domenica 20 dicembre 2009

Il Matrmonio con il Mare - dal film il Leone di Venezia


Il Matrmonio con il Mare - dal film il Leone di Venezia

giovedì 17 dicembre 2009

Si vende anche il palazzo del Capitanio

Si vende anche il palazzo del Capitanio
Giovedì 17 Dicembre 2009 L'ARENA

LA PARTITA DELLE ALIENAZIONI. Con un emendamento al documento finanziario Palazzo Barbieri dà il via a un’asta pubblica per la quota di edificio verso piazza Viviani

Il Comune ne mette all’asta una parte per 10 milioni, ma scoppia il caso.

Il Pd: «Si svende tutto»

Imbarazzi nella maggioranza

Va in vendita un altro edificio storico. Il Comune mette all’asta una parte del palazzo del Capitanio, con base d’asta 10 milioni. È l’ala del complesso rivolta verso piazza Viviani, con destinazione commerciale, residenziale e direzionale, cioè per uffici, e potenzialmente anche ricettiva, quindi alberghiera. Il Comune vuole destinare i soldi che ricaverà per pagare i lavori di ristrutturazione dell’ex Arsenale.

RESTAURI. L’amministrazione, su proposta dell’assessore al patrimonio Daniele Polato, ha inserito sul filo di lana l’emendamento relativo all’alienazione del Palazzo dell’ex Tribunale nel bilancio previsionale 2010, la cui discussione è cominciata ieri pomeriggio in Consiglio comunale. Con i fari puntati, fin da subito, proprio su quell’emendamento. Sui banchi dell’opposizione contesta in particolare l’operazione il gruppo del Pd, soprattutto per il fatto che — come rilevavano i consiglieri in una conferenza stampa prima della seduta — «la Giunta l’ha inserita all’ultimo momento, senza che ne fossimo a conoscenza. Avanti di questo passo si svende la città», dice il capogruppo Stefania Sartori, con i colleghi Roberto Uboldi, Fabio Segattini, Giancarlo Montagnoli e Carla Padovani. Ma anche nella maggioranza di centrodestra in Consiglio sono emerse perplessità, sull’operazione.

LA SCELTA. La quota in vendita del palazzo del Capitanio, già sede degli uffici giudiziari (fatto costruire da Cansignorio della Scala a partire dal 1360 circa; il nome sarebbe infatti palazzo di Cansignorio) è di 5.663 metri quadrati, su quattro piani, più 232 di sottotetto. L’asta sarà pubblica, con eventuale facoltà di accettare anche offerte inferiori (previo parere favorevole della Giunta), negli esperimenti di gara successivi al primo che fosse risultato deserto. Con l’emendamento al bilancio l’amministrazione stralcia così dal Piano triennale delle opere pubbliche l’intervento di ristrutturazione del palazzo. «Svendita? Macché. Vendiamo la parte più degradata e non più utilizzata. Ristrutturarla costerebbe 60 milioni», dice Polato, «mentre resta di proprietà comunale la parte verso piazza dei Signori, tutt’ora occupata, che comprende la torre. Per la Sovrintendenza l’operazione è possibile e qualsiasi soluzione di cambio di destinazione è sempre migliore rispetto alle attuali condizioni vergognose dell’edificio, dove regna la sporcizia. La destinazione srà soprattutto residenziale».

Il Pd contesta che dopo aver venduto palazzo Forti, oltre al Gobetti, oltre a cedere all’Agec l’immobile delle mensa del Camploy, il Comune si privi anche di un altro edificio. Che fra l’altro pareva destinato a ospitare il museo di Storia naturale. «Con la Fondazione Cariverona che ha Castel San Pietro, lascia la Galleria d’arte moderna a palazzo Forti, ha il polo culturale agli ex Magazzini generali, con il palazzo della Ragione per le mostre, non aveva senso che anche quella parte di Palazzo del Capitanio diventasse un museo. Noi comunque abbiamo sempre detto che le risorse da alienazioni patrimoniali finanzieranno il restauro dell’Arsenale, che costa 80 milioni».

mercoledì 9 dicembre 2009

La filanda, le cave: «Piazza San Marco costruita qui»

La filanda, le cave: «Piazza San Marco costruita qui»
8 dicembre 2009, CORRIERE DEL VENETO

L’intervista Il futuro? Con Este, Montagnana e le Terme

Lo storico Valandro: culla di anarcosocialisti

«Nel 1200 Monselice era un centro vivace, aveva circa cinquemila abitanti, contro i ventimila di Padova. Poi venne la Serenissima e la cittadina visse un periodo di sonnolenza. Con la prima filanda riprese quota, fu centro di irradiazione del movimento anarco-socialista. Vennero le guerre, l’emigrazione, gli operai, la ferrovia, le industrie delle cave, del cemento. Ora, dopo il declino della grande industria, vedo un futuro turistico integrato con Este, Montagnana e l’area termale. Monselice offre il monte sacro, la Rocca medievale che domina la pianura e si vede da lontano. E il suo bell’ambiente collinare».

La sintesi storica è del professor Roberto Valandro, 67 anni, per definire il quale bastano le dimensioni di una delle sue fatiche letterarie: tre volumi dedicati interamente a Monselice, quasi ottocento pagine dense di storia. Un viaggio nei secoli, anzi, nei millenni di Monselice, dall’età del bronzo all’epoca del cemento, con il dichiarato intento di salvarne il patrimonio orale.

Professore, cos’è Monselice?

«Prima di iniziare volevo annunciare che proprio di recente è stata scoperta una stazione dell’età del rame, cioè 4-5mila anni avanti Cristo. Il mio libro partiva invece dall’età del bronzo, duemila anni dopo. Sono stati ritrovati frammenti ceramici, reperti archeologici che retrodatano l’origine di questi luoghi. Monselice? Monselice è una città aperta, crocevia di flussi commerciali, lavorativi e migratori. Questo è diventata ma per capirne di più bisognerebbe raccontare le sue origini».

Da dove partiamo considerando lo spazio di un articolo?

«Facciamo dalla prima industria della metà dell’800, ricordando però che la repubblica Serenissima ha lasciato un’eredità architettonica di pregio, con ville in stile veneziano. Fra gli attori principali del rapporto di Monselice con Venezia, la famiglia Cini. Vittorio, padre di Giorgio della Fondazione Cini di Venezia, aveva le cave. Fu lui a iniziare. Sposò una donna di Monselice. Le cave hanno avuto nel tempo una grande importanza per il Veneto. Con il materiale estratto dal monte Ricco si sono fatti gli argini del Polesine e l’autostrada Padova-Bologna. La pietra è stata usata anche per piazza San Marco».

E la filanda?

«La prima venne impiantata nel 1846, primo e unico insediamento industriale nella Bassa Padovana fino agli anni ’70. Si chiamava Trieste come i suoi fondatori, Maso e Giacobbe, che a Padova avevano creato un potentato economico: Maso fu fondatore della Banca Popolare nel 1866. Alla filanda Trieste lavoravano 187 operai: 7 maschi, 144 femmine sopra i 18 anni, 20 femmine sotto i 18, 6 sotto i 14, 10 sotto i 10. Particolarità: le filandiere venivano quasi tutte da fuori, soprattutto da Valdobbiadene e da su».

Perché?

«Perché erano più forti delle nostre, più montanare, più abituate alla fatica delle 14 ore lavorative al giorno. Il primo sciopero della Bassa lo fecero proprio loro e naturalmente rappresentò un atto rivoluzionario».

Perché Monselice ha radici anarcosocialiste?

«Fu la reazione ottocentesca alle classe padronale. Guidarono quel movimento Carlo Monticelli e Angelo Galeno. Monticelli rappresentava l’ala estremista, quella che oggi potrebbe essere il circolo Varalli, il centro sociale. Era per la rivoluzione. Galeno, che fu anche onorevole, rappresentò invece il fermento socialisteggiante più istituzionale. Da lì nacquero le società operaie che garantivano la mutualità».

Altre tappe fondamentali della storia di Monselice?

«Sicuramente la realizzazione della ferrovia, che ne fece un importante snodo commerciale. Cini aveva un treno speciale per trasportare la trachite a Venezia. La vaporiera veniva chiamata Vacca mora perché trainava i vagoni come il bue con il carro. Altro periodo importante, il dopoguerra, con l’emigrazione nel triangolo industriale Milano-Torino-Genova che venne in parte compensata dall’immigrazione dal meridione. Questi movimenti fecero di Monselice una città aperta, molto più di Este e Montagnana, che era esclusa da questi passaggi ».

Politicamente?

«Dal dopoguerra è stato un feudo della democrazia cristiana, poi ci fu una parentesi comunista, ora è riemersa l’anima liberale».

Filanda e cave non esistono più. Resiste il cemento. Quale sarà la futura Vacca mora di Monselice?

«Io penso che l’industria del futuro potrebbe essere quella turistica, integrata con Montagnana, Este e le terme. Montagnana ha mura strepitose, Este uno splendido museo nazionale atestino, a Monselice si respira invece un’atmosfera medievale e veneziana. E per chiudere, un bagno caldo qualche chilometro più su».

A.P.

lunedì 7 dicembre 2009

PADOVA: ritrovati reperti archeologici

PADOVA: ritrovati reperti archeologici
Venerdì, 10 Marzo 2006 Il Gazzettino online

È lungo 14 centimetri. Un pollicione, quindi, che apparteneva alla mano di una statua alta almeno sei metri, di cui per il momento non ci sono altre tracce, che risale al III o IV secolo dopo Cristo. L'eccezionale reperto archeologico in marmo bianco è stato rinvenuto nel sottosuolo del cortile dell'ex Tribunale di via Alessio, dove sono in corso i lavori per trasformare la struttura in un centro Culturale. Il cantiere, che procede sotto lo stretto controllo della Sovrintendenza, nelle scorse settimane aveva riservato altre sorprese, dato che erano state rinvenute moltissime anfore di epoca romana che servivano per il drenaggio del terreno.
La presenza della statua potrebbe aprire nuovi scenari su come veniva utilizzato il sito all'epoca: fino a oggi, infatti, si è creduto che fosse a uso esclusivamente residenziale, mentre adesso si può ipotizzare che fosse monumentale.

«Per ora - spiega Maria Angela Ruta, responsabile della Tutela Archeologica della Soprintendenza - possiamo solo dire che si tratta di una rarità. Il dito, di epoca tardo-romana, appartiene a una statua di grandi dimensioni, tipica del periodo di Costantino, quando si realizzavano opere colossali di questo tipo, dedicate agli imperatori. Siamo di fronte, quindi, all'indizio di un qualcosa di imponente, ma non siamo certo in grado di dire se sarà possibile recuperare tutto il resto, oppure altri pezzi. In questo momento lo scavo è interessa un periodo ancora più indietro nel tempo, cioè l'epoca romana del I secolo dopo Cristo, come testimonia la presenza di numerose anfore di quel periodo che stiamo recuperando e mettendo al sicuro. Nel frattempo sono in corso le analisi sul pollicione per capire con che marmo sia stato realizzato: potrebbe essere addirittura quello di Paros».

Luisa Boldrin, assessore ai Beni Monumentali, sta seguendo da vicino i lavori che porteranno alla realizzazione del nuovo Centro culturale. «Il cantiere è blindato e protetto da una stretta sorveglianza - ha ricordato - per evitare che possano entrare degli sciacalli. Lo scavo sta evidenziando questa connotazione monumentale del luogo dal punto di vista archeologico, che invece si pensava fosse in epoca romana un rione ad alta densità abitativa. Dove oggi c'è il co plesso del San Gaetano è possibile che nell'antichità ci fossero gli edifici di grandi dignitari e questo spiegherebbe la presenza di una statua colossale. Ma si può pensare anche che l'opera a cui appartiene il ditone appena trovato fosse collocato nel Foro Romano che si trovava sotto l'area dove oggi c'è il Pedrocchi».

