lunedì 29 dicembre 2008

Completato il "puzzle" di Andrea Mantegna

Completato il "puzzle" di Andrea Mantegna
Alfredo Pescante
Il Gazzettino (Padova) 29/12/2008

Il Laboratorio Mantegna di via Dottori, diretto da Domenico Toniolo, sta completando il suo compito. Costituito alla fine del 2001, ha visto al lavoro studiosi come Massimo Fornasier, Camilla Zanuso e Rocco Cazzato e numerosi studenti universitari.
Sarà un vero peccato se quanto realizzato in questi anni non avrà seguito, perché l`equipe, che ha creato il programma dell`anastilosi informatica" e delle "armonie circolari", capaci di individuare con grande precisione nel mare di frammenti (ben 78.462) degli affreschi della cappella Ovetari agli Eremitani, il punto preciso dove andavano ricollocati, ha introdotto un metodo ormai riconosciuto a livello mondiale nel campo del restauro.
«Mi ero interessato del problema della ricostruzione degli affreschi di Mantegna già nel 1993 - dice l`ex docente di Fisica, Toniolo - e la ricerca è vissuta all`inizio grazie al supporto dell`Università di Padova. Poi è intervenuta la Fondazione Cariparo con due consistenti finanziamenti che ci hanno permesso il lavoro di recupero di molti frammenti della parete destra e ora di quella sinistra, la più disastrata.
Da un anno al Laboratorio Mantegna lavorano solo tre persone: Camilla Zanuso, studiosa d`arte, Rocco Cazzato, consulente informatico, ed io, puntando più sulla qualità, anche perché il finanziamento si sta esaurendo. C`è la sensazione che, terminato il recupero di quanto possibile nella parete sinistra, si esaurisca il progetto. Dispiace molto perché così va perduta l`esperienza di assoluto valore accumulata in questi anni da tante persone che potrebbero metterla a disposizione per altri interventi analoghi.
L`affitto dei locali dove lavoriamo scade il prossimo febbraio, e non ci sono segnali per un proseguimento dell`attività».
Toniolo, autentico volontario perché non ha percepito compensi per il suo lavoro, nonostante arrivi da Rossano Veneto ogni mattina in via Dottori, si dice soddisfatto del risultato.
«Via via abbiamo migliorato le fasi di ricerca che ci hanno consentito risultati insperati: abbiamo ricevuto i complimenti non solo degli addetti ai lavori. Il recupero dei frammenti della parete sinistra, in totale 4.541, consente agli storici dell`arte di individuare le varie fasi della formazione non solo compositiva, ma anche tecnica di Mantegna, autore delle sei scene». Camilla Zanuso commenta: «Abbiamo migliorato la situazione virtuale dagli inizi, offrendo ai restauratori una mappatura degli affreschi. Così sono riusciti a ricostruire i dipinti, grazie a una particolare sensibilità e conoscenza delle malte e dei pigmenti adoperati da Mantegna che hanno consentito di collocare i frammenti nel posto giusto.
Nelle zone in cui non ha avuto successo la ricerca informatica, lo stesso risultato lo hanno ottenuto anche i restauratori». «Ci sarebbe la possibilità - chiude Cazzato - di ricostruire anche gli affreschi dell`abside e della volta, importante perché vi operarono i veneziani Giovanni d`Alemagna e Antonio Vivarini e il padovano Nicolò Pizolo».
A dimostrare l`importante, continua evoluzione del metodo di Toniolo basti ricordare che dal 18 febbraio scorso, quando i frammenti complessivamente recuperati arrivavano a 3.200, con una media giornaliera di 2,61 pezzi, al 9 dicembre gli ulteriori frammenti sono aumentati di 1.341 unità, con una media giornaliera di 4,51. Tutte e sei le scene sono state arricchite di "tessere", con un picco in quella del "Giudizio di san Giacomo" che ha toccato quota duemila.

domenica 28 dicembre 2008

Valpolicella, la sfida del Parco

Valpolicella, la sfida del Parco
Domenica 28 Dicembre 2008 PROVINCIA Pagina 30 L'ARENA

Non è stata abrogata la disposizione ministeriale che definisce l’area «di notevole interesse paesaggistico»

Serego Alighieri: «L’edificazione continua penalizza anche prodotti come l’Amarone»

I provvedimenti di legge che tutelano la Valpolicella non sono stati aboliti. A darne notizia con soddisfazione è Pieralvise Serego Alighieri, presidente dell’associazione Salvalpolicella, che proprio in questi giorni ha ricevuto rassicurazioni da Roma. La scorsa estate il presidente dell’osservatorio aveva inviato una richiesta al ministro Sandro Bondi, chiedendo chiarimenti sul decreto legge del 25 giugno 2008 n. 112 sulla «semplificazione normativa» che prevede l’abrogazione di più di tremila leggi , tra le quali anche la 1497 del 29 giugno 1939 sulla protezione delle bellezze naturali, da cui derivava il famoso decreto del 1957, in cui il ministero della Pubblica istruzione di allora dichiarava la Valpolicella area di notevole interesse paesaggistico.
Nella risposta del ministero per i Beni e le attività culturali, arrivata dal servizio Pianificazione e qualità del paesaggio e firmata dal direttore generale Francesco Prosperetti, si dice che l’abrogazione della legge 1497/1939 non comporta alcuna decadenza dei provvedimenti di tutela tra i quali il decreto ministeriale 23 maggio 1957. «Come Salvalpolicella avevo scritto al ministro Bondi, chiedendo un suo intervento sulla questione anche in relazione alle recenti prese di posizione riguardo la situazione della Valpolicella e all’accordo firmato lo scorso 19 settembre con il governatore Galan, in cui si prevede la redazione congiunta del piano paesaggistico regionale», afferma Serego Alighieri, «il rischio che venisse abrogata la legge sulla tutela della Valpolicella era grosso e avrebbe dato un altro colpo alla nostra battaglia. Ora la risposta, pur nella sua brevità e freddezza burocratica, è importante perché ci dice che il decreto è ancora efficiente, in un momento in cui le cose stanno andando nella direzione opposta. Infatti, girando in Valpolicella, si vedono sempre più insediamenti, ed è urgente trovare un nuovo modo di pensare il territorio».
La Valpolicella continua a subire l’attacco dell’edilizia, ma questo penalizza, secondo Serego, anche il vino. «C’è una situazione di decadimento. Il suo prodotto più rinomato, l’Amarone, è a prezzi risibili e rischia di perdere in immagine e retrocedere di qualità. Sono molti i nemici da cui bisogna difendersi. Se sviliamo il prodotto e il territorio con nuove edificazioni, e molte sono quelle progettate, ci ritroveremo nel giro di pochi anni qualità. Coloro che hanno a cuore il futuro della Valpolicella, amministratori e produttori, si devono rendere conto di questo e devono impegnarsi a difendere un patrimonio che poche altre regioni italiane possono vantarsi di possedere».
Inevitabile il riferimento al Parco regionale della Valpolicella, che sta seguendo il suo iter burocratico; con l’inizio del nuovo anno dovrebbe anche cominciare la raccolta delle cinquemila firme necessarie a far decollare il progetto. «L’Ufficio legale regionale sta mettendo a punto la parte giuridica, relativa a come deve essere presentato il progetto», continua Serego Alighieri, «si tratta di un concetto allargato di parco, come avviene all’interno dei parchi agroalimentari, che darà la possibilità di crescita e di un vero sviluppo, mantenendo l’immagine della vallata, migliorando la qualità di quello che si produce. E’ necessario puntare sulla valorizzazione, in modo da evitare la massificazione».

mercoledì 24 dicembre 2008

Padova - Quel rustico non s'ha da fare L'abbazia di Praglia vince al Tar

Padova - Quel rustico non s'ha da fare L'abbazia di Praglia vince al Tar
Enzo Borditi
Il Mattino di Padova, 24 dicembre 2008

