo Maffei, tra 1986 e 1987 nei sotterranei del palazzo del Monte dei Pegni, poi nelle cantine di Palazzo Malaspina (su via Emilei) e infine dal 1988 al 2004, in varie fasi, nell’area di corte Sgarzerie ».

Quando si è iniziato a capire il significato e il valore di ciò che si veniva portando alla luce?

«Fin dal 1987 abbiamo capito che stavamo trovando la vera sede del Capitolium romano, che non poteva più essere identificato con i ritrovamenti nell'area di Piazzetta Tirabosco, che dal 1914 aveva assunto il toponimo di Campidoglio proprio in virtù di quanto allora si credeva. Ma la ricostruzione nel particolare è stata un lavoro enorme cui si è potuti arrivare mettendo insieme briciole su briciole».

Cosa si auspica per questi tesori archeologici, in gran parte ancora non visitabili al pubblico?

«Esiste un progetto per la loro musealizzazione e per un percorso con mezzi audiovisivi e ricostruzioni virtuali da farsi nel futuro Museo Archeologico a San Tomaso, ma per ora non abbiamo ricevuto alcun finanziamento. E senza i contributi della Fondazione Cariverona non avremmo neppure potuto realizzare questo scavo e questo studio». Uno studio che Pierre Gros, uno dei massimi studiosi di architettura romana, così commenta: «Grazie a questo volume il Campidoglio di Verona è entrato nel club molto ristretto dei monumenti antichi integralmente conosciuti e ricostruiti e resterà una delle testimonianze più evocative dell'architettura, dell'urbanistica e della storia delle città romane dell'Italia settentrionale».

Spunta una nuova porta della città romana

Spunta una nuova porta della città romana
Camilla Bertoni
Corriere del Veneto 29/04/2009

VERONA — Riaffiorano i «segreti» storici negli scanti­nati di Casa De Stefani, sede un tempo di una casa farma­ceutica, posta tra via Leonci­no, dove dà la facciata princi­pale, e vicolo Sant’Andrea. Un palazzo-monumento, dove si racchiude una storia che va dall’età romana fino al ‘900.

Da tre anni si scava nelle cantine perché ciò che sta emergendo è una postierla ro­mana, ovvero una porta secon­daria di accesso alla città. «Ne abbiamo trovate altre tre nella cinta municipale di Verona ­spiega Giuliana Cavalieri Ma­nasse, direttore del nucleo operativo di Verona della So­printendenza Archeologica del Veneto - una in corte Fari­na, una in via Mazzini e una in via San Cosimo, ma nessuna così ben conservata».

Lo studio è ancora in corso, ma Giuliana Cavalieri Manas­se spiega l’importanza del ri­trovamento: una porta che dapprima sembrava solo un accesso pedonale alla città, ma che con l’avanzare dei lavo­ri si è rivelata ben più com­plessa, con due fornici laterali più piccoli riservati ai pedoni e un grande fornice centrale di tre metri di ampiezza adat­to al passaggio dei carri. A ba­se quadrata, si alzava come una torre tra le mura. Struttu­ra che si intravede ancora nel­la sagoma del palazzo. Il forni­ce centrale è posto a cavallo di un cardo il cui basolato è anco­ra perfettamente conservato. Lungo il perimetro murario che correva sulla traiettoria di via Leoncino, la porta era la prima uscita dalla città verso la campagna alla destra della ben più monumentale Porta Leoni.

Un ritrovamento, quello del­la porta a tre archi, che si collo­ca tra i tanti che lo Stato non riesce a finanziare e che Stato ed Enti Locali non hanno le ri­sorse per valorizzare. Dopo i primi contributi allo scavo del­lo Stato, le indagini archeolo­giche sono state finanziate dai proprietari dell’edificio, che commentano: «Se qualcuno ama definire questi resti solo quattro sassi, e preferirebbe buttarli in padella, la nostra fa­miglia, anche chi non è diret­tamente implicato nella pro­prietà, ha preferito investire, non solo economicamente, per salvaguardare questi ritro­vamenti ». Si ma poi qual è il destino per questi tesori sommersi?

Giuliana Cavalieri Manasse ha intascato quest’anno zero euro dal ministero per l’arche­ologia veronese e nutre poche speranze sui fondi richiesti per la realizzazione del Museo Archeologico a San Tomaso, nel quale dovrebbe trovare va­lorizzazione il lavoro di scavo e soprattutto di ricostruzione del Campidoglio durato più di vent’anni e presentato pro­prio ieri.

I lavori vanno avanti grazie al sostegno della Fondazione Cariverona o, in rari casi, di privati illuminati.

E il Comune, che dalla valo­rizzazione di questi tesori po­trebbe trarre grande giova­mento?

«E’ doveroso e auspicabile ­dice l’assessore ai Lavori Pub­blici Vittorio Di Dio che sostie­ne l’ipotesi di creare un mu­seo della Verona sotterranea­che il Comune recuperi risor­se e collabori in maniera conti­nuativa con la Soprintenden­za per la valorizzazione delle aree di scavo e per altri proget­ti di musealizzazione dei resti recuperati. Con quanto si è trovato sotto l’Arena, sotto corte Sgarzerie e in altre zone di Verona si può costruire un circuito di grande valore e di grande attrattiva turistica. Sa­rà mio impegno organizzare un incontro su questi temi ap­pena possibile».