Lo scavo che interessa la superficie di quella che diventerà la nuova piazza coperta andrà avanti per almeno un altro paio di mesi: per il momento interessa la metà della superficie, ma nelle prossime settimane si sposterà sull'altra porzione di terreno, dove si spera di poter trovare la statua. Questa zona non era oggetto di indagini sotterranee dal 1300, da quando Tiberio dei Tiberi, appartenente alla Congregazione degli Umiliati, aveva fondato lì un piccolo monastero, con attigua la chiesa detta di San Francesco Piccolo.
nella foto
Prato della Valle

martedì 1 dicembre 2009

Archeosorpresa a Pesina e così ripartono gli scavi

Archeosorpresa a Pesina e così ripartono gli scavi
Domenica 29 Novembre 2009 l'arena

CAPRINO. La campagna ha avuto anche un consistente finanziamento da parte della Regione

Emerge una pavimentazione in pietra forse dell’Età del bronzo Salzani: «Se ci fosse la conferma sarebbe un evento eccezionale»

Una scommessa vinta. È un rarissimo e raffinato esempio di dimora di pietra, forse della media e recente Età del Bronzo (1600-1100 a.C.), quella emersa dallo scavo di Castel di Pesina, a Caprino, che Comune e Regione hanno nuovamente finanziato visti gli incredibili risultati dell’anno scorso, quando il ritrovamento colse di sorpresa gli archeologi intenti a lavorare sulle testimonianze di un villaggio del IX secolo a.C., quindi meno antico.
La novità ha fatto così cominciare la quarta campagna di ricerca, sempre curata dagli archeologi Martina Benati e Giovanni Ridolfi sotto la direzione del professor Luciano Salzani della Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto - Nucleo operativo di Verona, appoggiati dal dottor Franco Zeni, responsabile del Museo civico, che ha sempre partecipato al cantiere, aperto quest’anno il 21 settembre e ora in chiusura.
«Data l’importanza dei ritrovamenti del 2008 ritenevamo fondamentale fare approfondimenti, come ci hanno permesso un nuovo e ingente contributo della Regione e il supporto logistico e in parte finanziario del Comune», dice Salzani. «Ci siamo così ancora concentrati sul lato est della cima del pianoro di Pesina», proseguono Benati e Ridolfi, «precisamente sul margine rivolto verso Caprino nella proprietà apertaci dalle suore della Compagnia di Maria, dove il "sondaggio 19", del 2008, aveva restituito parte dei resti di un’abitazione proto storica, una capanna forse risalente al 1600-1100 a.C., data che confermeremo non appena avremo il risultato dello studio dei materiali», dicono i due archeologi i quali, al pari di Salzani, fecero notare la preziosità di una simile scoperta.
Ora quel sondaggio, che era 35 metri quadri circa, è stato allargato. E lo scavo ha regalato dell’altro: «È emerso il resto della pavimentazione, sempre fatto con lastre di Nembro Rosato, pietra portata dalla vicina Lubiara». «A una prima analisi, i materiali sembrano attribuibili all’ Età del Bronzo», dice Salzani, «cosa che farebbe di questo ritrovamento un rarissimo esempio in tutto il Nord Italia di abitazione di tale periodo costruita in pietra, invece che legno, con una tecnica costruttiva che è, tra l’altro, evoluta e non certo primitiva». «Fosse anche dell’Età del Ferro (IX -V secolo a.C)», aggiunge, «sarebbe un rinvenimento eccezionale in quest’area poiché qualche esempio esiste solo in Lessinia».
Il sito di Castel di Pesina si delinea sempre più significativo anche per la continuità degli insediamenti che lo caratterizzano.
Infine Salzani annuncia che i risultati dello scavo, in relazione proprio ai materiali affiorati, saranno esposti in un convegno che Soprintendenza e Comune stanno già organizzando.

sabato 28 novembre 2009

Via i cipressi, Zanzotto: «Criminali»

Via i cipressi, Zanzotto: «Criminali»
28 NOVEMBRE 2009 corriere del VENETO

Volpago, il Comune rifà il viale e abbatte gli alberi verso il santuario. L’ira del poeta

Il Comune di Volpago taglia i cipressi a Santa Maria della Vittoria. Una scelta dettata dalla volontà di completare l’intervento di riqualificazione della località montelliana, iniziato la scorsa primavera e costato 157 mila euro, alle casse municipali. Un’opera attesa dai residenti che da anni chiedevano una piazza decorosa nella frazione, conosciuta soprattutto per il suo Santuario costruito dopo la Grande Guerra.

La rabbia del poeta

L’area, infatti, è tra le più significative del primo conflitto mondiale e proprio per questo vi sono stati piantati dei cipressi, così come in tutti gli altri luoghi «Sacri alla Patria». La strada della vicina Colonna Romana ma anche quelle che portano ai ponti che attraversano il Piave, sono caratterizzate da questa presenza, per ricordare la storia e soprattutto per onorarne le vittime.

Il Comune di Volpago del Montello ha però ritenuto che i maestosi cipressi avessero fatto il loro tempo e, pochi giorni fa, li ha fatti tagliare e sostituire, non senza fatica vista la loro mole. «Conosco bene quel luogo e ricordo i cipressi di Santa Maria – commenta il poeta Andrea Zanzotto –, ritengo che rimuovere qualcosa che ha un significato così profondo e storico, sia sempre un atto criminale e credo che non serva dire altro per esprimere quello che provo».

Gli Alpini

Parole gravi quelle di Zanzotto, anche se - sulla questione - il capogruppo degli Alpini di Santa Maria tenta di gettare acqua sul fuoco. «Non erano piante belle e poi erano poco adatte al clima del Montello – spiega Angelo Gai, Capogruppo Ana – con la neve erano pericolose, inoltre i ciclisti vi si appartavano dietro per le loro esigenze corporali: una cosa indecente visto che, come Alpini, abbiamo anche costruito un bagno pubblico per i turisti». A contestare la tesi di Gai, tuttavia, è un esperto di questioni ambientali come Umberto Zandigiacomi, presidente di Italia Nostra a Treviso: «Ho seri dubbi che i cipressi siano pericolosi poiché sono piante robuste con radici profonde, proprio grazie a queste caratteristiche si sono diffuse facilmente. L’impressione è che si modifichi in modo errato un posto che ha 90 anni di storia: dal mio punto di vista è un crimine, ma si sa: quando prevale l’ignoranza...».

Il ruolo della Provincia

Zandigiacomi ricorda poi come il Montello sia un luogo di memoria, tant’è che la Provincia ha investito molto per promuoverlo in tal senso. Per ironia della sorte, però, proprio la Provincia ha cofinanziato con 50 mila euro l’intervento del Comune, forse ignara del taglio dei cipressi monumentali.

«Cemento sul Botteniga»

I siti di pregio a rischio, comunque, sarebbero anche altri, tant’è che Anna Mirra e Luigi Calesso di «Un’altra Treviso» hanno denunciato un intervento di cementificazione su un casolare di via Botteniga a Treviso, che nel 2007 la Fondazione Benetton aveva classificato come «luogo di valore » per la sua valenza architettonica e paesaggistica. Perché dunque si chiedono i due esponenti dell’associazione - costruirci sopra un condominio? «Al danno si aggiunge la beffa – spiegano Mirra e Calesso - , nella pubblicità per la vendita degli appartamenti, infatti, la caratteristica di “luogo di valore” viene utilizzata per aumentare il prestigio della nuova edificazione. Ecosistema, valore storico e paesaggistico, peculiarità urbanistica: nulla di tutto questo rimarrà alla fine dei lavori».

Ingrid Feltrin

SCAVI A SAN ZENO. Nell’area del parcheggio altri reperti dopo le tombe «alla cappuccina»

SCAVI A SAN ZENO. Nell’area del parcheggio altri reperti dopo le tombe «alla cappuccina»
Sabato 28 Novembre 2009 - L'ARENA

Sotto piazza Corrubbio spunta un pezzo di muro

Di forma semicircolare, dovrà essere visionato dalla Sovrintendenza E martedì si riapre al traffico l’incrocio di piazza Arditi e via Marconi

Spunta un pezzo di muro sotto piazza Corrubbio, nel tratto verso via Da Vico, nel luogo in cui dovrebbe sorgere il — contestato — parcheggio interrato, misto pubblico e pertinenziale. I tecnici addetti agli scavi per verificare se sotto il terreno ci sono reperti archeologici tali da bloccare il via ai lavori, hanno trovato tracce di un muro, lungo circa tre metri, di forma semicircolare, ancora avvolto da terra e sassi.
Sarà ora la Sovrintendenza ai beni archeologici a dover verificare a che cosa appartiene quel tratto di muro, che ricorderebbe la parete di un pozzo, vicino al quale però si intravede anche un blocco di marmo che fa pensare a una colonna.
Dopo le «tombe alla cappuccina» emerse nella prima parte dei sondaggi del terreno, nel tratto di piazza Corrubbio verso piazza Pozza, giudicate di scarso valore e quindi asportate, ecco dunque un altro reperto, che dovrà essere valutato attentamente. La ditta che ha ottenuto il diritto di costruire il parcheggio, lo ricordiamo, è la Rettondini, che sta provvedendo da qualche mese ai carotaggi nel terreno.
Intanto, martedì, 1 dicembre, sarà riaperto al traffico l'incrocio tra piazza Arditi, via Manin, vicolo San Silvestro, via Marconi, essendosi conclusa la prima fase dei lavori per spostare i sottoservizi, una fase di opere propedeutiche a costruire il parcheggio pertinenziale di piazza Arditi.
«L'apertura avviene con qualche giorno di anticipo rispetto ai tempi di esecuzione previsti», spiega l’assessore alla mobilità Enrico Corsi, «che sono stati notevolmente contratti proprio per rispondere alle esigenze dei commercianti della piazza, che chiedevano la riapertura al traffico durante il periodo natalizio. Ringrazio la Sovrintendenza archeologica, Agsm, Acque Veronesi e l’impresa che sta realizzando i lavori, che grazie alla collaborazione coordinata hanno consentito di raggiungere questo obiettivo a favore della città e delle attività economiche». Il traffico in prossimità di piazza Arditi era stato chiuso il 5 ottobre. In questo periodo sono stati anche eseguiti gli scavi archeologici nell'area del futuro parcheggio pertinenziale, nel quale nel giro di due anni saranno ricavati 140 posti auto.
E.G.

Necropoli dell’età del bronzo alle porte di Nogara

Necropoli dell’età del bronzo alle porte di Nogara
28 NOVEMBRE 2009 L'ARENA

SCOPERTO DAGLI ARCHEOLOGI L’ULTIMO GUERRIERO DELL’OLMO

È l’ultimo dei 44 guerrieri che 3.500 anni fa furono sepolti con le loro spade nella necropoli dell’Olmo, a Nogara. Gli archeologi guidati da Luciano Salzani hanno rinvenuto la sua tomba nel cortile di una vecchia corte che era stata risparmiata dalle campagne di scavi condotte dalla sovrintendenza dal 2000 al 2004 e che avevano portato alla scoperta di 547 tombe tutte risalenti al periodo tra il 1400 e il 1300 avanti Cristo. Con questo rinvenimento gli archeologi ritengono di aver portato alla luce interamente la più importante necropoli dell’età del bronzo in Nord Italia.
La scoperta riguarda un popolo di guerrieri che si era insediato sulle rive del Tartaro, a nord della necropoli, che viveva di caccia e di agricoltura ma che non disdegnava, a quanto pare, l’arte della guerra come dimostra la spada lunga 68 cm.

mercoledì 25 novembre 2009

QUARTO D’ALTINO Arrivano soldi per il museo ma non bastano per riaprirlo

QUARTO D’ALTINO Arrivano soldi per il museo ma non bastano per riaprirlo
Domenica 22 Novembre 2009, IL GAZZETTINO

Dal ministero dei Beni culturali 500 mila euro per il museo di Altino, ma basteranno solo per i lavori di manutenzione. Infatti per riaprire i due fabbricati con più di mille metri quadri di spazi serve una cifra che si aggira attorno ai 10 milioni di euro. La “modesta” cifra di 500 mila euro servirà solo e soprattutto per rimettere a posto gli infissi. E così il museo che si trova nella storica via San’Eliodoro della splendida frazione vicina a Quarto d’Altino, costruito nel 1994, resterà ancora chiuso. Non si sa per quanto. Furono alcuni abitanti a lanciare l’allarme nel gennaio scorso. Il nuovo museo che dovrebbe ospitare 48.000 reperti archeologici è diventato la classica opera italiana senza fine. Tanto che gli stessi abitanti di Altino (attualmente 92 in tutto!) avevano lanciato l’idea di rivolgersi alla popolare trasmissione televisiva “Striscia la notizia”. Ci aveva provato il parlamentare Michele Vianello dei Ds nel 2003 con una cospicua richiesta di 6 milioni di euro avvenuta durante una seduta parlamentare, ma la risposta fu “picche”. Da tempo si è impegnato il consigliere comunale della Lega Nord Lewis Trevisan anche in qualità di assessore all’Ente Parco del Fiume Sile con delega al turismo. Trevisan aveva inviato dettagliate relazioni sul problema al presidente dei senatori della Lega Federico Bricolo oltre a recarsi personalmente a Roma al ministero dei beni culturali. Ormai il vecchio museo inaugurato il 29 maggio del 1960 che si avvia a compiere mezzo secolo di vita, non ha più spazi per contenere i nuovi reperti.
Ora c’è da chiedersi, quanto tempo rimarrà ancora chiusa questa struttura che ormai si sta rivelando come una cattedrale nel deserto. Eppure Altino con le sue bellezze archeologiche e paesaggistiche ed il suo collegamento con l’isola veneziana di Torcello potrebbe arricchirsi ulteriormente di turismo, settore sempre più trainante.