Babbo Natale ha portato un regalo sontuoso ai frati dell'abbazia di Praglia, rappresentata dall'abate padre Bruno, al secolo Corrado Marin: la vittoria al Tar contro il comune di Teolo, l'Ente Parco Colli e il ministero per i Beni e le Attività culturali. Il Tribunale amministrativo del Veneto ha annullato sia la concessione edilizia rilasciata dal Comune, sia il presupposto nullaosta ambientale dell'Ente Parco relativo alla realizzazione di un nuovo rustico a ridosso della storica abbazia. Una vittoria «firmata» dagli avvocati Sergio Dal Prà e Fiqrenza Scagliotti.
La concessione edilizia «bocciata» dal Tar (3 maggio 2000, n. 61/20000) venne rilasciata al titolare dell'azienda agricola a conduzione familiare Gianni Sgarabottolo. Il progetto prevedeva la realizzazione di un rustico a due piani da adibire a cantina. In particolare, il piano terra sarebbe stato destinato alla lavorazione del vino, il primo piano alla vendita. Il tutto previa demolizione e ricomposizione di alcuni volumi già utilizzati come ricovero di animali e deposito attrezzi, precedentemente condonati.
Una lite giudiziaria snervante. L'abbazia di Praglia impugna la concessione edilizia, nonché il nullaosta ambientale dell'Ente Parco «tacitamente conferito dalla Soprintendenza per inutile decorso del termine». Sgarabottolo e il ministero dei Beni Culturali esibiscono
in via preliminare l'irricevibilità del ricorso per tardività e, comunque, l'inammissibilità per difetto d'interesse. Per giudici del Tar «va disattesa l'eccezione sulla irricevibilità del ricorso» in quanto la prova della piena ed effettiva conoscenza della concessione edilizia rilasciata ad un terzo (e quindi anche delle autorizzazioni paesaggistiche) deve intendersi concretata non con il mero inizio dei lavori ma solo con la loro ultimazione, o almeno quando i lavori stessi siano giunti ad uno stato di avanzamento tale che non si possa avere più alcun dubbio in ordine alla consistenza, all'entità e alla reale portata dell'intervento edilizio assentito».
Per il Tar risulta inoltre «analogamente infondata l'ulteriore eccezione d'inammissibilità del proposto gravame per difetto d'interesse a ricorrere». Ferma e incontrastata è invece «la legittimazione ad impugnare della ricorrente, derivante dalla vìcìnitas dei due fondi». Analogamente viziato anche il nullaosta dell'Ente Parco poiché l'area è all'interno del perimetro «dove sono inibite nuove edificazioni e gli ampliamenti delle costruzioni esistenti».
Comune di Teolo ed Ente Parco ricorreranno al Consiglio di Stato, ma intanto assieme al padrone del rustico dovranno rifondere all'abbazia le spese di giudizio fissate in 6 mila euro.

VENETO - «Cinque milioni alla Curia? Non se ne parla»

VENETO - «Cinque milioni alla Curia? Non se ne parla»
AldaVanzan
IL GAZZETTINO, 24 dicembre 2008

"Dunque, sono cinquanta milioni in tutto: 35 ai Comuni di Venezia e della gronda, 10 alla Regione Veneto, 5 alla Curia veneziana". Il ministro Altero Matteoli presenta la ripartizione dei fondi e nella Sala Verde di Palazzo Chigi cala il gelo. Sguardi stupiti, occhi sgranati. Cinque milioni di euro alla Curia? Giancarlo Galan quasi sobbalza sulla seggiola. Massimo Cacciari non è da meno. Seduti uno accanto all'altro, proprio di fronte al sottosegretario della presidenza del Consiglio Gianni Letta che presiede la riunione e agli altri ministri, i due rivali in laguna a metà pomeriggio dell'antivigilia di Natale si alleano. Non è anticlericalismo. Non è nemmeno un tentativo di rinverdire l'antica volontà di autonomia della Serenissima dalla Chiesa di Roma. Anzi: la Regione in questi anni ha sostenuto parecchi interventi della Chiesa veneziana. Idem il Comune. Ma dare un finanziamento alla Curia in sede di Comitatone, con la Curia che del Comitatone non fa parte, non sembra appropriato. Fuori dai denti: "Non ha senso"! È così che Matteoli "cede" e la Regione Veneto alla fine porta a casa non 10 ma 15 milioni. Nella sostanza probabilmente non cambierà granché: facile che Palazzo Balbi, come in passato, eroghi ancora contributi alla Chiesa veneziana per altri interventi sugli immobili storici. Ma il dato di fatto è che gli "alleati" Galan e Cacciari su questo fronte la spuntano. Insieme.
Raccontano sia finita a sor-risoni e pacche sulle spalle. Cinquanta milioni tra tutti gli
enti non sono gli ottanta che inizialmente erano stati chiesti (solo Ca' Farsetti ne aveva domandati una sessantina), ma piuttosto che il niente è sempre meglio il piuttosto, specie se stiamo parlando di quasi 100 miliardi di vecchie lire. Per carità, non è che i rapporti tra Comune e Regione adesso siano idilliaci. Cacciari, ad esempio, non dice né a né ba quando Galan, davanti a Letta e ai ministri Matteoli, Brunetta e Prestigiacomo, lo contesta sul tema dei contributi ai privati per il restauro dei palazzi o per il proseguimento dei lavori della Cittadella della giustizia ("Già vi siete fatti piazza Ferretto con i fondi della Legge speciale"). E Cacciari non replica nemmeno quando il governatore, visto che il Mose ormai va avanti e nel 2014 dovrebbe essere finito, arriva a invocare una nuova Legge speciale per Venezia. Il sindaco tace anche quando - con Galan prima e Letta poi - viene auspicato un cambio di atteggiamento da parte del Comune in merito al ricorso in sede Ue sulla cosiddetta "Direttiva Uccelli". Ma Cacciari quel che doveva dire già l'aveva detto in apertura dei lavori e cioè che senza i fondi della Legge speciale la città si ferma. E, dopo un improvviso guasto del computer, ai presenti vengono mostrati i video sull'acqua alta del 1."dicembre e sui lavori compiuti da Insula. Si parla ovviamente anche del Mose ed è chiaro a tutti che, senza mai citarlo, sono rivolte al presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati (con vistoso cerotto alla tempia) le parole di elogio di Gianni Letta. La riunione è affollata. Tra i ministri anche Sandro Bondi, che a metà riunione però deve partire per Milano. Accanto a Galan e Cacciari i sindaci di Chioggia Romano Tiozzo e di Jesolo Francesco Calzavara. E poi il vicesindaco di Venezia Michele Vianello e, per la Regione, l'ingegner Casarin e il portavoce di Galan Franco Miracco. Il presidente del Magistrato alle acque Patrizio Cuc-cioletta da prassi svolge le funzioni di segretario verbalizzante. Ci sono anche la sovrintendente Renata Codello e Roberto Cecchi dei Beni culturali. Dura tutto un'ora e mezza. Ed è sul finire della riunione che i 5 milioni della Curia saltano. Almeno, formalmente.

lunedì 22 dicembre 2008

Mistero e fascino religioso delle gemme magiche

Mistero e fascino religioso delle gemme magiche
Sabato 20 Dicembre 2008 CULTURA Pagina 65 L'ARENA

RARITÀ. PRESENTATA UNA PREZIOSA PUBBLICAZIONE EDITA DALL’ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO

Alla pubblicazione curata da Attilio Mastrocinque ha collaborato anche l’Università di Verona