Il cemento, l’ambiente e i nuovi progetti

Il cemento, l’ambiente e i nuovi progetti
GIANBATTISTA RUFFO
01/05/09 CORRIERE DEL VENETO

L’intervento

La cementificazione speculativa a Verona continua come del resto in molte altre parti del nostro paese. Non entriamo nel merito del progetto sul traforo e della sua validità o meno: siamo solo preoccupati che il progetto venga dato in appalto a chiunque esiga come compensazione la possibilità di costruire aree e centri commerciali il cui proliferare a Verona e provincia è in continua preoccupante crescita, contro il buon senso, il rispetto dell'ambiente, l'uso di materiali di costruzione non consoni al paesaggio in cui sono inseriti e la costante e continua ma perversa eliminazione di aree verdi e di alberi, causa prima degli smottamenti dei terreni durante le grandi piogge. La domanda è sempre la stessa :' Cui prodest?' Certo a qualcuno 'prodest', ma alla maggior parte degli abitanti del nostro pianeta piacciono le eccessive cementificazioni, in prevalenza di centri commerciali muniti di tutto, grigi e stordenti ma senza anima?A giudicare dal numero delle persone che li frequentano sembrerebbe che la nostra società li accetti ma riteniamo opportuno soffermarci sul fatto che questo fenomeno di appiattimento di valori ed interessi tradizionali a vantaggio di pochi, sempre più ricchi, senza preoccuparsi delle generazioni future che saranno le vere vittime di questo sistema inquinante ed inquinato procurerà a tutti, anche ai figli ed ai nipoti di coloro che oggi speculano, una vita ancora più difficile e complessa dell'attuale. Aumenteranno anche le malattie legate al deterioramento dell'ambiente ma allora,a questo punto, ci viene spontaneo domandarci perché l'uomo non cerca di risolvere questi problemi fin da ora? Se il traforo è necessario per rendere più vivibili quartieri della città congestionati dal traffico, incanalato nel frattempo in strozzature obbligatorie ormai insostenibili, perché cementificare anche le aree verdi che costeggiano la nuova arteria? Un progetto ' pubblico, deve prevedere a monte le sue fonti finanziarie che devono rimanere' pubbliche' e non giustificarne una realizzazione in assoluto. Se quindi mancano le risorse finanziarie pubbliche,ciò non giustifica ed ancor meno obbliga l'Amministrazione a ricorrere ai finanziamenti privati essendo fin troppo ovvio che il' privato' finanzia'il pubblico' solo se ha utili e guadagni. Se ciononostante l'Amministrazione persegue queste scelte contribuisce alla distruzione dell'ambiente e va contro il benessere dei cittadini residenti nelle zone in questione. A conferma di quanto asserito, citiamo altri due esempi.

Tutta la città ha approvato l'abbattimento dei fabbricati delle ex Cartiere ed il risanamento della zona in precedenza ricettacolo dello smercio di droga e luogo di pernottamento di drogati e malavitosi in genere ma sia ben chiaro che il problema è stato risolto velocemente non per le capacità decisioniste che riconosciamo al nostro Sindaco ma perché sono state concesse ampie ed evidenti deroghe edilizie ai proprietari dell'area permettendo per esempio loro di elevare da 70 a 100 metri le torri previste nel precedente progetto. E, quando l'Assessore competente giustifica'pubblicamente'tale concessione dichiarando alla stampa che le torri alte cento metri invece di settanta sono molto più belle esteticamente, il cittadino si sente preso per i fondelli. Tutti sappiamo infatti che ogni aumento di cubatura deve essere compensato da un corrispondente aumento di area verde 'piantumata'( solo gli alberi contribuiscono alla diminuzione dell'inquinamento assorbendo anidride carbonica) mentre è stata allargata solo l'area erbosa. E 'dulcis in fundo' l'area delle caserme Passalacqua e S.Marta dismesse dai militari ed acquisite dal Comune. Rispetto al precedente progetto, anche in tal caso, sono state apportate modifiche radicali che lo snaturano. Infatti rispetto al Piano Ferlenga( autorevole architetto dell'Università di Venezia),sono state consistentemente diminuite le aree verdi attorno alle vecchie mura magistrali e raddoppiate quelle residenziali(da 12.000 metri quadri a 25.000), riducendo inoltre di due terzi il polo didattico, gli spazi universitari ed i posti auto passati da 1.000 a 323.Vogliamo citare, per concludere, quanto disse Elio Mosele, in occasione della scorsa campagna elettorale nella quale venne eletto Presidente della Provincia, e che condividiamo in toto:'La Passalacqua deve essere destinata ad attività universitarie e per il quartiere di Veronetta. Il Comune ha invece inserito nuove abitazioni, con un intento speculativo che va contro la volontà dell'ateneo'. Indubbiamente anche nelle scelte strategiche dell'Università esistono, fra i docenti, due scuole di pensiero. Ci rammarica non poco l'attuale sintonia dell'Università con le scelte dell'Amministrazione pubblica che la depauperano di spazi vitali e quindi la danneggiano.