venerdì 20 novembre 2009

venerdì 6 novembre 2009

Castel San Pietro, presto il sì della Soprintendenza

Castel San Pietro, presto il sì della Soprintendenza
Mercoledì 04 Novembre 2009 L'ARENA

CULTURA. La Fondazione Cariverona illustra in commissione urbanistica il progetto del museo

Poi l’iter proseguirà, inizio dei lavori forse già entro la fine dell’anno Uboldi (Pd): «Con l’archeologico la collina diventi un parco museale»

Tra alcuni giorni arriverà la risposta della Soprintendenza regionale sul progetto di riqualificazione di Castel San Pietro e quindi l’iter proseguirà spedito tanto che i lavori potrebbero partire già prima della fine dell’anno. È quanto è stato comunicato alla commissione Urbanistica dai progettisti Stefano Gris ed Elisabetta Bedeschi che, insieme al responsabile dell’ufficio tecnico di Fondazione Cariverona, Renzo Avesani, hanno illustrato il progetto.
Il piano della ristrutturazione che trasformerà l’ex caserma austriaca, ceduta nel 2006 dal Comune alla Fondazione per circa 11 milioni di euro, in un museo d’arte moderna e contemporanea, è stato presentato alla Soprintendenza di Venezia il 15 ottobre scorso e i progettisti si attendono un parere positivo a giorni. Nel frattempo la Fondazione è già andata avanti con la progettazione ed è praticamente pronta per aprire il cantiere che durerà due anni e che costerà circa 15 milioni di euro.
Gris ha spiegato nel dettaglio il futuro di Castel San Pietro, soffermandosi in particolare sulla cisterna viscontea che diventerà il fulcro multimediale dell’intero percorso museale, e sul ripristino della funicolare con la creazione di una nuova stazione di arrivo. E proprio sulla funicolare si sono concentrate le maggiori curiosità da parte dei consiglieri.
Roberto Uboldi (Pd), lanciando la proposta di collegare al futuro museo d’arte moderna e contemporanea anche il vicino museo archeologico, tramite una convenzione che trasformi la collina nel «piatto forte della cultura cittadina», ha chiesto lumi sulla scelta della funicolare piuttosto che sulle ipotesi di ascensore e scala mobile. Il progettista ha spiegato che si è voluto ripristinare la situazione originale perché costituirebbe un minor impatto visivo. Inoltre ha aggiunto Gris, «è previsto sul lato sinistro della funicolare un piccolo parcheggio, ma sarà oggetto di un progetto integrato anche perché ci sono da risolvere questioni di proprietà».
E proprio sulla proprietà, ancora comunale, della vecchia stazione di partenza della funicolare, si è invece espresso Francesco Spangaro (Lista Tosi) ricordandola come storica sede del Teatro Laboratorio e chiedendo l’eventuale convivenza sia dell’attività teatrale che della funivia. Avesani ha risposto: «Ci sono delle difficoltà tecniche, ma in ogni caso sarà necessario trovare un accordo con l’amministrazione comunale che è proprietaria dello stabile».
G.C.

Sospeso il taglio delle robinie di San Zeno

Sospeso il taglio delle robinie di San Zeno
Giovedì 05 Novembre 2009 L'ARENA

VERDE PUBBLICO. Motoseghe ferme sulle Regaste dopo l’abbattimento delle prime 14 piante. Dubbi anche sugli stalli attorno all’Arena: «Una scelta poco felice»

La Soprintendenza, che ha anche compiti di tutela paesaggistica, blocca tutto dopo aver ricevuto la petizione con 600 firme. Ora si aprirà un confronto con il Comune

Motoseghe ferme. La Soprintendenza ha bloccato il taglio delle robinie alle Regaste di San Zeno e ha chiesto al Comune di visionare la perizia del 2006 sulla base della quale Amia, che ha in gestione il verde cittadino, aveva stabilito di abbattere 24 piante. (14 sono già state tagliate). Contestualmente, ha incaricato il Corpo forestale dello Stato di preparare una relazione sullo stato di salute degli alberi e poter così incrociare i dati e valutare la bontà dell’intervento. Evidentemente, le manifestazioni di protesta e l’attenzione che l’informazione locale ha dato alla vicenda delle robinie non è passata inosservata a palazzo Dogana, dove, però, la decisione di intervenire deve aver subito un’accelerazione dopo che lunedì scorso sulla scrivania del soprintendente Andrea Alberti è arrivata una petizione promossa dalle associazioni Amici della Terra e Movimento non violento con 600 firme di cittadini contrari al piano di abbattimento. E la Soprintendenza, che come prevede il Codice dei beni culturali, ha anche il compito della tutela paesaggistica, è passata all’azione.
Con diplomazia ovviamente. Il piano di abbattimento degli alberi ora verrà discusso in accordo con Palazzo Barbieri, e probabilmente questo rappresenta il primo atto di una nuova stagione di cooperazione con il Comune. L’Amministrazione si è mostrato molto disponibile al confronto anche perché i nodi da risolvere non sono pochi. Se per piazza Corrubbio la Soprintendenza non ha potere di intervento visto che, fatto salvo l’eventuale ritrovamento di reperti archeologici, ha dato via libera al progetto del parcheggio (il 27 agosto di quest’anno Sabina Ferrari, l’ex soprintendente ha dato il nulla osta), rimangono sul piatto vari problemi, tra i quali spicca quello recente degli stalli per la sosta a ridosso dell’Arena.
E sul quale Alberti, il soprintendente in carica da settembre, e che oltre a Verona segue con lo stesso ruolo anche le provincie di Brescia, Mantova, Cremona, Rovigo, Venezia, cerca di venire a capo con «savoir faire». Sa che molto spesso l’istituto che rappresenta invece che essere apprezzato e difeso - oltre a essere stato messo in ginocchio dalla politica che gli ha tolto nel corso degli anni sempre più fondi e personale - è visto come un carrozzone inutile che tutela solo «4 sassi». E non vuole di certo sbattere i pugni sul tavolo. Nemmeno quando si tratta di provvedimenti come quello voluto dall’assessore Enrico Corsi. «Ne stiamo discutendo col Comune», dice Alberti. E aggiunge: «Questa dei parcheggi attorno all’Arena non è stata una delle scelte più felici. Diciamo che probabilmente ci sono casi in cui la voglia di fare porta a sottovalutare questioni importanti come la salvaguardia e la tutela dei monumenti». «Vediamo», conclude, «i segnali per il confronto sono positivi, si è stabilito un importante contatto e questo va benissimo considerato che su certe cose finora si era imposta piuttosto una non relazione tra Comune e Soprintendenza».

domenica 25 ottobre 2009

Parcheggi, spuntano gli scheletri

Parcheggi, spuntano gli scheletri
Martedì 06 Ottobre 2009 CRONACA Pagina 7 - L'ARENA

PIAZZA CORRUBIO. I reperti venuti alla luce non sembrano sufficienti per bloccare l’opera, ma è presto per la decisione finale. Sabato manifestazione del comitato

Resti di antiche tombe, ossa umane e, per ora, nulla più. In piazza Corrubio si continua a scavare: lungi dall'essere conclusi, infatti, dureranno almeno un altro mese e mezzo i sondaggi archeologici nel terreno, così come previsto fin dall'inizio.
Lo scopo, condito dalla vivida speranza dei residenti e commercianti di San Zeno, è verificare se in quest'area si trovino reperti di rilevanza storica e dimensioni tali da sbarrare la strada al progetto del parcheggio interrato, approvato dall'amministrazione Zanotto. Perché non c'è altra via, ha spiegato più volte la giunta Tosi, per recedere dal contratto con la ditta Rettondini e fermare la realizzazione dell'opera senza pagare penali di milioni di euro.
Come hanno potuto constatare anche l'assessore alla mobilità Enrico Corsi e il presidente della prima circoscrizione Matteo Gelmetti, che ieri mattina hanno effettuato un sopralluogo, la prima fase degli scavi ha fatto affiorare, a circa un metro e mezzo di profondità, una decina di tombe "alla cappuccina", dotate cioè di un sottofondo e di una copertura in tegole di terracotta. Un metodo di sepoltura "povera" frequente in epoca romana e medievale.
Sepolcri e scheletri però, asportabili dal luogo di ritrovamento e in più spesso compromessi dalle tubature installate nel terreno, non sono giudicati sufficienti ad annullare la realizzazione del parcheggio. Si tratta, insomma, di reperti assai comuni, soprattutto in prossimità degli edifici sacri. Gli archeologi stanno pulendo e catalogando i vari pezzi, che in seguito verranno raccolti per essere studiati e datati.
Le speranze si attaccano alla seconda fase di scavo, che si porterà più avanti, verso l'aiuola alberata. Se l'antica cripta sotto la pasticceria San Zeno, si ipotizza, avesse avuto stanze adiacenti o cunicoli, potrebbe emergere qualcosa di più interessante.
«E poi qui sotto passava la via Postumia», rilanciano i residenti, che dai balconi, armati di binocolo, non perdono d'occhio l'avanzare degli scavi. Quello che non capiscono è perché non si oltrepassino i due metri di profondità: cosa che, a loro parere, limita le possibilità di ritrovamento. «Fondamentale è che quegli alberi non vengano abbattuti in nessun caso», dice Alberto Ferrarini (Pdl), presidente della commissione ecologia della prima circoscrizione, indicando gli spazi verdi della piazza. «Non vogliamo una seconda piazza Isolo con pietre e cemento, anzi, ci aspettiamo di ottenere l'allargamento dei giardini».
I sanzenati intanto organizzano la «controffensiva». Come annuncia Mao Valpiana, tra i fondatori del neonato comitato «Salviamo piazza Corrubio», si passerà alle vie legali per far emergere le contraddizioni nell'iter d'approvazione del parcheggio. «E l'opposizione popolare», aggiunge, «non mancherà di farsi sentire: scendendo in piazza, organizzando incontri, sit-in, una raccolta firme... per coinvolgere in questa causa non solo i residenti, i commercianti e i lavoratori di San Zeno, ma tutti i cittadini veronesi».
Si comincia sabato pomeriggio, in piazza Corrubio. «Facciamo la festa al parcheggio»: musica, danze, buona cucina e un momento d'assemblea per ribadire il no all'opera.L.CO.

Una colata di cemento in arrivo sul Veneto

Una colata di cemento in arrivo sul Veneto
Sebastiano Canetta, Ernesto Milanesi
il manifesto 22 ottobre 2009, p. 15

PIANO CASO ASSO PIGLIATUTTO

Lo ha varato il governo e lo realizzano le regioni. Nel nord est il piano casa aumenterà le cubature di cemento armato, già numerose. Bastano per garantire abitazioni a tutti fino al 2022. Il problema, semmai, è nel campo dell’edilizia popolare. Che resta indietro. E intanto peggiora l’orma ecologica