Gemme magiche, in un nuovo volume i risultati di lunghe e attente ricerche. Frutto di una collaborazione tra l’università di Verona e il ministero per i Beni culturali, il testo curato dal professor Attilio Mastrocinque raccoglie le gemme di molte collezioni museali italiane, tra cui quella dei Medici del Museo di Napoli e del Correr del Museo civico di Venezia, nonché di serie private.
Con questa seconda raccolta di disegni e descrizioni di gemme di ambiente gnostico dal titolo «Sylloge gemmarum gnosticarum parte II» edita dall’Istituto poligrafico e zecca dello Stato (328 pagine, 40 euro), si mette a disposizione della comunità scientifica una vasta scelta di gemme magiche di specifico interesse religioso. Particolare attenzione è stata posta alla storia delle singole collezioni, in quanto, il fatto che le gemme siano conservate in Italia non prova che siano state trovate sul territorio nazione come pure che vi siano state realizzate. Una singolarità delle gemme magiche è di avere raramente dati sulla loro scoperta. Si tratta quasi sempre, infatti, di reperti entrati nelle collezioni in seguito a rinvenimenti non controllati dagli archeologi. Di fatto, le gemme magiche o gnostiche sono una variegata categoria di intagli in pietra semipreziosa dedicati ad iconografie religiose non convenzionali.
«Molte di queste gemme sono degli amuleti contro varie malattie o demoni e gli antichi sceglievano con cura le pietre da usare, in base al patrimonio tradizionale della scienza dei caldei, dei magi e dei sacerdoti egiziani», spiega Mastrocinque. «Erano questi, infatti, che conoscevano le occulte proprietà di pietre, piante e animali. La svolta negli studi delle gemme gnostiche si ebbe con la pubblicazione dei papiri magici di Tebe, scoperti nell’Ottocento, che permisero nel secolo successivo l’interpretazione e la comprensione di queste pietre attraverso precisi confronti con le ricette di magia in greco o in copto».
Prosegue Mastrocinque: «Lo studio di questo genere di testimonianze richiede un difficile lavoro interdisciplinare e competenze di prim’ordine in molti campi del sapere: dall’astronomia alla storia delle religioni dei popoli orientali, dalla letteratura greca a quella egiziana e mesopotamica, dalla paleografia agli studi biblici, dall’iconologia alla mineralogia».
La più ricca collezione di gemme magiche è conservata al Museo Archeologico di Firenze seguita da quella del Museo nazionale romano, ma anche a Castelvecchio è custodita una collezione di pezzi davvero unici. Tra questi una gemma con la raffigurazione del dio più famoso di Tarso, Sadas, con il mostro che di norma lo accompagna. «La particolarità di questa gemma è che al rovescio compare con molta probabilità il nome della dea che accompagnava il dio, Yoyo, che nelle tavolette ittite suonava come Yaya, ma la pietra è del III secolo d.C.», chiarisce Mastrocinque.
«Il mostro di Sandas, grazie allo studio della gemma veronese, si è rivelato essere il prototipo della Chimera greca, essendo un leone-capra alato. Nel museo veronese vi è anche un altro pezzo considerato singolare: la testimonianza di una triade della città di Ascalona, in Palestina. Vi compaiono Afrodite che tiene la colomba, Perseo, vincitore di una delle Gorgoni, e un dio locale con corona egiziana accompagnato da tre leoni.
Tra i pezzi che si distinguono nella collezione di Castelvecchio, poi, se ne evidenzia uno per l’uso del tutto eccezionale del Turchese. La gemma raffigura una specifica iconografia di Horus, che prende il nome di Harpokrates. Abbiamo il grande dio egiziano Serapide abbinato con il dio dalle gambe di caprone Pan: dio venerato anche in Egitto e ritenuto, in epoca tarda, l’immagine della totalità».

mercoledì 17 dicembre 2008

Il ritorno di Canova: duecento capolavori e due scoperte

Corriere della Sera 17.12.08
Una grande mostra dedicata al padre del neoclassicismo italiano si aprirà a Forlì il 25 gennaio
Il ritorno di Canova: duecento capolavori e due scoperte

Una delle contestazioni mosse alla «mostramania» che dilaga nel nostro sistema museale è la mancanza di una ragione scientifica che giustifichi una rassegna. E che non sia, ovviamente, la legge degli incassi. Non sarà, per fortuna, questo il caso della grande mostra «Canova - L'ideale classico tra scultura e pittura» che si aprirà nei Musei di San Domenico a Forlì il 25 gennaio 2009 per chiudere il 21 giugno. Per il semplice fatto che i curatori (Fernando Mazzocca e Sergéj Androsov ma il comitato scientifico è presieduto da Antonio Paolucci, attuale direttore dei Musei Vaticani dov'è stato presentato ieri l'appuntamento) proporranno tanto agli studiosi quanto al pubblico due inediti di Antonio Canova.
Un piccolo olio su tela, una «Mezza figura di fanciullo in atto di guardare un uccello », in realtà un ritratto del giovane principe polacco Henryk Lubomirski come San Giovannino: una «stesura veloce» come scrive Fernando Mazzocca, al punto che si intravvede ancora la trama della tela «come spesso nei dipinti canoviani». E una seconda versione del famoso ritratto di Domenico Cimarosa, qui in forma di erma.
Forlì e l'intera area romagnola furono luoghi fondamentali non solo per Canova ma per tutto il momento neoclassico. Puntare su questo sfondo geografico e culturale per ora non inserito nei grandi circuiti turistici è la interessante scommessa della mostra, organizzata in collaborazione con i Musei Vaticani, le Soprintendenze di Firenze, Roma e di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini, i musei Civici veneziani e il museo Correr, ovviamente la straordinaria Gipsoteca canoviana di Possagno. Ci sarà tutto Canova: sculture, disegni, pitture. Duecento capolavori ricostruiranno il suo itinerario creativo.
Soddisfatto Antonio Paolucci: «Come Raffaello, Antonio Canova regalò al mondo la consolazione della Bellezza».

lunedì 15 dicembre 2008

10 dicembre 1508, un anniversario passato quasi sotto silenzio

Il Gazzettino, 15 dicembre 2998

10 dicembre 1508, un anniversario passato quasi sotto silenzio
10 dicembre 1508, un anniversario passato quasi sotto silenzio: eppure cinquecento anni fa, contro la Serenissima Repubblica di Venezia, accusata di voler diventare lo stato egemone della penisola, di aspirare alla monarchia d'Italia, si formava la Lega di Cambrai, un vero e proprio trattato di aggressione sotto gli auspici del papa Giulio II (l'artefice della Basilica di San Pietro) per riportare l'orologio della storia veneziana in terraferma indietro di un secolo.

Nel corso del Quattrocento, temendo di essere accerchiata dalla parte di terra e di dover sottostare alle imposizioni dei vicini, Venezia aveva abbandonato il tradizionale imperativo di coltivar el mar e lassar star la tera', dando appunto origine al suo Stato da terra.

Poi, all'alba del Cinquecento, morto il papa Alessandro VI Borgia (1503) e crollato l'effimero stato del figlio Cesare, i veneziani avevano cercato d'ingrandirsi, sottraendo Ravenna e la Romagna alla Santa Sede. «Armerò contro di loro tutti i prìncipi della cristianità», furono le prime parole del nuovo papa Giulio II che si proponeva così di «far cessare le perdite, le ingiurie, le rapine, i danni che i Veneziani hanno arrecato non solo alla Santa Sede Apostolica, ma al Santo Romano Imperio, alla Casa d'Austria, ai Duchi di Milano, ai re di Napoli ed a molti altri principi occupando e tirannicamente usurpando i loro beni, i loro possedimenti, le loro città e castella».

Si formava la Lega di Cambrai tra l'imperatore Massimiliano I d'Austria, il re di Francia Luigi XII, lo spagnolo Ferdinando il Cattolico e altri piccoli stati; il papa, completando la coalizione che intendeva spogliare Venezia di tutti i suoi possedimenti e spingerla dentro la laguna per poi spartirsi i suoi domini, vi aderì all'inizio del 1509 e lanciò subito l'interdetto, cioè la sospensione di tutte le funzioni religiose, che la Repubblica rese però nullo proibendone la pubblicazione sotto la minaccia di pene severissime.

Eamos ad bonos venetos (andiamo con i buoni veneti) era stato nel 1416 il grido dei cadorini, che stanchi delle continue lotte tra il sacro romano imperatore e i vari signori per il possesso del castello di Pieve di Cadore e del territorio circostante proclamavano l'annessione alla Repubblica. E qui bisogna riconoscere, una volta per tutte, come scrive Charles Diehl, che Venezia governò bene i suoi nuovi possedimenti: nelle città di terraferma rispettò con cura le istituzioni locali, confermò gli statuti municipali, le magistrature, i consigli, confermò alle famiglie nobili gli antichi diritti di cui godevano, limitandosi ad inviare in ogni città un podestà per le cose civili e un capitano per le cose militari, assicurò un regime di giustizia e di protezione, sviluppò il benessere materiale, impose soltanto imposte moderate, si applicò in tutti i modi per soddisfare le popolazioni.

Eamos ad bonos venetos: fidando nell'eco di quel grido, segno di appartenenza e di fedeltà, fidando nella lealtà delle città che formavano lo Stato da terra, la Serenissima si preparò a dare battaglia sul piano diplomatico e su quello militare.

Mentre gli spagnoli ricevevano spontaneamente dalla Serenissima i porti della Puglia, i francesi iniziavano le ostilità sulla linea dell'Adda; l'esercito pontificio occupava Faenza, Ravenna, Cervia e Rimini; i vassalli di Massimiliano confinanti con la Serenissima calavano da Nord conquistando Feltre, Belluno, Trieste ed altre città; Alfonso d'Este si prendeva Rovigo, Este, Montagnana e Monselice; Gianfranco III Gonzaga si appropriava di Asola e Lonato.

Venezia, pesantemente sconfitta ad Agnadello (maggio 1509) vedeva i propri nemici arrivare fino ai bordi della laguna, mentre il malcontento dei nobili di terraferma di varie città del Veneto contro il governo della Repubblica, da cui erano stati sempre esclusi, faceva sì che parecchie città come Verona, Vicenza e Padova si concedessero ai tedeschi. Tutto il dominio sembrava crollare quando a Treviso cominciò la riscossa filoveneziana dei ceti popolari e dei contadini al grido di Viva San Marco! (10 giugno 1509). Padova veniva riconquistata, mentre il papa, soddisfatto nelle sue richieste, toglieva l'interdetto. L'abile lavoro diplomatico impostato sulle gelosie che attraversano la Lega cominciava a dare i suoi frutti. Rimanevano in campo il re di Francia, l'imperatore Massimiliano e Alfonso d'Este. I primi erano costretti a ritirarsi dall'Italia dopo sanguinosissime battaglie. Massimiliano si diceva disposto a cedere le province venete dietro il pagamento di un tributo annuo per l'investitura. Venezia rifiutava e cominciavano i rovesciamenti di alleanze. Il papa faceva lega con Massimiliano, ma poco dopo moriva (21 febbraio 1513). Gli succedeva Leone X. Venezia si alleava con la Francia contro Massimiliano.

Alla fine dei giochi, al Congresso di Bologna (1530), la Repubblica riottenne il suo Stato da terra fino all'Adda. Fu un capolavoro politico. Di fatto, il dominio di terraferma assumeva la sua forma iniziale attraverso i patti di dedizione, che vedevano territori e città contrattare (in modo effettivo) la loro aggregazione a Venezia. Si scopriva così che la città-stato era amata soprattutto dai sudditi più umili: fu proprio nei giorni tremendi seguiti alla sconfitta di Agnadello che si palesò l'attaccamento dei ceti popolari e dei contadini alla Repubblica in aperto contrasto con i vecchi padroni, con la nobiltà legata alle tramontate Signorie: «Fu una lotta furiosa, incredibile partigiana la quale basterebbe a dimostrare che, fra i vecchi padroni feudali e i nuovi, i contadini avevano decisamente scelto Venezia» (Giuseppe Fiocco).

Data per morta, la Serenissima risorge e si appresta a dimostrare di avere ancora una vita opulenta, di essere ancora la città più ricca e più lussuosa del mondo, capace di celebrare se stessa: affida il compito a grandi artisti del tempo, alcuni dei quali erano affluiti in laguna dopo il sacco di Roma (1527), perpetrato dai lanzichenecchi. Erano arrivati Codussi, Palladio, Sansovino, Sanmicheli, Scamozzi e altri. L'arte diventava così lo strumento di propaganda politica: Venezia voleva diventare la nuova Roma. Nasceva il mito di Venezia, la Repubblica ideale, la sede della libertà e della giustizia.

Giovanni Distefano

giovedì 11 dicembre 2008

Acqua alta e onde, la riva in pezzi

Acqua alta e onde, la riva in pezzi
Corriere del Veneto, 9 dicembre 2008

Riva dei Sette Martiri a pezzi. A crollare questa volta sono stati i gradoni della riva d'acqua di una delle passeggiate più belle di Venezia Un dissesto improvviso segnalato almeno tre giorni fa con le fettuccine bianche e rosse dai vigili urbani che continua però a rimanere in bella vista. Ma non è l'unico «buco». La riva dei Sette Martiri si è trasformata in una gruviera con cedimenti vari e crolli di pietre. Un allarme questo lanciato dall'Osservatorio Trasformazioni Territoriali e Sociali dell'Associazione Ambiente Venezia che ha immortalato i crolli. «La città cade a pezzi ma i soldi vanno solo al Mose alle lobby d'imprese del Consorzio Venezia Nuova. L'ultimo esempio arriva dai crolli di riva dei Sette Martiri nel tratto che va dal Museo Navale al pontile dei giardini della Biennale — ha commentato Luciano Mazzolin, portavoce dell'Associazione Ambiente Venezia — e dimostrano che i danni documentati da oltre un anno dalla mostra Multimediale Venezia Crepa stanno aumentando e peggiorando sempre di più con una velocità paurosa». Le scene sono inequivocabili: ai piedi del ponte sono crollati i gradoni che portano dalla riva all'acqua
Stessa situazione poco più in là. Basta infatti spostarsi dieci metri per incappare in un crollo di masegni e alla caduta in acqua di un pezzo di riva. Non solo, da lunedì scorso la riva ospita pezzi di mattoni e di masegni portati dall'alta marea Nessuno li ha sposati o tanto meno rimossi. «Chi pagherà i lavori di ripristino? Perchè gli enti preposti alla tutela e difesa della città restano immobili ed inadempienti?». Interrogativi questi che Ambiente Venezia gira a Comune, soprintendenza, Magistrato alle acque, Regione e ministeri sperando di avere presto delle risposte concrete.

Attorno all'ultima acquisizione artistica della Banca Popolare di Vicenza si sviluppa una mostra che ha per tema il trionfo.

Attorno all'ultima acquisizione artistica della Banca Popolare di Vicenza si sviluppa una mostra che ha per tema il trionfo.
Edizione del 10/12/2008, IL GAZZETTINO ONLINE

Vicenza
Attorno all'ultima acquisizione artistica della Banca Popolare di Vicenza si sviluppa una mostra che ha per tema il trionfo. Ieri sera a Palazzo Thiene, sede storica dell'istituto di credito berico, alla presenza tra gli altri del presidente Gianni Zonin, del Soprintendente Fabrizio Magani e del curatore Fernando Rigon, è stata inaugurata la tradizionale esposizione Capolavori che ritornano, che rimarrà aperta sino all'8 febbraio. E l'ultimo capolavoro ritrovato nei mercati d'arte nordamericani dalla banca vicentina che da dieci anni è impegnata nel recupero del patrimonio d'arte del territorio veneto, è proprio il Trionfo di Alessandro in Babilonia di Antonio Zanchi, uno dei protagonisti dell'arte veneta del secondo Seicento.

Con Vicenza, il maestro veneziano ebbe a che fare specialmente negli anni tra il 1672 e il 1700, qualificandosi come figura chiave nel rinnovamento dell'arte locale.

Il dipinto, realizzato intorno al 1674, immortala il trionfo dei trionfi cioè l'episodio storico, datato 331 ac, in cui Alessandro Magno entrò vittorioso nella mitica Babilonia che si consegnò ammirata dalla grandiosità del condottiero.Partendo dall'opera di Zanchi, la mostra rende omaggio al mito di Alessandro Magno e affronta il tema del trionfo nella storia nelle sue espressioni (militare, religiosa, allegorica) attraverso un percorso espositivo composto da dipinti e stampe di importanti autori soprattutto veneti.

Accanto al capolavoro di Zanchi vi sono esposti nell'occasione altri due importanti opere raffiguranti lo stesso episodio storico, dipinte da Gaspare Diziani e da Gian Battista Pittoni, che in epoca successiva raccontarono l'avvenimento da differenti angolazioni cronologiche.

«Prosegue con successo commenta Zonin - il nostro progetto di recuperare le opere d'arte venete in giro per il mondo. Con dei primati. Abbiamo infatti la più grande collezione al mondo di oselle veneziane».

A partire dall'11 gennaio via alle Conferenze della domenica, ciclo di incontri a ingresso libero sulla figura di Alessandro Magno, Antonio Zanchi e sul tema del trionfo.Laura Pilastro

Epigrafi romane: a San Giorgio c’è un vero tesoro

Epigrafi romane: a San Giorgio c’è un vero tesoro
Mercoledì 10 Dicembre 2008 PROVINCIA Pagina 24 L'ARENA