VENEZIA
Un piano casa perpetuo, che di fatto è operativo da oltre vent’anni. Il sacco edilizio di città e campagna perennemente appaltato al partito dei «calce-struzzi». Una colata continua di condomini, capannoni, magazzini e centri commerciali, che fa balzare il Veneto in cima alla classifica delle regioni più edificate. E’ la transizione dalla scintillante «locomotiva» del Nord Est alla partita doppia della betoniera.
Con l’implosione dell’impresa familiare e il default delle logistiche strozzate dalla stretta del credito, il cemento armato rimane l’unica «benzina». Fonte «naturale» di guadagni, rendite, favori e voti; strutturalmente al riparo dagli scossoni di ogni mercato. Funziona al di là della recessione e degli schieramenti politici.
Il Veneto gioca la partita della crisi puntando (ancora) sull’asso pigliatutto del mattone. Alimentando una bulimia edilizia patologica, che divora migliaia di ettari di territorio ogni anno. Oltre 290 milioni di metri cubi di edifici residenziali direzionali e commerciali costruiti dal 1983 al 2006 sono il bilancio dell’economia «impalcaturiera» del Nord Est imbullonata sulle gru. Cemento armato che si traduce in un giro di appalti milionario: più che vitale per enti locali preoccupati di raddrizzare bilanci votati al rosso. Ma anche per l’affollato giro d’affari di costruttori e immobiliaristi con l’acqua alla gola. Muove la cazzuola dell’edilizia «in chiaro» e stende anche la malta di quella «criptata». Politicamente è la «colla» dell’ unico vero «partito del Nord».
L’effetto collaterale è un territorio irrimediabilmente degradato, banalmente omologato dal Bellunese al Polesine, violentato nei tratti somatici dell’identità non solo paesaggistica. Sotto i metri cubi di calcestruzzo, acciaio e bitume spariscono per sempre campi, paludi e aree boschive. Insieme alla rete idrica, «stuprata» da passanti, bretelle, raccordi e direttissime.
Il piano casa regionale varato a luglio spara il colpo di grazia al precario equilibrio ecologico. Sulla carta, il provvedimento non serve. Il patrimonio immobiliare dei 581 comuni veneti copre il fabbisogno abitativo fino al 2022, immigrati compresi. «Nelle sole province di Padova e Treviso le aree urbane ormai corrispondono al 20% del territorio. Una quantità enorme che non ha eguali in nessun altra regione italiana» spiega Sergio Lironi, urbanista di Legambiente. Sul tavolo, i dati del Centro ricerche economiche sociali di mercato per l'edilizia e il territorio e gli studi della Cassa edile artigiana veneta: dal 1999 al 2008 quasi 340 mila nuove abitazioni. Sono 135 milioni di metri cubi di cemento armato.
«E’ il risultato della filosofia dell’urbanistica contrattata, del caso per caso e giorno per giorno. Una gestione dei piani caratterizzata da continue varianti e deroghe ha consentito l’arrogante prevalere degli interessi privati delle grandi società immobiliari dando via libera alle logiche speculative – denunciano gli ambientalisti - La città tentacolare si è sparpagliata nel territorio cancellando luoghi identitari, risorse ambientali e beni culturali. E degradando la qualità del vivere quotidiano».
Ma non c’è solo il lato B della mitologica polis diffusa: a puntellare l’ossatura edile c’è soprattutto la sconfinata melassa di capannoni, centri commerciali, attrezzature «di servizio» e «rurali» solo nei registri dei catasti.
Un boom mai regolato nemmeno dal «libero» mercato, volontariamente sordo al paradigma domanda-offerta. Nel lustro 2002-2007 sono stati costruiti oltre 114 milioni di metri cubi in depositi e magazzini poi svuotati dalla crisi. Si è edificato troppo (oltre 275 metri cubi per ogni nuovo abitante) e male: «La dispersione insediativa ha distrutto risorse naturalistiche, agronomiche e paesaggistiche fondamentali, con tipologie e costi che non corrispondono alla domanda reale, usando tecnologie obsolete non adeguate agli standard energetici e di comfort ambientale stabiliti dall’Unione europea» puntualizzano a Legambiente. Con un lassismo «colposo» da parte di enti locali pronti a incamerare Ici e oneri di urbanizzazione barattando pezzi del territorio.
L’incredibile numero di varianti urbanistiche presentate nel solo 2005 rende l’idea di una morbosa frenesia costruttiva: 1.276 richieste di scostamento dai piani comunali (+ 220% rispetto alla media degli anni precedenti) fanno impressione. Si appoggiano a 389 Piruea (piani di riqualificazione urbanistica e ambientale) attuati nel biennio 2005-2006: la soluzione più semplice per accontentare la voglia di «villettopoli» dei veneti.
Chilometri di bifamiliari a schiera, versioni economiche di Milano2 e residence metropolitani diventano però un miraggio per chi vive sulla soglia della povertà. Immigrati, giovani coppie e pensionati affollano le graduatorie degli alloggi popolari.
Domande sostanzialmente inevase. Le cifre della Direzione regionale per l’edilizia abitativa registrano un migliaio di assegnazioni a fronte di 16.500 richieste. Nei comuni schiacciati dalla tensione abitativa è una lotteria: il 99% di chi chiede una casa ad affitto calmierato non riceve risposta. Per ora, gli enti locali riescono ad arginare l’esercito di poveri ufficialmente conclamati: 20 mila potenziali morosi schivano lo sfratto grazie ai contributi pubblici.
Dal 2002 al 2007, le volumetrie ultimate hanno superato gli 89 milioni di metri cubi. Uno stock di tutto rispetto: dovrebbe bastare ad accomodare circa 600 mila nuovi abitanti, compresi i 78 mila immigrati del Trevigiano. Senza contare lottizzazioni già approvate e concessioni da tempo operative.
Cinque anni fa la deregulation edilizia era parsa un’enormità perfino a palazzo Ferro-Fini, tanto che la legge urbanistica regionale del 2004 limitava le aree agricole trasformabili in terreni con altra destinazione d’uso. «Uno stop praticamente inutile: perché consentirà comunque di sottrarre all’agricoltura altri 93 milioni di metri quadrati nei prossimi 10 anni» osservano gli ambientalisti.
L’impatto della valanga di lottizzazioni si rileva calcolando l’impronta ecologica rilasciata da 4,9 milioni di veneti. La misura del territorio biologicamente attivo per equilibrare produzione, consumo, assorbimento dei rifuti ed emissioni inquinanti è un’efficace cartina di tornasole. Ne risulta un’«orma» abbondantemente oversize: 6,43 ettari equivalenti per abitante fanno impallidire la media nazionale ferma a quota 4,3.
E poi c’è l’impatto atmosferico della «betoniera» a ciclo continuo: 1,9 milioni di abitazioni emettono 7,2 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Basterebbe mettere a norma i fabbricati per risparmiare all’ambiente 4, 4 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Ma a Nord Est non si cambia rotta. Per Legambiente «Il piano casa si rivela un sistema di regole diverso in ogni regione. Spiccano la Toscana e la Provincia di Bolzano, che hanno praticamente bloccato l’attuazione, e il Veneto con la Sicilia, da subito paladine di un’applicazione generosa, con premi in cubatura dispensabili a qualsiasi tipo di edificio dovunque e comunque collocato. In pratica il piano casa regionale diventa una scorciatoia per risollevare le sorti del mercato edilizio, senza un’idea capace di muovere il settore fuori da una crisi che non è congiunturale».
Preoccupa anche la troppo generica indicazione energetica per ottenere l’ambito «premio» di volume. Molte regioni hanno stabilito un tetto massimo di mille metri cubi per gli ampliamenti. In Veneto, invece, non c’è mai limite.

Arche Scaligere, da sette secoli la memoria viva della città

Arche Scaligere, da sette secoli la memoria viva della città
Domenica 25 Ottobre 2009 L'ARENA

STORIA. Presentato un volume di Ettore Napione sul monumento funebre della famiglia che governò a Verona

Un volume di seicento pagine con otto appendici. I lavori di restauro saranno completati nei primi mesi del prossimo anno

C'è da sette secoli in città uno straordinario monumento-documento che è un unicum: le Arche Scaligere. E c'è oggi un nuovo libro che ne parla, intitolato semplicemente Le Arche Scaligere di Verona, e scritto da Ettore Napione, che lavora alla direzione musei e monumenti del Comune. Un volume complesso, eruditissimo, di 600 pagine, con otto appendici, «polifonico» date le tante voci di cui si è avvalso l'autore, per la cui presentazione c'è stata una grande festa in Sala Boggian a Castelvecchio, con un importante parterre ed un foltissimo pubblico.
Come ha subito sottolineato Paola Marini, direttrice dei Musei d'Arte e Monumenti del Comune, che fungeva da moderatrice. E come ha rilevato l'assessore alla Cultura Mimma Perbellini, affermando che «l'uscita del libro è gradita perché affronta uno dei monumenti cittadini mèta di un turismo colto e consapevole, che contribuiscono alla fama internazionale di Verona». «Apriremo presto il recinto delle Arche ai visitatori» ha annunciato.
E la conferma è venuta dal direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Veneto, Ugo Soragni. «La conclusione dei lavori di restauro è imminente. Sono stati rallentati dalla delicatezza dell'intervento, ma adesso non ci sono più ostacoli: nei primi mesi del 2010 finiranno». Riferendosi al libro, Soragni ha osservato che si tratta di una monografia esaustiva per gli aspetti filologici e la completezza delle fonti. «È un punto di partenza per risolvere alcuni interrogativi, come la derivazione di questo modello di tombe, che sembrano sbocciare dal nulla, ma che invece hanno una radice antica, perché gli Scaligeri guardavano al passato e le arche sono una riproposizione in chiave moderna di un'area sepolcrale antica».
Il volume è pubblicato per iniziativa dell'Istituto veneto di scienze lettere e arti che l'ha affidato all'editore Umberto Allemandi & C. «L'Istituto - ha detto il suo presidente Gian Antonio Danieli - deve produrre e diffondere cultura, e quindi incoraggia e realizza gli approfondimenti come questo testo, il 16° dei nostri titoli, scelto come il primo di una nuova serie».
Gian Maria Varanini, dell'Università di Verona, ha analizzato la monografia di Napione, «in cui c'è la storia dell'arte ma anche una valutazione estetica critica che emerge da un contesto di ricerche tenacemente condotte e portate avanti senza lasciare alcun angolo oscuro».
«L'autore - ha aggiunto - fa una rilettura della storia degli Scaligeri nella seconda metà del '300, quando non si assiste al loro tramonto ma ad un ridimensionamento del loro dominio. Nel testo emerge il rapporto straordinario fra gli Scaligeri e la loro città».
Un esame più dettagliato del libro è stato condotto da Andrea De Marchi, dell'Università di Firenze, il quale ha affermato: «Le Arche sono un fenomeno clamoroso, la punta di un cosmo variegato in quello che è stato il secolo più grande dell'arte veronese. Napione descrive la lievitazione del progetto delle tombe che avviene per gradi ma con alcuni salti assoluti. Sono quattro i grandi stadi del progetto: le Arche araldiche sottotono; l'Arca di Cangrande come arca diaframma; l'Arca su colonne; l'Arca di Cansignorio». Il volume è, secondo De Marchi, «uno strumento di lavoro di grandissima importanza, ma non è definitivo neppure nella veste iconografica».
A Napione, che nell'introduzione sostiene che «ogni monografia vorrebbe essere definitiva», l'ultima parola, con la sottolineatura di uno dei punti fermi importanti della sua indagine: la trascrizione dei tre testamenti superstiti degli Scaligeri, Alberto I, Cangrande II e Cansignorio. Una «chicca» per capire il mistero delle Arche.

giovedì 15 ottobre 2009

L’architettura del ’600 Viaggio storico tra i capolavori veneti

L’architettura del ’600 Viaggio storico tra i capolavori veneti
11 ottobre 2009, CORRIERE DEL VENETO

Pochi secoli hanno avuto lo stesso fermento cultura­le del seicento: la rivoluzione scientifica, l’affermar­si del razionalismo nella filosofia, la religione che non offre più quel ventre sicuro dove nascondersi, l’uomo sembra smarrirsi alla ricerca del nuovo: un’inquietudine che si riflette nella vita e nell’arte. Nasce uno stile irregolare, privo di ordine, che in architettura muta in linee curve flessuose, abbondanza di decorazioni e sugge­stioni. Il Barocco ha contraddistinto l’architettura italiana e (in modo particolare) quella veneta rappresentandone il ter­ritorio: dalle ville venete alla chiesa di santa Maria della Sa­lute di Baldassarre Longhena, tutta l’architettura veneta del XVII secolo è oggi raccolta in Il seicento (a cura di Augusto Roca De Amicis e con il supporto di nuove campagne foto­grafiche realizzate da esperti nel campo) prima uscita della collana «Storia dell’architet­tura nel Veneto» edita da Marsilio Editori e diretta da Guido Beltramini e Howard Burns, che in dieci volumi raccoglie l’evoluzione stori­ca dell’architettura nel terri­torio, dalle origini fino al no­vecento (promossa da Regio­ne Veneto e in collaborazio­ne con il Centro Internazio­nale di Studi di Architettura Andrea Palladio).

Il primo volume ripercorre l’attività di architetti veneti o che hanno operato in vene­to, negli storici confini che giungevano fino a Brescia e Bergamo, e includevano il Friuli Venezia Giulia: uno sguardo su una regione che, nonostante attraversasse un mo­mento di forte recessione economica, viveva in una della sta­gioni più ricche e prolifiche per l’architettura (fu proprio in questo periodo che furono realizzate ben 322 ville venete), narrando dell’influenza dello stesso Andrea Palladio - scom­parso alla fine del secolo precedente- , e del suo allievo Giu­seppe Scamozzi (autore di Villa Pisani detta La Rocca Pisa­na), che con il loro stile hanno ispirato gran parte dell’edili­zia monumentale dell’Europa nel seicento, passando per l’opera di Baldassarre Longhena e a volti meno noti dell’ar­chitettura del tempo come l’autore del Duomo nuovo di Bre­scia Giovanni Battista Lantana.