Il premio «Policante» - Le iscrizioni sono nella tesi di Riccardo Bertolazzi

Il Centro di documentazione per la storia della Valpolicella ha premiato, alla Società Letteraria di Verona, il giovane ambrosiano Riccardo Bertolazzi. Il riconoscimento, intitolato allo scomparso giornalista de «L’Arena», nonché segretario del Centro, Gianfranco Policante, consiste in una borsa di studio sponsorizzata dalla Banca Valpolicella Credito di Marano. Ogni anno viene premiata una tesi di laurea dedicata ad aspetti storici ed economici della Valpolicella.
Riccardo Bertolazzi si è laureato alla facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Verona con un lavoro di epigrafia romana dal titolo «San Giorgio di Valpolicella: le iscrizioni romane», relatore il professor Alfredo Buonopane. «San Giorgio è senza dubbio il luogo più ricco di epigrafi romane non solo della Valpolicella, ma forse dell’intera provincia», spiega Bertolazzi. «Ne sono infatti attestate finora ben cinquantuno. Nonostante in anni recenti non siano mancati studi specifici sull’argomento, molti dei quali pubblicati peraltro nell’Annuario storico della Valpolicella, l’ultima raccolta complessiva delle iscrizioni di San Giorgio risale alla seconda metà dell’800. Fu Theodor Mommsen, il noto studioso tedesco premio Nobel nel 1902, a schedarle e pubblicarle».
Negli ultimi 130 anni il numero delle epigrafi di epoca romana ritrovate è aumentato considerevolmente. «La mia tesi riporta la raccolta completa», spiega Bertolazzi. «Molte iscrizioni hanno nel frattempo cambiato sede e sono confluite nelle collezioni del Museo archeologico e del Giardino Giusti di Verona e parecchie sono andate disperse o lette in maniera errata. Ho ritenuto opportuno corredare ciascuna scheda di una fotografia dell’originale, dove invece l’epigrafe risultava irreperibile sono ricorso ai disegni di Giuseppe Razzetti, pittore mantovano che, su incarico di un erudito veronese della prima metà dell’800, Girolamo Orti Manara, riprodusse in un album numerose iscrizioni che all’epoca poté vedere di persona».
Molte epigrafi sono però ancora presenti in loco, murate all’interno della chiesa, del chiostro o conservate nel piccolo museo della pieve. «Per questo», aggiunge, «nella prima parte della tesi ho inserito un capitolo dedicato alla storia del chiostro e del tempio. Le iscrizioni testimoniano l’importanza che San Giorgio ebbe come centro di culto già in epoca preromana».
Un capitolo della tesi analizza «il monumento romano più caratteristico di San Giorgio, ovvero un particolare tipo di ara quadrangolare che, con ogni probabilità, veniva prodotta in serie da una bottega di lapicidi per poi essere venduto alla clientela, la quale a sua volta commissionava il testo da incidere e gli eventuali rilievi ornamentali da aggiungere al manufatto grezzo. A San Giorgio questa produzione è proseguita per secoli, visto che è iniziata nel I secolo a.C.».
M.F.

giovedì 4 dicembre 2008

«Un errore per la collettività la vendita di Palazzo Forti»

«Un errore per la collettività la vendita di Palazzo Forti»
Giovedì 04 Dicembre 2008 CRONACA Pagina 10 L'ARENA

ARTE E BILANCI PUBBLICI. Secondo l’International council of Museum

Prestigioso intervento a sostegno della battaglia condotta dal comitato «Per l’amata Verona»

Sulla vendita di Palazzo Forti arriva un parere dal consiglio direttivo di Icom Italia, la sezione italiana dell'International Council of Museums, cioè l'organismo mondiale dei musei, che si rivolge con una «raccomandazione» alla collettività, per appoggiare il comitato «Per l'amata Verona».
Nel dettagliato documento che Icom ha approntato in proposito, viene espressa «perplessità in ordine alla liceità di procedere all'alienazione», ma soprattutto «grave preoccupazione per questa scelta, viste le conseguenze potenzialmente negative che può avere sull'opinione pubblica. Al di là delle contingenza, essa rischia infatti di incrinare quella fiducia nella pubblica amministrazione che ha portato e porta tanti cittadini ad affidare i propri beni agli enti pubblici nel loro complesso, nell’assoluta certezza che quanto ad essi donato sia non soltanto conservato nel pubblico interesse, ma anche trasmesso alle future generazioni».
Osserva Giambattista Ruffo, tra i sostenitori del comitato «Per l'amata Verona»: «Icom si preoccupa nello specifico del caso palazzo Forti, ma mette in luce anche il grave significato che questo gesto avrebbe e la ricaduta negativa: chi si azzarderebbe più a fare donazioni a Verona visto come vanno a finire? I potenziali mecenati preferiranno lasciare la loro eredità ad altre città, più sensibili. E poi Icom tocca un altro punto essenziale, sul legame tra palazzo Forti e la galleria d'arte moderna di Verona».
Icom invita infatti ad «una più approfondita considerazione delle perdite di valore sul piano simbolico per la città e per l'utenza che l'alienazione stessa e il trasferimento delle sedi museali può comportare» e si impegna ad offrire il proprio contributo a collaborare con il Comune per trovare soluzioni adeguate. Un ammonimento che si affianca a quello giunto al comitato «Per l'amata Verona» dal vicepresidente della commissione europea Federico Mayor, che, in qualità di direttore generale dell'Unesco, si era adoperato per conferire alla nostra città il titolo di città patrimonio dell'umanità.
Mayor afferma: «Mi auguro che vi sia un ripensamento nel rispetto dei principi etici e della cultura della quale Verona è e dovrà essere anche in futuro ambasciatrice nel mondo intero, in nome delle responsabilità che si è assunta accettando, la prestigiosa qualifica». A.G.

mercoledì 3 dicembre 2008

Venezia. Marciana, Archivio e palazzo Ducale «Siamo arrivati al limite»

Venezia. Marciana, Archivio e palazzo Ducale «Siamo arrivati al limite»
Edizione del 2/12/2008, il gazzettino online

Rischi anche per la Marciana La soprintendente Codello: «Siamo arrivati al limite sopportabile»

Nessuno dei monumenti veneziani è stato danneggiato dall'acqua alta eccezionale di ieri, ma la soprintendente Renata Codello lancia l'allarme: «Per la Marciana, l'Archivio di Stato e palazzo Ducale siamo arrivati al limite sopportabile. A preoccupare di più è stato il lento deflusso dell'acqua dopo il massimo».


«Siamo arrivati al limite sopportabile». Così la soprintendente Renata Codello sintetizza i rischi corsi dai monumenti veneziani a causa dell'acqua alta eccezionale di ieri, che ha sfiorato i 160 centimetri e che ha minacciato molto da vicino il patrimonio storico della città.

«Le situazioni più critiche - ha spiegato Codello - hanno riguardato l'Archivio di Stato ai Frari, la Biblioteca Marciana e Palazzo Ducale, dove l'acqua ha lambito l'entrata o il gradino di protezione o, nei casi peggiori, pur entrata, non ha comunque causato danni evidenti. La Marciana è una delle più grandi biblioteche d'Italia e contiene una delle più preziose raccolte di manoscritti greci, latini e orientali del mondo».

A preoccupare la Soprintendente, è anche la frequenza di queste alte maree, che un tempo avevano un ciclo di 20-25 anni.

«Ci ha preoccupato - ha sottolineato - la lentezza con cui la marea calava. Speriamo che non accada anche nelle prossime ore».

Sull'emergenza provocata ieri mattina da una marea che saliva a vista d'occhio sulla spinta di un vento che non voleva calare d'intensità, è anche l'associazione 40 x Venezia. Lungi dal lanciare accuse, come in questi frangenti è facile, i "quarantenni" pongono invece sul piatto una serie di questioni. Prima tra tutte, quella dello sciopero Actv che non è stato bloccato in alcun modo nonostante la previsione, se non di una marea eccezionale, di un sicuro disagio.

«Lo sciopero dei mezzi pubblici - annotano i 40 x - annunciato da Actv è stato messo in atto senza alcun "contrordine" nonostante il sempre maggiore aggravarsi della situazione in centro storico (e nonostante quanto previsto dalla Legge 146/1990). Non si capisce perché nonostante sindaco e prefetto siano investiti dei pieni poteri in sede di pubblica sicurezza (il Prefetto ha, in certi casi, la totale facoltà di precettazione), lo sciopero è proseguito fino alle 13 quando è stato sospeso direttamente dalle forze sindacali. Inutile sottolineare quanto utile sia il potersi spostare con i vaporetti quando una marea superiore ai 120 cm rende per lo più inutilizzabili le passerelle, al limite del galleggiamento. O di come sia importante poter garantire le partenze degli autobus verso la terraferma a chi arriva a Piazzale Roma con i piedi fradici e al limite dell'ipotermia».

I quarantenni, insomma si chiedono come mai il sindaco non abbia sentito la necessità di chiedere tempestivamente al prefetto di intervenire con la precettazione. «Tale domanda richiede una risposta chiara ed inequivocabile, che porti ad un'immediata assunzione di responsabilità».