Andrea M. Campo

Castel San Pietro risorge «Cantiere entro l’anno»

Castel San Pietro risorge «Cantiere entro l’anno»
Martedì 13 Ottobre 2009 CRONACA Pagina 8 - L'ARENA

FONDAZIONE CARIVERONA. Illustrato nella sede di via Forti il progetto per il recupero dell’ex caserma austriaca

La ristrutturazione costerà tra i 12 e i 15 milioni. Altri 3 per il ripristino della funicolare. Previsti due anni di lavori

Dopo l’abbandono e il degrado, ecco la risurrezione di Castel San Pietro, che verrà trasformato in museo d’arte moderna e contemporanea. Nella sede della Fondazione Cariverona, che nell’ottobre del 2006 acquistò dal Comune lo storico edificio per 11 milioni e 50mila euro, ieri, il presidente della Fondazione, Paolo Biasi e il progettista, l’architetto Stefano Gris, hanno illustrato il piano di ricupero. «Il progetto», sottolinea Biasi, «è frutto di tre anni di lavoro e il cantiere, se tutto va bene, potrà essere avviato entro la fine dell’anno».
Una buona notizia, quindi, per i veronesi che da decenni assistono con rassegnazione al declino dell’ex caserma austriaca, evidenziato nei giorni scorsi da un’inchiesta del nostro giornale.
Il costo dell’intervento di restauro conservativo e di costruzione delle nuove strutture, fanno sapere nella sede della Fondazione, in via Forti, andrà dai 12 ai 15 milioni di euro. Il progetto presentato ieri è costato un milione e 600mila euro. Dopo un ulteriore passaggio al vaglio della Sovrintendenza ai beni storici e architettonici, servirà l’approvazione finale da parte del Consiglio comunale. La Fondazione conta di avere in mano il permesso a costruire entro breve per poter cominciare i lavori per la fine dell’anno.
[FIRMA]CISTERNA VISCONTEA. A rallentare la progettazione, fa sapere l’architetto Gris, sono state le verifiche archeologiche che hanno portato al ritrovamento di un’enorme cisterna sotterranea di epoca viscontea, costruita tra il XV e il XVIII secolo, della quale si era perso il ricordo. «Anche tale struttura, profonda 18 metri e con una capienza di 3.500 metri cubi», spiega il progettista, «sarà visitabile e integrata in un percorso museale». In particolare, essa ospiterà un progetto multimediale sulla storia della città.
FUNICOLARE. I principali interventi, per la trasformazione in museo di Castel San Pietro, riguardano il restauro dell’edificio esistente, la cui struttura sarà mantenuta integra, la costruzione nella parte retrostante di una grande hall di ingresso interrata e il ripristino della funicolare, con la creazione della nuova stazione d’arrivo. La stazione di partenza, invece, sarà recuperata nella sua struttura attuale. Solo questa operazione costerà circa tre milioni di euro. «Abbiamo verificato la possibilità di rimettere in funzione tale mezzo di trasporto per raggiungere l’edificio e scartato l’ipotesi di un ascensore inclinato. Sarebbe stato uno stravolgimento dell’idea originale», osserva il presidente.
La progettazione della funicolare sarà completamente a carico della Fondazione. Il Comune, da parte sua, si è reso disponibile all’effettuazione di sopralluoghi lungo il percorso.
RISTORANTE. Attraverso la hall, dove si troveranno biglietteria, guardaroba, punto informazioni e bookshop, si accederà alle zone espositive collocate all’interno del corpo centrale dell’edificio, su tre livelli. Nelle due torri laterali, invece, ci saranno i servizi annessi al museo: aule didattiche, laboratori, sala conferenza e uffici. Sulla grande terrazza centrale, con vista panoramica sulla città, saranno costruiti un ristorante e una biblioteca-sala di lettura. Le terrazze panoramiche diventeranno luoghi per l’esposizione all’aperto.
HALL SOTTERRANEA. Al centro della hall, nella parte sotterranea di nuova costruzione, si vedrà la cupola in mattoni della cisterna viscontea, che dovrà essere svuotata dai detriti che la riempiono e resa agibile. Inoltre sulle mura della struttura sotterranea saranno aperte delle feritoie che consentiranno ai visitatori di vedere il paesaggio sottostante. Lì verrà costruita, mantenendo il basamento originale, anche la nuova stazione di arrivo della funicolare. Nella parte superiore ci sarà anche una caffetteria.
L’intera area esterna, piazzale, torri, terrazza centrale, ristorante e sala di lettura compresi, sarà accessibile a tutti. «Il progetto è stato pensato proprio per restituire ai veronesi un luogo importante e di grande suggestione», sottolinea l’architetto Gris.
Le antiche sale che ospiteranno le esposizioni d’arte saranno rigorosamente mantenute nella loro struttura. Vi troveranno posto le opere di proprietà della Fondazione, ma anche collezioni di privati che vorranno affidarle al nuovo museo cittadino.
L’architetto Stefano Gris, incaricato del progetto di ricupero di Castel San Pietro ha curato in passato il restauro dei Musei Civici Eremitani di Padova, del Teatro dei Risorti di Buonconvento e del museo sulla Grande guerra a Cortina d’Ampezzo.Martedì 13 Ottobre 2009 CRONACA Pagina 8

Nuovi scavi, chiude Lungadige Capuleti

Nuovi scavi, chiude Lungadige Capuleti
14 ottobre 2008, corriere del Veneto

I cantieri per il parcheggio La decisione per approfondire la presenza di ulteriori reperti archeologici

La soprintendenza ordina altre ricerche: tra due settimane blocco della strada

Lungadige Capuleti fra due settimane chiuderà al traffico per una decina di giorni: un provvedimento necessario per consentire un nuovo scavo archeologico nell’area dove si sta costruendo il parcheggio interrato. A richiederlo la Soprintendenza che vuole escludere del tutto la presenza di reperti importanti. La decisione è stata presa ieri mattina a Palazzo Barbieri, durante un incontro tra l’assessore alla Mobilità Enrico Corsi, la direttrice del nucleo operativo di Verona della Soprintendenza ai Beni Archeologici Giuliana Cavalieri Manasse e il presidente della Cooperativa Cangrande parcheggi Paolo Campion. Il nuovo scavo correrà perpendicolare all’argine dell’Adige per 15 metri, in direzione degli Uffici delle Entrate. Per la cooperativa che costruisce il parcheggio pertinenziale da 249 posti l’ennesimo rallentamento alla tabella di marcia dopo la scoperta, un anno fa, del muro medioevale che costeggia il fiume. Uscito dalla riunione, Campion ha stretto le spalle: «Guardiamo il bicchiere mezzo pieno. Sarebbe stato peggio essere bloccati fra due mesi, quando si sarebbero dovuti iniziare gli altri lavori in quella zona. Almeno così ci togliamo subito il pensiero». Un attimo e, poi, il presidente della Cangrande ha aggiunto a denti stretti: «Certo che con questo è già il terzo cronoprogramma dei lavori che siamo costretti a rivedere». Il nuovo saggio stratigrafico non dovrebbe portare alla luce (in teoria) nulla di interessante. Dal momento che una volta lì sotto passava il vecchio letto dell’Adige. I reperti, quindi, potrebbero limitarsi ad un mucchio di anfore riempite di terriccio e materiali di riporto: il sistema con cui i romani rinforzavano gli argini. È certo, invece, che il blocco del lungadige intorno al 28 ottobre sarà la prova generale in vista di quello ben più lungo (circa un anno) che scatterà con l’anno prossimo. Da gennaio, infatti, si inaugurerà la seconda fase del cantiere che prevede di scavare a ridosso dei palazzi. Nell’incontro di ieri si è parlato anche di un altro parcheggio, quello da 140 posti che la ditta Saccomani sta costruendo in piazzetta Arditi, a due passi da volto San Luca. Qui ben poche novità se non che la Soprintendenza ha assicurato che ridurrà al minino i tempi delle indagini archeologiche sul cimitero medioevale scoperto dagli scavi.

F.M.

domenica 27 settembre 2009

Dal cimiero alato ai Carraresi tutti i segreti delle Arche Scaligere

Dal cimiero alato ai Carraresi tutti i segreti delle Arche Scaligere
Camilla Bertoni
24 settembre 2009, corriere del Veneto

La città e i suoi monumenti Le rivelazioni sul significato di uno dei complessi monumentali più belli e rari di Verona

Ettore Napione ha svelato i misteri irrosolti affidandoli alle stampe

Il mistero del cimiero alato dal muso di cane, l’iconografia che si fa propaganda politica, i simboli che parlano di speranza e di successo oltre la morte.

Sono solo alcune delle tante preziose rivelazioni intorno al significato di uno dei complessi monumentali più belli e rari della città, quello delle Arche Scaligere, omaggiato dai turisti e dagli studiosi di tutto il mondo. Ma nonostante tanto riconoscimento mancava da più di cinquant’anni uno studio monografico approfondito e aggiornato. Ora il vuoto è stato colmato da Ettore Napione, storico dell’arte medievista e responsabile della biblioteca d’arte del museo di Castelvecchio, che ha appena dato alle stampe, per Allemandi insieme all’Istituto Veneto di Scienze ed Arti, un consistente volume di quasi seicento pagine, interamente dedicato alle Arche Scaligere.

Il racconto si fa affascinante man mano che passa di dettaglio in dettaglio, continuamente riportandosi al contesto storico e artistico locale e alle radici iconografiche che hanno fatto da matrice al magnifico monumento concepito tra il 1330 (data d’inizio per la realizzazione dell’arca di Cangrande) e il 1376 (data in cui la realizzazione dell’ultima arca, quella di Cansignorio, risulta completata). E sui temi iconografici il più imponente simbolo della famiglia, l’elmo- cimiero con il cane alato, è il primo a essere svelato. «Si tratta dell’emblema inventato per se stesso da Mastino II, che fa realizzare la tomba di Cangrande alla sua morte - spiega Napione - : il mastino con le ali. Ma perché far indossare all’effigie di Cangrande a cavallo un simbolo non suo, un cimiero che non aveva mai esibito? Sul suo piedistallo aereo il cavaliere di pietra alza la spada in segno di saluto: l’eroe si rivolge con benevolenza al successore, Mastino II, sorride al suo regno, e mostra il mastino con ali quale auspicio di fortuna, come se lo scopo delle imprese di Cangrande fosse stato quello di preludere alla grandezza del suo successore». E non solo: leggendo si scopre l’origine di questo simbolo, che non allude solo al nome di Mastino, ma anche al coraggio dei guerrieri longobardi, che per spaventare i nemici combattevano con il volto nascosto da una maschera canina, e al loro grande re Alboino, morto a Verona, e per di più sepolto nel palazzo che fu di Teodorico sotto una scala, cosa che venne ritenuta annuncio della stirpe dei della Scala, futura signora della città.

Altri segreti sono consegnati al tempo nei rilievi delle casse, dove ad esempio Cangrande è rappresentato nell’atto, come di fatto avvenne, di sconfiggere i padovani. Ma i padovani sono qui rappresentati con il simbolo della famiglia dei Carraresi, che si installò solo successivamente a tale sconfitta, e per disposizione di Cangrande. Ma poiché i Carraresi divennero nemici di Mastino II, fu lui, a indicarli come sconfitti, una scelta di propaganda politica per la quale, spiega ancora Napione, «la storia poteva essere mistificata: i nuovi avversari padovani erano i Carraresi, e Cangrande aveva così sconfitto virtualmente il nuovo nemico».

Mentre lavori di restauro (che Napione ritiene condotti in maniera «esemplare») ancora procedono sull’arca di Cansignorio e sulla cancellata (il complesso è in restauro a fasi alterne dal 2004), il volume sarà presentato a Castelvecchio il 22 ottobre, alle 17.30, con la partecipazione, accanto all’autore, di Maria Monica Donato (ordinario di storia dell’arte medievale alla scuola Normale superiore di Pisa) e Andrea De Marchi (università degli studi di Firenze), oltre all’assessore alla Cultura Erminia Perbellini e a Ugo Soragni, direttore per i beni culturali e paesaggistici del Veneto.

martedì 25 agosto 2009

Cave e A27 «Battaglia al cemento»

Cave e A27 «Battaglia al cemento»
25 AGOSTO 2009, CORRIERE DEL MEZZOGIORNO

I comitati

Nasce il supercomitato contro la cementificazione ed è già pronto un corteo davanti alla Provincia. Il comitato tutela del paesaggio Veneto ha deciso di unire il proprio sforzo e la propria civile protesta ai comitati di Vittorio Veneto che da tempo lotta contro il casello autostradale di Santa Lucia di Piave. Al centro delle battaglie del supercomitato quindi l’autostrada A27 e i suoi accessi ma anche le cave e la tutela del Piave.

venerdì 7 agosto 2009

Andiamo a caccia dei monumenti "invisibili", occultati o sommersi

Andiamo a caccia dei monumenti "invisibili", occultati o sommersi
di Gianfranco Ellero
Martedì 4 Agosto 2009, il gazzettino online


L’estate può essere la stagione adatta per allenarci a vedere, nel paesaggio e nel nostro habitat, i monumenti "invisibili", tali essendo quelli che non rivelano la loro vera natura per un nostro difetto culturale.
L’occhio, infatti, è un organo selettivo, che tutto guarda ma vede soltanto ciò che rientra nel quadro culturale del cervello. L’esempio tipico è quello dell’indiano che, nei film western, sa leggere le impronte lasciate sul terreno dagli animali: tutti le guardano ma soltanto lui sa vederle.
Domandiamoci, innanzitutto, che cos’è un monumento, e se la parola stia a indicare soltanto la Piramide di Cheope, il Partenone, il Colosseo o la Tour Eiffel: un oggetto artistico, grande, visibile, al quale si affida la memoria di un uomo o di un evento eccezionale, ben visibile e riprodotto sui libri di storia e d’arte, giornali, cartoline, guide per turisti e memorie elettroniche.
Possono esistere monumenti invisibili? Sì, esistono, e sono molto importanti. Possiamo dire, infatti, che i monumenti visibili sono quelli eretti dalla macrostoria, mentre quelli invisibili appartengono spesso alla microstoria. Stiamo pensando alle piccole lingue o dialetti di tradizione soltanto o prevalentemente orale; agli stagni che fino a non molti anni fa stavano al centro dei nostri paesi; alle strade armentaresse, che consentivano ai pastori comunali di portare ogni giorno gli animali grossi e minuti al pascolo sulle comugne, cioé sulle praterie del pubblico demanio comunale; ai percorsi delle rogazioni; alla toponomastica campestre; al paesaggio storico (pensate alla visione dal Castello di Udine che emozionò Chateaubriand e oggi è per sempre "lesionata" dai grattacieli); alle tradizioni popolari; alle villotte; al rito aquileiese, abolito nel 1596... Possiamo definirli monumenti perché in realtà contengono il ricordo di microciviltà, e qualificarli come invisibili perché possiamo "vederli" soltanto attraverso lo studio della microstoria.
Ma spesso non li vediamo perché sono materialmente occultati o sommersi. L’armentaressa di Basaldella del Cormôr si chiama oggi via Verdi; quella di Ronchis di Latisana, via Garibaldi! Se anziché dagli armenti e dai pastori viene percorsa dalle automobili e dai trattori, diventa una strada asfaltata come le altre, e diventa un monumento invisibile.
Se il Comune di Casarsa autorizzasse la lottizzazione o l’industrializzazione di una campagna denominata "Li Miris-cis", e gli speculatori ci costruissero sopra il "Villaggio della Luna", perderemmo non soltanto uno storico paesaggio agrario, sede delle leggende locali, ma anche un toponimo di antica tradizione: avremmo perso, qundi non uno ma due monumenti della microstoria. E dopo lo scempio nessuno capirebbe più il senso delle parole del Poeta: "Oh ciamps lontans, Miris-cis".

domenica 26 luglio 2009

Ruspe in azione al Maso di Montecchio. Altre marogne distrutte

Ruspe in azione al Maso di Montecchio.
Altre marogne distrutte, Dal Negro: «Non sapevo»
Domenica 26 Luglio 2009 PROVINCIA Pagina 24 L'ARENA

Denuncia l’associazione Il Carpino: «Non è ammissibile cancellare tradizionali muri a secco in un’area vincolata». Il sindaco: «Ci sono regole da rispettare»

«Intervento fondiario autorizzato» per il proprietario dei campi

Al Maso di Montecchio, sulla zona collinare tra il comune di Negrar e quello di Verona, sono arrivate le ruspe. Non si fatica a sentirne il rumore che copre il cinguettio degli uccelli, né a notare i loro colori giallo e nero in un panorama dominato da tinte verdi e marroni. Spostano terra, mangiano sassi e paiono golose in particolare di marogne, i caratteristici muretti a secco della Valpolicella costruiti dai contadini nei secoli per delimitare i confini, segnare i terrazzamenti, favorire il drenaggio. Opere belle e utili di cui negli ultimi anni si è molto sentito parlare, soprattutto per una rinata sensibilità nei loro confronti; a San Giorgio «Ingannapoltron» procede spedito, per esempio, il progetto civiltà delle marogne, che promuove valorizzazione e recupero di questi manufatti che oggi nessuno più costruirebbe (troppa manodopera!) e che sono diventati un segno distintivo del paesaggio nella Valpolicella.
Due mezzi con braccio meccanico da qualche giorno si muovono a ritmo serrato nel campo a sud di via Maso, di proprietà dell’azienda agricola di Sergio Castellani, con sede a Valgatara. Per l’opera in corso, «di movimentazione terra e aratura, necessaria prima dell’impianto delle viti», il proprietario assicura di essere in regola con le autorizzazioni rilasciate dal Corpo Forestale dello Stato e dal Comune. «Ci sono i permessi, è tutto regolare», dice Castellani, che definisce il lavoro un «livellamento del terreno, fatto senza smantellare nulla». Nega che sia in corso una demolizione dei muretti a secco, «che in buona parte erano tutti già caduti».
A prima vista, però, le cose paiono diverse e le file di marogne, a giudicare dalle fotografie scattate prima dell’intervento fondiario in corso, sembrano a posto, ben allineate e sostenute, solo un po’ invase dai cespugli. Finora sono finite sotto le fauci delle ruspe le prime due file, quelle più vicine alla strada. Al Maso è nata l’associazione Il Carpino, intitolata all’albero secolare (monumento vegetale censito dalla Regione), scomparso quando l’ex pascolo venne trasformato in un altro vigneto all’americana. Il presidente dell’associazione, Mario Spezia, dalla corte del Maso controlla ogni giorno la situazione; la sua preoccupazione è che le marogne superstiti spariscano del tutto entro poco tempo. «Non è ammissibile che si continui a distruggere, quelle marogne sono sempre state in buone condizioni», afferma Spezia. «Ricordo che il campo si trova in un’area vincolata dal punto di vista paesaggistico e ambientale, a pochi passi dal confine con il Sic, sito d’interesse comunitario, e dal complesso del Maso, censito come bene monumentale».
Il proprietario del terreno su cui sono in azione le ruspe prima rassicura sulle intenzioni — «Salvare più che si può è nel mio stesso interesse», dice — poi fa una distinzione tra i muretti in base alle loro condizioni: «Le marogne non spariranno, rimarranno dove sono in buono stato». Ma chi giudica il loro stato di conservazione? E chi decide cosa farne, se tenerle o distruggerle?
Il piano regolatore di Negrar prevedeva per le marogne, tra le norme tecniche di attuazione, di «mantenerle, ricuperarle, integrarle, attraverso materiali e tecniche tipiche della tradizione locale». Un’idea chiara di conservazione e tutela trasportata nel piano di assetto territoriale redatto dall’amministrazione Mion a cui ora il neosindaco Giorgio Dal Negro sta rimettendo mano.
Dei lavori al Maso il primo cittadino dice di non essere al corrente e di non aver ricevuto segnalazioni, almeno fino a venerdì, da parte dei suoi uffici. Promette però di informarsi al più presto su quello che sta succedendo. «Mi reputo un sindaco liberal, ma chi pensa che per questo si possano buttar giù le marogne come niente, si sta sbagliando di grosso», afferma Dal Negro. «Ci sono delle regole che vanno rispettate e non si può fare quello che si vuole solo perché si è a casa propria».

sabato 25 luglio 2009

Villa Pullè cade a pezzi. Molti affreschi sbriciolati

Villa Pullè cade a pezzi. Molti affreschi sbriciolati
Sabato 25 Luglio 2009 CRONACA Pagina 17 L'ARENA

Un gruppo di cittadini che chiede la tutela del monumento di Chievo lancia un appello all’amministrazione comunale perché intervenga

Il comitato: «Le decorazioni sono distrutte dall’umidità Crollati i soffitti a stucco E i vandali sfregiano i muri»

Un patrimonio culturale unico e raro cade a pezzi. Accade a Villa Pullè, a Chievo. La denuncia dei cittadini risale al 1984 ed ora le condizioni di quella che è stata considerata per secoli una delle «possenti ville veronesi», così veniva citata nei trattati di architettura del Settecento, sono davvero peggiorate al punto che parte dell’edificio crolla letteralmente a pezzi e gli affreschi si sbriciolano.
Come è avvenuto per uno del Cignaroli rovinosamente crollato e irrimediabilmente andato perduto.
Addirittura c’è chi ha strappato dalle pareti un dipinto che rivedendolo in foto potrebbe risalire al Settecento, ma non è escluso sia del Cinquecento.
L’ipotesi arriva da Lorenzo Vicentini, rappresentante della Società Italiana per la protezione dei beni culturali (un tempo questa organizzazione era legata prettamente alle forze armate che nei territori di guerra si adoperava nella tutela delle opere artistiche e di carattere storico, ora si è allargata accogliendo anche i civili), nonché promotore di un gruppo di tutela per la villa nato su Facebook che ha già al suo attivo oltre mille simpatizzanti.
Ai nuovi strumenti di sensibilizzazione dell’opinione pubblica rimangano affiancati quelli tradizionali portati avanti da uno dei fondatori del comitato a favore del recupero di Villa Pullè, Silvano Pietropoli, e l’architetto Luigi Lazzarelli. E l’appello si fa ancora più forte. Chiedono tutela e che il Comune si faccia carico della situazione di degrado in cui versa la villa.
«Le nostre denunce perdono sempre più valore», dicono quasi a sottolineare che il tempo passa e la possibilità di recuperare il valore storico e culturale di questo luogo rischia di perdersi nella più assoluta indifferenza. Al grido di aiuto si aggiunge per la prima volta in oltre trent’anni di battaglie anche tanta sfiducia. Ma la speranza si sa è l’ultima a morire. Per questo con tanto di fotografie che documentano l’interno della «gemma», così la chiamava Giambattista Da Persico storico a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, evidenziano il degrado e un patrimonio artistico che si deteriora giorno dopo giorno.
Eppure fino agli anni Sessanta non era così. Di proprietà di Elvira Miniscalchi Erizzo nel 1919 venne lasciata in eredità alla Cassa di previdenza, oggi diventata Inps, con la clausola specifica che l’edificio venisse tradotto in un sanatorio. Qui infatti vennero ricoverati molti veronesi per quella che al tempo era una malattia inquietante e che mieteva moltissime vittime, specialmente tra i bambini, la tubercolosi.
Il testamento della nobildonna veronese che a sua volta aveva ereditato l’edificio da Erminia Turati Pullè, venne rispettato fino a quando nel 1960 i vigili del fuoco non denunciarono la pericolosità delle strutture lignee e venne chiuso.
Da allora l’Inps non ha mosso un dito per ridargli dignità. Si è limitata a sigillare le porte, le finestre, lasciando che un patrimonio inestimabile cadesse nel più completo abbandono.
«Le decorazioni dei saloni che apparivano buone in un filmato di due anni fa sono distrutte dall’umidità», sottolineano Vicentini, Lazzarelli e Pietropoli. «I soffitti a stucco dei due saloni ai lati sono crollati, i vandali hanno sfregiato parte delle pareti. Cedimenti e crolli sono all’ordine del giorno. Aiutateci».

lunedì 20 luglio 2009

Alto San Nazaro. Il colle, la disputa e lo scontro di perizie

Alto San Nazaro. Il colle, la disputa e lo scontro di perizie
10/07/09 CORRIERE DEL VENETO

Il cantiere sotto accusa

Alto San Nazaro: è scontro di perizie geologiche. Da una parte quella di chi abita ai piedi della collina. Che teme di vedersela franare addosso a causa dei lavori di costruzione di sette palazzine e di tre vasche di raccolta dell’acqua. Dall’altra quelle dei costruttori e del Comune che ha concesso il via libera ai cantieri. Di mezzo ci si mette anche la politica, con il Partito Democratico della Prima circoscrizione schierato a difesa del comitato spontaneo dei residenti. Una situazione ingarbugliata. Per cui è meglio procedere con ordine. Ad Alto San Nazaro la ditta Sacca realizzerà sette palazzine di cui una ristrutturando con Ater la vecchia «Stecca». Costruirà anche 150 garage interrati, un sistema di tre vasche per la raccolta delle acque piovane e un parco che poi cederà come compensazione al Comune.

La ditta, nel 2003, ha fatto tutti i rilievi geologici di rito per la messa in sicurezza della scarpata. Tra gli interventi previsti anche la realizzazione delle vasche per «evitare il convogliamento delle precipitazioni sulle case sottostanti». Parere positivo anche nel 2004 in una relazione del Comune, dove si legge che «i rilievi non hanno evidenziato situazioni di equilibrio precario del versante». L’inizio dei lavori, l’anno scorso, ha però messo in allarme gli abitanti che, temendo frane, si sono rivolti al geologo Giorgio Arzone a giugno 2009. Il quale non ha escluso «la possibilità del distacco di blocchi e la creazione di nuove fratture nel terreno». Imputate, le vibrazioni prodotte dalle ruspe e le tre vasche che potrebbero causare infiltrazioni nel terreno.