Basilica di San Marco, cripta allagata tengono le paratie all'Archivio di Stato

Basilica di San Marco, cripta allagata tengono le paratie all'Archivio di Stato
La Nuova di Venezia 02/12/2008

VENEZIA. L’acqua, visto il livello eccezionale raggiunto, è entrata in chiese, musei e biblioteche, ma dopo un primo bilancio è stato segnalato che non ha provocato danni gravi o ingenti. La lezione del 1966 è servita anche per chi gestisce l’inestimabile patrimonio artistico e culturale veneziano così «Non vi è stata nessuna situazione di particolare emergenza» ha dichiarato a fine mattinava Renata Codello, soprintendente ai Beni architettonici. Da anni non accadeva che l’acqua entrasse nella basilica di San Marco, ieri è arrivata sia in cripta sia in chiesa: nella prima attraverso una finestra, nella seconda dalla porta della Nicopeia. «La situazione - ha detto l’avvocato Giorgio Orsoni, primo procuratore di San Marco, che ha compiuto un sopralluogo - non è piacevole, ma certo non è il 66, quando Venezia fu travolta da una marea che raggiunse i 194 centimetri». Alla Biblioteca Marciana, una delle più importanti d’Italia per i suoi manoscritti e libri antichi anche greci, latini e orientali, sono entrati 20 centimetri d’acqua, che è arrivata nella grande sala di lettura. I pochi dipendenti che ieri sono riusciti a raggiungere l’istituto hanno spostato i libri in consultazione dagli scaffali aperti ai tavoli. All’Archivio di Stato le paratie che chiudono la bella sala di studio, un tempo ospitava il refettorio d’estate del convento, hanno tenuto, l’acqua è penetrata a piano terra, ma i dipendenti si sono dati da fare e hanno sollevato anche gli arredi, naturalmente tutti i documenti sono in salvo perchè nei piani superiori. Se la marea fosse salita nella notte non sarebbe andata così bene perchè il ministero dei Beni culturali ha tagliato i fondi e il presidio notturno, utile soprattutto in caso d’incendio, è stato abolito.

MESTRE MUSEI - Che cosa ne pensate? Potete dirlo sul blog

MESTRE MUSEI - Che cosa ne pensate? Potete dirlo sul blog
La Nuova di Venezia 02/12/2008

Ditelo sul blog. È l’invito della Fondazione Pellicani sul progetto del museo del Novecento. Da ieri sera è attivo il sito www.fondazionepellicaniblog.it dove è possibile intervenire sui temi della città contemporanea partendo dal progetto M9. Il blog, on-line da ieri, mira a divenire il punto di riferimento di una community intellettuale che gravita attorno al territorio veneziano, aperto a chiunque voglia contribuire alla produzione di contenuti in forma di riflessioni, commenti e approfondimenti. Il polo culturale M9, di cui il museo è il cuore, è uno dei progetti della nuova città a cui sono dedicati i convegni «Idee per Mestre» della Fondazione Pellicani: dopo «La metropoli del Passante» si parlerà del «Waterfront da Porto Marghera a Tessera» e di «Abitare Mestre: città e società in trasformazione».

martedì 2 dicembre 2008

VERONA - Dagli scavi emergono maschere romane

VERONA - Dagli scavi emergono maschere romane
L'ARENA Martedì 02 Dicembre 2008 CULTURA Pagina 57

Da Via Roma al chiostro di San Silvestro fino a nord di Via Marconi: in epoca romana questa zona doveva essere particolarmente attiva nella produzione di ceramiche. Si sapeva dell’esistenza di una fornace in via Roma, venuta alla luce nel 1960, ma si era ben lontani dall’immaginare che ci fosse un vero e proprio quartiere con impianti artigianali per tali produzioni. Questa la recente scoperta, fatta nel cantiere in Piazza Arditi, di cui parla l’assessore Perbellini e che ci viene illustrata dalla soprintendente ai Beni archeologici di Verona, Giuliana Cavalieri Manasse: «Oltre a vasi, pignatte, salvadanai, sono state ritrovate delle maschere di diversi tipi. Sono più piccole del viso, forse le tenevano in mano. Ma saranno gli studi futuri a rispondere a tante nostre domande e curiosità».
I ritrovamenti, oltre ad essere in buono stato, ci mostrano tecniche differenti di lavorazione: «Sembra che quest’area sia stata abbandonata verso la seconda metà del Trecento quando Gallieno rafforzò le mura municipali e la città si racchiude all’interno di esse».
Si tratta di una zona pluristratificata. Al di sopra, infatti, vi è un’importante necropoli post medioevale di cui si hanno notizie documentate, un cimitero connesso alla Chiesa di San Silvestro, con oltre 750 tombe di gente comune.
«Negli ultimi cantieri sta venendo sempre più alla luce la Verona produttiva nell’antichità», precisa la Soprintendente. «Questa scoperta si lega a quella fatta recentemente nella zona del Seminario, un’area dedita alla lavorazione dei metalli. Sicuramente gli studi futuri ci permetteranno di saperne di più su queste pagine importanti di storia della nostra città».
M.T.F.

domenica 30 novembre 2008

I nostri edifici scolastici? Sono antichi monumenti

I nostri edifici scolastici? Sono antichi monumenti
Domenica 30 Novembre 2008 CRONACA Pagina 16 L'ARENA

PUBBLICA ISTRUZIONE. Dopo la tragedia di Rivoli Torinese ci si interroga sulla sicurezza e ci si «scontra» con la storia

Oggi si studia nelle ex dimore di famiglie nobili oppure dove un tempo erano ospitati sanatori e conventi


L’allarme sicurezza nelle scuole, dopo il drammatico crollo del liceo scientifico di Rivoli, in provincia di Torino, ha messo in primo piano anche la situazione edilizia degli istituti veronesi. Molti di loro sono ospitati in edifici antichi, che in passato erano adibiti ad altro e che sono stati adattati a scuole.
Ciò a dimostrare come nei secoli scorsi gli amministratori avvertissero ben poco la necessità di costruire edifici da destinare alla pubblica istruzione. Infatti molte delle attuali scuole - soprattutto gli istituti storici - si trovano in edifici che un tempo avevano ben altre funzioni: monasteri, caserme, ospedali, palazzi di nobili famiglie. Sono veri e propri monumenti, contengono importanti capolavori d’arte e sono stati teatro di significative pagine di storia.
La scuola nella sede più bella, almeno dall’esterno, è l’istituto tecnico commerciale Pindemonte, in corso Cavour, ospitato in uno dei capolavori dell’architettura privata di Michele Sanmicheli, il maggiore architetto cittadino del rinascimento. Va però detto che Sanmicheli non ha «firmato» le aule, ma soltanto la facciata e gli spazi ad essa collegati. La storia di questo edificio inizia attorno al 1530, quando i fratelli Antonio e Gregorio Bevilacqua affidarono all’architetto cittadino la costruzione del nuovo palazzo ai Santi Apostoli.
L’architetto operò in facciata e sullo spazio a ridosso, inserendovi la galleria al primo piano ed il ridotto al piano terra. Oltrepassato il portone di ingresso, si entra sotto un porticato che immette in un piccolo cortile. La facciata seppure bellissima, però, è incompleta: lo rivela l’ingresso fuori asse. Nella galleria di palazzo Bevilacqua, vi era una collezione archeologica e numismatica di eccezionale valore, che fu smembrata da Napoleone, che portò molte opere a Parigi.
La famiglia dei conti Bevilacqua, ramo santi Apostoli, si estinse nel 1899 con la morte della contessa Felicita. Il palazzo, allora, venne da lei legato al Comune e con opportuni lavori di adattamento nel 1905 venne adibito a scuola. Per far rinascere questi ambienti rinascimentali si dovette attendere un secolo: nella primavera dell’88, venne realizzata la sala sanmicheliana nell’originario ambiente a piano terra del ridotto rinascimentale. Questa sala riunisce oggi quattro busti di imperatori, opere della scuola del Sanmicheli.

venerdì 28 novembre 2008

«Comune, saldi di fine stagione» «No, risanamento» Polato: «Nessuna svendita»

«Comune, saldi di fine stagione» «No, risanamento» Polato: «Nessuna svendita»
28/11/2008 - L'ARENA