«Vogliamo solo difendere le nostre proprietà – spiega Lia Napione, del comitato dei residenti –. Il punto fondamentale è che la roccia della collina è definita scadente, in quanto composta da tufo e calcare. E noi temiamo che le tre vasche di raccolta delle acque possano accentuare la problematiche geologiche ». Dagli assessori all’Urbanistica, Vito Giacino, e all’Edilizia privata, Alessandro Montagna, la rassicurazione che tutti i controlli sono stati fatti, l’ultimo il 13 giugno. «Oltre che mediare, come Comune, di più non possiamo fare – ammette Giacino – visto che la vertenza in corso riguarda due privati. Al massimo, visti i recenti crolli nelle grotte, provvederemo a chiuderne gli ingressi. Per quanto riguarda le vasche, se c’è una richiesta di toglierle dal progetto lo faremo. Anche se ci pare strano visto che erano stati i residenti a volerle».

Una risposta che per i consiglieri del Pd in Prima circoscrizione, Franco Dusi e Maura Zambon, è solo «superficiale e pilatesca».

F.M.

Vedere Canova ridotto a figurina

Vedere Canova ridotto a figurina
CORRADO AUGIAS - Gianni Venturi
VENERDÌ, 17 LUGLIO 2009 LA REPUBBLICA - Commenti

G entile Augias, in un'Italia ancora abituata a una cultura che faceva capo a gloriose testate popolari, Bolero, Grand Hotel, c'era una frase che la famosa casalinga di Voghera di Arbasino, pronunciava di fronte al fasto e alla ricchezza «Com'è fine!». La finezza come meta della 'signorilità compare nell'inimmaginabile dono offerto dal presidente del Consiglio ai 'Grandi della terra': un libro di 24Kg accompagnato da altri due volumi provvisti di lamine d'oro, lenti d'ingrandimento e quant'altro dedicato al Canova. A chi, come il sottoscritto, ha dedicato 25 anni della sua vita a riproporre assieme a una valorosa schiera di studiosi l'immagine e la figura del grande scultore, un uso così 'fine' della sua opera provoca sconcerto e un poco d'indignazione. Pensare che la cultura dei 'Grandi' non sappia riconoscere una 'patacca' dal senso della cultura che è l'orgoglio italiano, dimostra a quale grado di indecenza culturale siamo arrivati. Le Grazie danzanti del famoso bassorilievo canoviano riprodotte in marmo di Carrara nella copertina possono sopportare di essere considerate delle 'veline'? "L'invenzione della bellezza" che titola il libro (e che riprende purtroppo il titolo di una mia conferenza alla mostra del Canova nel maggio scorso) a chi si riferisce? A Canova o all'idea che della bellezza ha l'entourage del principe? P.S. E' da due anni che il Ministero non dà contributi per la pubblicazione delle lettere canoviane vero monumento alla conoscenza dello scultore e del Neoclassicismo.

Gianni Venturi Presidente dell'edizione nazionale delle opere di Antonio Canova

N on voglio nemmeno per un minuto dare l'impressione che si voglia ledere, o anche solo offuscare il successo del presidente del Consiglio al recente G8 di cui peraltro tutti, in primis questo giornale, hanno dato ampio riconoscimento. Il prof Venturi mette però il dito in una piaga molto più vasta dell'episodio in sé, già grave di suo. La concezione della 'cultura' che quel dono imbarazzante esprime è, mi si lasci dire, 'cafona'. E' la 'cultura' come l'immagina un 'nuovo ricco' che non l'ha mai frequentata, un uomo che nessuno ha mai visto partecipare, nemmeno a fini istituzionali, a un qualche evento culturalmente significativo. Ridurre Canova a una figurina è un'operazione alla quale una visione 'ingenua' del sommo scultore può prestarsi. Basta prescindere dalle circostanze, dalla tecnica, dalle modalità espressive delle opere, tutti elementi che su una copertina diventano indistinguibili. Un uomo che ostenta la sua indifferenza per la cultura in un paese che ha le nostre tradizioni culturali è una sciagura infatti dimostrata dalla politica dei due ministeri chiave sull'argomento: la Pubblica istruzione ed i Beni Culturali.

«Albergo sulle Torricelle». Ma il Comune smentisce

«Albergo sulle Torricelle». Ma il Comune smentisce
Sabato 18 Luglio 2009 CRONACA Pagina 8 L'ARENA


LA POLEMICA. Un gruppo immobiliare veronese ha pubblicizzato alla Fiera di Milano la creazione di un resort di lusso con piscina e ristorante panoramico


Sarebbe sotto il santuario Giacino: «Non esiste alcun progetto ed è irrealizzabile: l’area collinare è tutelata»

Un albergo di lusso, con tanto di piscine interne ed esterne e ristorante panoramico con vista sul centro storico.
Si pubblicizza così il complesso alberghiero che la Palladium Group avrebbe in mente di costruire proprio dove oggi sorge il seminario degli Stimmatini, a ridosso del santuario della Madonna di Lourdes sulle Torricelle.
Questo, almeno da quanto si pubblicizza in un depliant che è stato distribuito alla fiera di Milano, nei mesi scorsi. Pubblicazione che definisce questo «San Leonardo hotel» un albergo da cento stanze con spazi congressuali, spa, piscine, ristorante panoramico e ampi spazi verdi su una superficie di tre ettari con un potenziale edificatorio di 12mila metri quadrati. «Il progetto», si legge nel pieghevole, «prevede il rinnovo degli edifici esistenti, la riqualificazione di tutte le aree esterne a verde a la trasformazione di tutti questi spazi a uso seminariale in un Luxury City Resort».
Il volantino ha subito messo in allarme i consiglieri comunali del Partito democratico che chiedono, in una interrogazione, di sapere con urgenza se agli atti del Comune risulti depositata tale proposta progettuale e quali siano le intenzioni dell’amministrazione a riguardo. Ivan Zerbato dice infatti: «Questo progetto che, come si evince dal depliant, è promosso dalla Palladium Group ed è elaborato da Goring & Straja Architets, si collocherebbe in uno dei posti più prestigiosi con vista sulla città». E aggiunge: «Riteniamo che il progetto sia in contrasto con le norme urbanistiche vigenti e, per essere attuato nella sua totalità, necessiterebbe di una variante urbanistica di cambio di destinazione d’uso oltre a dover essere inserito nel Piano degli interventi del sindaco ancora da approvare».
Il capogruppo Stefania Sartori aggiunge: «La questione ha dimensioni economiche rilevantissime sia sotto il profilo delloperazione immobiliare, sia tenendo conto degli investimenti economici e per l’imbatto urbanistico, vista la delicatezza della zona interessata dall’intervento».
«Ci si domanda come possa il proponente avere certezze così robuste da promozionare, su una piazza importante come la fiera di Milano, la realizzazione di un albergo che sulla carta non può attualmente essere costruito», proseguono Roberto Fasoli e Carlo Pozzerle.
Intanto, sul sito della società presa in causa, tra i progetti in corso e futuri, non risulta il San Leonardo hotel e i vertici dell’azienda non sono raggiungibili per chiarimenti.
Intanto però l’assessore all’Urbanistica, Vito Giacino, nega che sia mai arrivata in Comune alcuna proposta sull’area in questione. E chiarisce: «Succede spesso che i privati sviluppino idee progettuali su alcune aree della città e che le presentino durante le più importanti fiere del settore per promuovere la propria ditta, il Comune non può impedirlo».
Giacino precisa poi che «per effettuare qualsiasi intervento edilizio è necessaria una variante urbanistica di cambio di destinazione d’uso. E il Pat individua la zona come area sottoposta a precisi vincoli dove, tra l’altro, non è prevista alcuna espansione ad uso turistico-ricettivo. Quindi il restor lì non si può fare».G.C.

sabato 4 luglio 2009

Ampliamento delle case: avanti tutta con il piano

Ampliamento delle case: avanti tutta con il piano
Giovedì 02 Luglio 2009 L'ARENA

PESCHIERA. Il secondo Consiglio comunale della nuova amministrazione Chincarini modifica le norme tecniche del Prg

Il limite sarà a 75 metri cubi Commissione edilizia: proteste dalla minoranza per la nomina di Donatoni

La nomina della commissione edilizia chiude con qualche strascico polemico il secondo Consiglio comunale di Peschiera, dopo che, tra gli altri punti all’ordine del giorno, era stata votata la modifica di alcune parti delle norme tecniche di attuazione al Prg. Tra queste, quella che permetterà l’aumento volumetrico di 75 metri cubi «per gli edifici residenziali abitati dal proprietario», di fatto le prime case dei residenti.
Le modifiche votate dal consiglio entreranno in vigore una volta concluso l’iter burocratico del provvedimento che sarà depositato in Comune per la visione da parte degli interessati e quindi reso pubblico per la presentazione, entro 30 giorni, di eventuali osservazioni che saranno esaminate entro i successivi 60. Poi il piano sarà ritrasmesso al Consiglio comunale per la definitiva approvazione e infine pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione. «È uno dei punti più qualificanti del nostro programma elettorale e perciò la sua attuazione è stata inserita nel primo Consiglio comunale utile», ha sottolineato l’assessore all'urbanistica Walter Montresor ricordando che le modifiche approvate riguardano anche «zone agricole, aree produttive, pubblici esercizi e sono dettate dalla fase di generale congiuntura economica e tese a migliorare alcune situazioni abitative».
L’adozione delle modifiche di parti delle norme tecniche di attuazione del Prg è stata votata da maggioranza e Flavio Amicabile, astenuti Daniele Reversi e Giacomo Tomezzoli.
Poi la nomina della commissione edilizia, inserito tre giorni prima della seduta. Reversi ne ha chiesto il ritiro «perché non sussistono motivi di urgenza e perché lesivo dei diritti della opposizione vista l’assenza dei due consiglieri Bruno Dalla Pellegrina e Barbara Vacchiano. Se il punto non sarà ritirato riterremo la sua aggiunta non casuale e segno che l’amministrazione rinuncia subito e in modo unilaterale al confronto e alla collaborazione auspicati nel primo Consiglio». Seduta sospesa per qualche minuto. Al rientro l’assessore Montresor ha motivato la decisione di procedere «perché sono presenti due dei tre gruppi di minoranza e dunque l’opposizione ha tutta la possibilità di esprimere i propri candidati».
La votazione ha portato all’elezione dei tecnici indicati dalla maggioranza (Flavio Ricobelli, Enrico Rizzetti) e Davide Donatoni proposto dal consigliere Flavio Amicabile. In commissione anche Paolo Cristini e Valery Battiti come esperti dei beni ambientali e culturali.
La nomina di Donatoni, che ha ottenuto quattro voti, ha suscitato alcune critiche. «L’amministrazione non ha voluto ritirare il punto ma ha dirottato i propri voti sul tecnico indicato dal consigliere Amicabile, sul cui ruolo di minoranza nutriamo serie perplessità», ha commentato Reversi mentre per Tomezzoli, «la maggioranza ha palesemente dimostrato non solo di essere autosufficiente eleggendo i propri membri, bensì di non gradire interferenze nell’urbanistica e nell’edilizia privata votando anche il rappresentante delle minoranze. Auguriamo agli eletti un buon lavoro ma sarà nostra cura palesare in ogni forma e presso qualsiasi ente preposto le nostre proposte o osservazioni».
«Le dichiarazioni del capogruppo Reversi sono probabilmente dettate da risentimento», replica Amicabile. «Vorrei ricordare che oggi si replica di quanto accaduto nella legislatura precedente, con la nomina in commissione del tecnico indicato da Tomezzoli che allora fu eletto anche con i voti della maggioranza. Io preferisco portare l’attenzione sulla professionalità di chi ho proposto, riconosciuta da altri oltre a me. Per il resto, sul mio ruolo in minoranza, ricordo che mi sono candidato con una lista autonoma. Lascio a Reversi la possibilità di pensare quello che vuole».[FIRMA]

martedì 16 giugno 2009

«Non rendiamo Venezia come Disneyland»

«Non rendiamo Venezia come Disneyland»
Marco Dolcetta
Il Tempo 08/06/2009

Il nuovo simbolo di Venezia come lo intende Francoise Pinault, il magnate francese che anni fa ha acquisito Palazzo Grassi, ed oggi la Punta della Dogana, è una rana. L'animale è tenuto per una zampa da una mano destra di una statua di un adolescente dell'altezza di 2,5 metri in acciaio inox dipinto di bianco. È l'allegoria della fortuna, l'adolescente è una opera richiesta da Pinault all'artista Charles Ray. La vecchia allegoria della fortuna è una donna posata su un globo nel XVII secolo, sulla torre pensata dall'architetto Benoni che ricorda ai veneziani che, come i mari e i venti, la fortuna è capricciosa. Questa è l'allegoria della vecchia Punta della Dogana. Sono andato fra quelle statue, in una sala della Punta della Dogana, sotto il cavallo di Maurizio Cattelan. Con me c'era Pierre Rosenberg, già Direttore del Louvre, e che alterna la sua residenza oggi fra la rue De Vaugirard, a Parigi, e Dorsoduro a Venezia. «È per l'occasione dell'inaugurazione storica di questo straordinario ambiente, finalmente rimesso a disposizione di tutti qui a Venezia, parlo della Dogana Vecchia. Non amo affatto tutto l'insieme delle manifestazioni mondane che durano un weekend e fanno rassomigliare Venezia a una Disneyland per presunti intellettuali, cosa che da un forte senso di frustrazione agli abitanti. Sa, non sono rimasti molti, nella Venezia di tutti i giorni, quella che io amo molto». Pierre Rosenberg, lei è stato l'artefice per tanti decenni della ristrutturazione del Louvre e addirittura per la intelligente formula di esportazione a livello internazionale del modello museale del Louvre. «È mia intenzione continuare nonostante la mia non più tenera età a girare per il mondo al fine di mettere a disposizione la mia esperienza per vari musei esistenti o che verranno. Oggi stesso parto per Mosca, poi faccio sempre ritorno a Parigi e Venezia. Altre iniziative che intendo portare avanti è quello di integrare con dei miei numerosi interventi, videoregistrati anni fa da Federico Zeri sulla storia dell'arte internazionale attraverso i secoli...io ero un grande amico di Zeri e mi aveva fatto grande piacere che, negli ultimi anni della sua vita, fosse potuto diventare un accademico delle arti, anche in Francia, dove ancora oggi viene considerato uno dei massimi conoscitori dell'arte». Lei ha una concezione tradizionale della d'arte, un uomo di cultura completo, si potrebbe stare delle ore a discutere con lei di letteratura antica, ma anche contemporanea, di cinema, di teatro e anche di poesia. «Ezra Pound abitava a poche centinaia di metri da casa mia, proprio là, vede...…».

Referendum a Venezia per abolire il Carnevale

Referendum a Venezia per abolire il Carnevale
LÉON BERTOLETTI
Libero 11/06/2009

VENEZIA Non volano pugni né bottiglie, tantomeno parole sconce. Tuttavia la polemica resta degna diemingway, anche perché nasce tra i tavolini dell'Harry's Bar. Il patron del mitico locale veneziano, Arrigo Cipriani, ha preso carta e penna e scritto al Gazzettino parole di fuoco contro uno degli appuntamenti sacri eintoccabili della città: il Carnevale. «Un evento che evidenzia lo specchio del becero tramonto del pensiero e del gusto» ha annotato il celebre oste. Scatenando una bufera lagunare. Per Cipriani, «il Carnevale dello scorso febbraio è stato l'ultimo volgare schiamazzo dell'idiozia. E speriamo sia l'ultimo!». Ma sì, aboliamolo. Dopotutto, «il gregge camevalesco alla ricerca di un pastore prescelto da un ente di ispirazione televisiva ha toccato il fondo del cattivo gusto e della scernenza». Certo, «ben poche speranze si sarebbero potute riporre in chi aveva inventato il bacio comandato alla mezzanotte di Capodanno e la musica da discoteca per accompagnare i fuochi del Redentore». Ma adesso queste «squallide far- se» hanno proprio stufato. Fine, per cortesia. «Si dimentichi il Carnevale e si intensifichi invece una serie di spettacoli teatrali a tutto campo». Si dica «basta ai costosissimi megaeventi calati dall'alto per l'appagamento dei sudditi, la distruzione del buon- gusto e delle pietre e l'impinguamento di borse pubbliche e private». il sindaco, Massimo Cacciari, è un ifiosofo e la prende a modo suo. «Sono pronto a sospendere la prossima edizione della manifestazione se questo sarà il volere della città» è la reazione. «Mi rendo conto che questi eventi possono apparire popolari a certi snob, parola che è un acronimo dell'espressione latina sine nobilitate . E possibile che ad alcuni snob il carnevale non piaccia». Dunque, «invito i quotidiani locali a riproporre una consultazione tra la gente a proposito del gradimento o meno del Carnevale. Se la città dichiarasse di essere contraria alla manifestazione, l'amministrazione comunale non potrebbe che prenderne atto e decidere di non organizzare pi nulla. Poi qualcuno glielo andrà a spiegare agli esercenti pubblici e agli albergatori». Altro giro, altra corsa. «Non sono affatto uno snob» replica Cipriani. «Tra i miei due nonni, uno fabbricava gli stuzzicandenti con il temperino e l'altro faceva il muratore in Germania. Non sono contro il Carnevale in generale, ma contro questo: imposto dall'alto, con un tema idiota, con una piazza San Marco assordata da musica orrenda, con migliaia di persone vestite normalmente che vengono a vedere uno sparuto gruppo di gente in costume del Cinquecento». Insomma il corpo, i corpi anzi, ma non l'anima. Franco Maschietto, presidente dell'Associazione veneziana albergatori, risponde seccato. «Mi infastidisce che Cipriani abbia detto queste cose» dichiara. «Certo, si tratta di una provocazione. Maè troppo facile criticare senza mettersi in gioco. Venezia, come altre realtà, sta vivendo un momento di crisi. Abbiamo bisogno di fare in modo che la gente arrivi. Queste manifestazioni portano risultati». I numeri sembrano dalla sua parte. il Carnevale Sensation 2009 è stato il pi partecipato degli ultimi sette anni, con circa un milione di presenze. Alberghi pieni al 95 per cento nel primo fine settimana, all'80 per cento nel secondo. A ruba i biglietti dei vaporetti. «Anche Cipriani vive di Referendum a Venezia per abolire il Carnevale Grande business o volgare confusione? Arrigo Cipriani attacca la kermesse: è la rovina della città. Cacciari ribatte: se la gente vuole, pronto a cancellarla. E parte il sondaggio sui quotidiani locali *** farse» buongusto pane e turismo» sottolinea Ma- schietto. «Dovrebbe riflettere prima di fare queste strombazzate. Oltretutto, non si pu immaginare un Carnevale tutto veneziano, senza l'importante presenza di queffi che amo definire i residenti occasionali della città, cioè i turisti». 11 commento trova eco in Massimo Zanon, presidente di Confcommercio Venezia. «Un evento come il Carnevale non soddisferà mai il veneziano» dice. Spiega che «il problema è un altro: dare risposte a chi arriva e fare in modo che le persone impegnate a vario titolo in un'attività siano in grado di sopravvivere proprio grazie all'apporto del turismo». Se poi, a livello orgaiiizzativo, «qualche imperfezione c'è, si possono cercare e trovare soluzioni per risolvere e migliorare le centinaia di iniziative presenti, oltre al Carnevale». L'acqua alta sembra scendere.

Negrar (Verona). È guerra contro i campi sportivi davanti alla villa

Negrar (Verona). È guerra contro i campi sportivi davanti alla villa
Martedì 16 Giugno 2009 PROVINCIA Pagina 22 L'ARENA


La Regione ha già dato il via libera

Massignan: «Chiederemo aiuto alla Soprintendenza Il territorio e i suoi tesori vanno salvaguardati»

Levata di scudi contro la decisione della Regione di dare l’ok alla realizzazione dei campi sportivi davanti a una villa veneta. E ora si spera nella Soprintendenza e in un nuovo sindaco. «Ci muoveremo nella sede della Soprintendenza, perché venga ampliato il vincolo attorno alla quattrocentesca villa veneta, detta Palazzo Bertoldi», attacca Giorgio Massignan di Italia Nostra. «L’importanza di una villa veneta è determinata anche dall’area che la circonda. Non vi si possono costruire attorno case e campi sportivi. Una pubblica amministrazione che si rispetti guarda a queste cose: dove sono finite le promesse di salvaguardare il territorio?». E continua: «Vi sono tanti luoghi dove realizzare i campi sportivi: bisogna farli proprio lì? Vi sono interessi privati e la solita volontà di speculare con le case, ecco perché si trovano tutte le giustificazioni a questa operazione. Ennesimo caso di “negrarizzazione”». E aggiunge: «Come si fa a costruire i campi sportivi, con tutto il traffico che attireranno, in una strozzatura della strada, causando problemi di traffico enormi sulla strada statale e vicino alla curva? Voglio sperare che un assurdità simile non venga realizzata». Tra le tante lamentele si leva anche la voce di Pieralvise di Serego Alighieri, presidente dell’associazione Salvalpolicella: «Ecco un altro esempio di come sia considerato oggi in Veneto il patrimonio paesaggistico, storico e achitettonico. È curioso leggere le dichiarazioni del sindaco uscente, che ci rassicura sulla “mancanza di impatto” della realizzazione degli impianti sportivi di fronte a villa Bertoldi: non dimentichiamo che oltre ai campi sportivi sono previsti 13 mila metri quadrati di insediamenti residenziali e abitativi.
Com’è possibile che non ci sia impatto? Ed è quanto meno curioso pure che la Regione abbia approvato una simile iniziativa. Non solo ha approvato i nuovi campi sportivi, ma anche i nuovi condomini. A questo punto non resta che sperare in un futuro sindaco, coraggioso, che abbia il fegato di stracciare il progetto e dare un importante segnale di inversione di rotta sulla gestione del territorio. Per la comunità di Negrar sarebbe forse l’ultima occasione di modificare in positivo l’immagine generalizzata del paese». E spulciando il piano territoriale regionale, Serego sottolinea cosa dice il documento regionale a proposito di Ville Venete: «La Regione d’intesa con l’Ente regionale ville venete favorisce l’elaborazione di strategie per la tutela delle stesse, alla salvaguardia dei contesti paesaggistici storicamente connessi, alla promozione della loro conoscenza». G.G.

giovedì 4 giugno 2009

Distributori in città, Coca-Cola si ritira

Distributori in città, Coca-Cola si ritira
Ma. Co.
Corriere del Veneto 03/06/2009

VENEZIA — Il piano pro­gettato da mesi e poi saltato al momento della firma. Le polemiche sollecitate e solle­vate da buona parte dell’opi­nione pubblica. Poi il bando. Che in origine doveva essere pronto dopo una settimana e invece ha visto la luce un mese dopo. Insomma, un polverone troppo grande an­che per una multinazionale come Coca-Cola. E l’azienda dice no. Non parteciperà alla gara comunale per i circa du­ecento distributori da piazza­re tra uffici e imbarcaderi. «Abbiamo altre priorità» conferma Alessandro Magno­ni, direttore affari generali di Coca-Cola Hbc Italia. Ma la competizione non andrà per questo motivo deserta. A contendersi la partita (oggi dovrebbe esserci l’apertura delle buste) due soggetti. A quel che si dice due leader di un settore che attualmente, per fatturati e copertura, è guidato dalla Ivs Italia.

Sventato per Ca’ Farsetti il pericolo di ricominciare tut­to daccapo, magari attraver­so una trattativa privata, ben presto nei 13 imbarcaderi dell’Actv e nelle motonavi ar­riveranno quindi i distributo­ri automatici che dovrebbe­ro portare nelle casse del Co­mune qualcosa come cinque milioni in cinque anni. Euro più, euro meno. Perché anco­ra non si sa quanto i due gruppi abbiano deciso di in­vestire rispetto alla base d’asta, fissata appunto in cin­que milioni. «Per noi cambia poco — dice il capo di Gabi­netto Maurizio Calligaro — il fatto che non ci sia Co­ca- Cola ha importanza relati­va. L’aspetto fondamentale è che il bando non andasse de­serto e a quanto pare questo pericolo non c’è». A meno di sorprese dell’ultim’ora (fa fe­de il timbro postale) dovreb­bero essere due le società che si contendereanno la piazza veneziana a colpi di distributori automatici. Boc­che cucite sui nomi, e in fon­do la cosa ha importanza re­lativa. Se non fosse che, co­me previsto dal bando, il vin­citore entrerà di diritto nel­l’esclusivo club degli Amici di Venezia. Dando un occhio a fatturati e distribuzione (la gara parlava di almeno 20 milioni di fatturato e di 500 distributori in esercizio) ai primi due posti troviamo Ivs Italia che ha un fatturato di molto superiore ai 100 milio­ni, e il gruppo Argenta. An­che se nelle ultime settima­ne sono stati numerosi i so­pralluoghi effettuati negli imbarcaderi Actv e non solo da parte delle due società. In attesa di veder installati i di­stributori — sperando che la partita non si risolva, come altre in città, con un pari e patta — sulla vicenda rimar­rà l’alone Coca-Cola. Risalita di recente alle cronache per via dello spot «sulla felicità» criticato da Caorle e dintor­ni, la multinazionale di At­lanta non ha evidentemente digerito l’affaire Venezia e ha deciso di fare ugualmente il sopralluogo ma alla fine di non partecipare alla gara. «Abbiamo altre priorità — conferma il direttore affari generali Coca-Cola Alessan­dro Magnoni — in bocca al lupo ai partecipanti ma noi non ci saremo. Altri obietti­vi? Sì, e stiamo chiudendo in questi giorni».