Intervento dei consiglieri Pd sulle vendite degli immobili

«Quando si svende tutto è segno di fallimento e tante alienazioni fanno pensare a una autentica liquidazione». A sostenerlo riferendosi alle operazioni di vendita degli immobili comunali dell’amministrazione Tosi, sono i consiglieri del Partito democratico, Stefania Sartori, Ivan Zerbato, Carlo Pozzerle e Fabio Segattini. Il Pd è quindi molto critico sull’utilità di queste vendite, soprattutto quelle legate alle scuole. «Si tratta di edifici scolastici che saranno convertiti in residenziali con un nuovo carico urbanistico che richiederebbe una pianificazione», spiega Sartori.
«Inoltre si tratta di edifici in piccole frazioni che vengono utilizzati anche come centri di incontro da associazioni», aggiunge Pozzerle. «Per la scuola elementare di Magrano per esempio», prosegue Segattini, «era stata proprio An a fare una battaglia perché non fosse chiusa e ora l’amministrazione ne vuole cedere l’edificio?». «Oppure il caso delle Bon Brenzoni», prosegue Sartori, «prima si parla di un progetto di rilancio delle scuole professionali e poi di alienano le sedi?». «Ci pare che questo depauperare sia un fatto grave che richiederebbe un dialogo fattivo con l’opposizione».
Ma da palazzo Barbieri arriva subito la replica da parte dell’assessore al Patrimonio, Daniele Polato: «Nessuna speculazione o svendita di immobili, ma un piano d’interventi economici che andranno a vantaggio di tutta la città e, in particolare, di zone del nostro territorio da tempo dimenticate». E prosegue: «Tutti gli immobili interessati da una possibile alienazione, sono da tempo strutture scolastiche dismesse». Polato spiega: «L’istituto Bon Brenzoni rientra infatti in un piano di razionalizzazione delle strutture professionali in capo al Comune, che prevede per il futuro un diverso utilizzo di questo immobile e, in caso di cessazione dell’attività, la vendita». «Diversamente dal passato», dice Polato, «gli immobili alienati, subiranno preventivamente il cambio di destinazione d’uso, fatto che consentirà di metterli all’asta a un prezzo di mercato che sarà il più vantaggioso possibile per il Comune». Intanto ci si interroga sulla possibilità che venga rispettato il patto di stabilità qualora, entro la fine dell’anno, non entrassero nelle casse comunali i 5 milioni e 100mila euro per la vendita del Bar Borsa e i 3,5 milioni di euro del Prusst. Soldi che però, l’assessore al Patrimonio è sicuro di incassare immediatamente.
G.C.

NEGRAR. Un’area collinare protetta lungo il sentiero E5: la chiedono Wwf e Lessinia Europa

NEGRAR. Un’area collinare protetta lungo il sentiero E5: la chiedono Wwf e Lessinia Europa
28/11/2008 - L'ARENA

Il «corridoio verde» anticiperà il Parco

Presentate le osservazioni al Piano di assetto territoriale «Regole urbanistiche omogenee con quelle di Verona»

Un corridoio naturalistico che unisca il centro storico di Verona con il cuore della Lessinia e i suoi capolavori della natura, come il Ponte di Veja, attraverso l’asse portante del sentiero europeo E5 che dal lago di Costanza arriva al mare Adriatico. Un percorso compreso nei comuni di Verona e Negrar, all’interno di una fascia unica per valenze naturalistiche, paesaggistiche e ambientali.
È questo da anni il sogno dell’associazione «Lessinia Europa», un sogno che può tramutarsi in realtà se questa porzione viene tutelata come si deve tramite i nuovi strumenti urbanistici - in primis il Piano di assetto territoriale - che gli amministratori hanno a disposizione per disegnare il futuro, tutelare l’ambiente e le attività produttive, garantire un’equilibrata qualità della vita.
In questa logica e con questo obiettivo davanti agli occhi, l’associazione ha presentato all’amministrazione di Negrar, insieme alla sezione veronese del Wwf, una serie di osservazioni al Pat che riguardano la porzione orientale del territorio, coerentemente con quanto già più volte segnalato alla maggioranza guidata da Alberto Mion. Un lavoro già portato a termine con il Comune di Verona, che ha recepito in toto, sia da un punto di vista cartografico che normativo, le indicazioni di «Lessinia Europa».
«Nell’ottica di tale progetto abbiamo operato contestualmente nei due Comuni», spiega l’ingegner Emanuele Napolitano, «presentando nella fase di concertazione dei rispettivi Pat alcune osservazioni e proposte progettuali. Il Piano del Comune di Verona ora prevede la realizzazione di un’ampia area protetta a nord della città, circa 4.000 ettari, destinata a divenire asse portante del futuro Parco delle colline. Si tratta di una fascia che dalle Torricelle si estende verso nord. Risulta evidente che questa scelta deve essere considerata dai comuni contermini, in particolare da Negrar, che si pone in diretta continuità».
È per questo che «Lessinia Europa» e Wwf si augurano che l’amministrazione adotti le stesse norme approvate a Verona, apportando nel Pat le modifiche segnalate per gli Ambiti territoriali omogenei di Villa Novare, Montecchio ovest, Monte Comun e Fiamene. Ma come andrebbe protetta, in pratica, questa dorsale occidentale per renderla parte del percorso naturalistico? «Prevedendo precise possibilità di ampliamento dell’esistente e escludendo però qualsiasi altro tipo di concessione a favore di nuove abitazioni, facendo attenzione pure a miglioramenti fondiari e sbancamenti del terreno», spiega il geologo Tomaso Bianchini. «Solo così verrà conservato l’esistente e tutelato il paesaggio nel rispetto della sua vocazione».
«Territori omogenei devono dotarsi di una normativa omogenea», conclude Napolitano, «poiché i confini amministrativi non costituiscono confini paesaggistici e naturalistici. In questo senso la prospettiva, dopo l’approvazione definitiva del Pat del Comune di Verona, è quella di un grande corridoio naturalistico “a bassa velocità” che, come avviene nelle più avanzate regioni d’Europa, garantisca la coesistenza di aree urbanizzate e aree a vocazione naturalistica, dotate di una normativa omogenea su scala sovracomunale».

martedì 25 novembre 2008

VERONA - Bilancio, per fare cassa si vendono anche scuole

VERONA - Bilancio, per fare cassa si vendono anche scuole
Martedì 25 Novembre 2008 CRONACA Pagina 12 L'ARENA

I CONTI DI PALAZZO BARBIERI. Ancora alienazioni in vista all’interno del documento finanziario di previsione 2009 licenziato dalla Giunta e presto in commissione

All’asta le Bon Brenzoni e altri edifici che saranno trasformati in negozi, case, uffici. Piano da 90 milioni

Dopo i palazzi storici, per fare cassa il Comune mette in vendita anche scuole e altri edifici di sua proprietà. E lo fa avendo già fissato per questi ultimi un cambio di destinazione d’uso affinché se ne possano ricavare case, negozi, uffici e anche alberghi. È quanto contenuto nella delibera del bilancio di previsione 2009, licenziata dalla Giunta e da inviare ai consiglieri comunali, che dovranno discuterne prima in commissione bilancio, prima della votazione in Consiglio. Il bilancio si attesta su circa 270 milioni, con spese correnti inferiori di sei milioni circa rispetto al consuntivo 2008.

LA MANOVRA. Il piano di alienazioni, che comprende anche alcuni palazzi storici, è di circa 50 milioni, compresa anche la parte a case e negozi di Palazzo Forti, che arrivano a 90 circa se si comprende anche la vendita della parte a (Galleria d’arte moderna) di Palazzo Forti, circa 45 milioni.

L’articolo 58 della legge finanziaria prevede infatti che in sede di approvazione o votazione del bilancio si possano presentare, come allegati, delibere che prevedono di vendere all’asta o comunque alienare immobili di proprietà comunale, con la variante già effettuata per determinarne il cambio di destinazione d’uso. Votando il bilancio, quindi, si voteranno anche le varianti, rendendo così più veloce il procedimento, a cominciare dall’indire i bandi di gara.

Fra gli edifici scolastici in vendita c’è il palazzo dell’istituto professionale per i servizi turistici Bon Brenzoni, in via Venti Settembre, un edificio di 5.000 metri quadrati che verrebbe messo all’asta con base 15 milioni, con destinazione d’uso residenziale e commerciale. Altri edifici sono in vendita nelle frazioni e località al confine del territorio comunale. Come la scuola di Trezzolano, stabile di 200 metri quadrati, destinato ad appartamenti, con base d’asta 300mila euro. Sempre a Trezzolano il Comune metterebbe in vendita anche la canonica della parrocchia, un edificio di circa 200 metri quadrati, con base d’asta 250mila euro, sempre per uso residenziale. Andrà all’asta anche la vecchia scuola di Magrano, località vicina a Moruri, anche questa destinata a ospitare case. Va in vendita, con base intorno ai 270mila euro, anche la scuola elementare di via Scopella, zona Sacra Famiglia, circa 250 metri quadrati, anche questa con destinazione d’uso residenziale, come quello stabilito per una palazzina in via Scarsellini, a San Zeno, già occupata dall’Ater, con 220 metri quadrati e una base d’asta di 700mila euro.

OPPORTUNITÀ. Insieme ad altre scuole, come quelle alle Basse di San Michele, pure messa in vendita, e a edifici non più utilizzati, rientrano in questa manovra collegata al bilancio di previsione 2009 anche palazzi ed edifici storici che già il Comune aveva annunciato di voler vendere. Come l’ex convento San Domenico, in via Del Pontiere, attuale sede del Comando della polizia municipale — valore 12 milioni e destinato ad appartamenti e negozi — che servirà, sotto forma di permuta, per pagare alla ditta che li eseguirà parte dei lavori per costruire il parcheggio all’ex gasometro. Nel cui complesso infatti sorgerà anche una palazzina destinata a ospitare il nuovo comando dei vigili. La formula della permuta potrebbe anche essere impiegata anche per altri edifici in vendita.
C’è tempo fino al 2 dicembre, intanto, per presentare offerte per acquistare Palazzo Gobetti, in corso Cavour (base 10 milioni), la seconda sede del museo di Storia naturale, già con destinazione d’uso residenziale e commerciale, come la sede principale, palazzo Pompei, all’asta per 20 milioni.

Multa di 500 euro a chi espone immagini pornografiche. A "rischio" anche i calendari con le top model

Il Gazzettino, 25 novembre 2008
CITTADELLA Nuova ordinanza dell’onorevole sindaco leghista. «Sono intervenuto sulla base di segnalazioni dei cittadini»
Il comune senso del pudore secondo Bitonci
Multa di 500 euro a chi espone immagini pornografiche. A "rischio" anche i calendari con le top model
Cittadella

Esporre al pubblico in esercizi commerciali o aree di pubblico transito riviste, giornali, calendari o manifesti aventi contenuto pornografico, oppure che oltrepassino il buon gusto o dileggino la morale o la pubblica decenza, costerà 500 euro quale sanzione amministrativa, oltre alle spese per la rimozione e la segnalazione all'Autorità giudiziaria. Questo quanto prevede l'ordinanza pubblicata ieri all'Albo Pretorio del Comune, dal sindaco ed onorevole Massimo Bitonci. Dai provvedimenti collegati alla sicurezza dei cittadini a quest'ultimo che va a tutelare i minori e a difendere il pudore ed il decoro pubblico.

«Sono state numerose le segnalazioni dei cittadini che si lamentavano che all'interno di alcune edicole ed in altri esercizi commerciali ed in alcuni muri di alcuni edifici nel territorio comunale erano esposte riviste o cartelloni con immagini se non pornografiche, molto indecorose - spiega Bitonci -. Ho avuto modo di verificare anche di persona ritenendo così necessario regolamentare questo modo di agire, nella tutela principale dei giovani».

E così l'ordinanza dispone nei passaggi fondamentali che "all'interno dei punti vendita il materiale a contenuto pornografico, non dovrà essere visibile ed accessibile direttamente al pubblico, e dovrà essere esposto e custodito in un luogo appositamente separato con l'indicazione della scritta "vietato ai minori". L'ordinanza va anche a sanzionare, applicando il decreto ministeriale del 5 agosto del 2008, "l'affissione di manifesti che rappresentano disegni corredati da frasi e parole dal contenuto osceno al limite della pornografia tali da oltrepassare la soglia del buon gusto e dileggiando pesantemente la morale e la pubblica decenza". Di questo comportamento l'ordinanza prevede la punibilità non solo del responsabile se individuato, ma anche "il soggetto committente per l'affissione del manifesto". A vigilare sull'osservanza della nuova ordinanza la polizia locale e le altre forze dell'ordine.

«L'esposizione di materiale pornografico è regolata dalla legge ed è giusto non sia visibile a chiunque», spiega Fabio Orsenigo titolare dell'edicola-tabaccheria Il giglio di Borgo Bassano che d'accordo su questa linea rimane perlesso su altri aspetti: «È difficile definire quando una locandina o un manifesto che nel mio caso sono pubblicitari ed inviati dalle case editrici, possono superare la morale ed il decoro». Orsenigo ed altri colleghi erano all'oscuro dell'ordinanza prima del nostro contatto. Altre perplessità sono relative all'esposizione del materiale in spazi secondari visto che molte edicole hanno superfici molto limitate e sono di fatto impossibilitate a creare un luogo veramente isolato dal resto dei prodotti. Rimane da capire se certi "papiri" di laurea possano oltrepassare il decoro, come pure alcuni calendari di noti mensili, trasmissioni tv o aziende (ad esempio il Pirelli).

«Ci riferiamo a materiale pornografico vietato ai minori, se poi certe foto - aggiunge Bitonci - possono turbare qualcuno che decide di segnalarlo, sarà l'autorità competente a decidere se si tratta di pornografia o meno».

Michelangelo Cecchetto

lunedì 24 novembre 2008

“Venezia tra storia e mito nelle pagine di scrittori italiani e stranieri”.

Editoria Universitaria Venezia

Venerdì 28 novembre 2008, alle ore 16.30 presso la Scuola grande di San Teodoro, campo San Salvador, Venezia, Lucia Nadin, Marco Zanetto, Paolo Mameli e Albert Gardin presenteranno il libro di Lorenzo Somma “Venezia tra storia e mito nelle pagine di scrittori italiani e stranieri”.

La morte del neonato: ora è scontro politico

La morte del neonato: ora è scontro politico

Il Gazzettino del 24 novembre 2008, pag. 2

di M. Ant.

«Non è stata fermata nessuna macchina, non è stata staccata nessuna spina, il bambino è stato ventilato col respiratore automatico fino a quando si è spento tra le braccia della mamma: ma come si può pensare ad un modo più umano di assistere un paziente e la sua famiglia in una situazione così drammatica?»: Ignazio Marino (foto), chirurgo capo della Divisione trapianti e chirurgia del fegato della "Jefferson" di Philadelphia (Usa), senatore del Pd, non ha dubbi. Ma il fronte cattolico insorge, denuncia il preoccupante profilarsi di una «eugenetica soft», parla di «omicidio assistito spacciato per compassionevole» e chiede ispezioni ministeriali negli ospedali. Dopo il caso Englaro, un’altra triste vicenda arriva alla ribalta della cronaca, tra le polemiche che astiosamente sempre accompagnano questi drammi.



Sul caso di Treviso, Marino parte da una premessa: «È una vicenda ovviamente drammatica e dolorosa, ma si tratta di una situazione, così come è stata descritta dal direttore sanitario dell’Ospedale di Treviso, in cui la prognosi è chiaramente infausta è sotto gli occhi di tutti: insistendo con la somministrazione di alcuni farmaci, non si farebbe altro che prolungare l’agonia di una persona. II fatto di “interrompere cure sproporzionate" è un concetto che è presente nella deontologia medica, è presente nella etica di molte religioni, è chiarissimo nel catechismo della Chiesa cattolica, secondo al quale l’interruzione di cure sproporzionate rispetto al risultato è legittima e non significa procurare la morte. Lo si dice con chiarezza: significa riconoscere che non si può evitarla, che si è arrivati alla fine di quanto umanamente si può fare». Il senatore del Pd sottolinea poi la necessità di affrontare questi problemi con più serietà di quanto normalmente non succeda: «E sbagliato paragonare, come tuttavia ho letto, il caso di Treviso alla "eutanasia come in Olanda". Bisogna sapere di che cosa stiamo parlando: l’eutanasia è la somministrazione del veleno per fermare una vita (in Olanda, in alcuni casi è legittimo), mentre a Treviso ci si è astenuti dal somministrare cure che avrebbero prolungato l’agonia ad un bambino che pesava meno di un chilo. Sono cose sostanzialmente diverse».



Quanto ad una legge che regoli la materia, il professor Marino non ha esitazioni a giudicarla «necessaria e assolutamente urgente, oltre che auspicabile. L’importante è che conservi il principio sapientemente introdotto nella nostra Costituzione: gli italiani hanno il diritto alla salute, ma non hanno un dovere alle terapie, cioè sono liberi di poter scegliere a quali terapie sottoporsi e a quali no. Mi pare di una semplicità e di una democrazia assoluti». Ma avverte: «Arriveremo ad una legge di cui essere orgogliosi come Paese solo se, discutendo di argomenti così delicati e seri, sapremo trattarli con umiltà e rigore. Non si usino violenza verbale, le grida all’omicidio di Stato. Sono temi che richiedono interlocutori seri, preparati e sereni».



Sul fronte opposto, però, la reazione è ben di- versa. Luca Volontè (Udc) denuncia: «Inquietanti dati e superficiali strumentalizzazioni sui casi dei bambini di Treviso, portano alla introduzione di una eugenetica soft», Ricordato che «gli infanticidi negli ospedali Carreggi di Firenze e San Camillo di Roma, sono ancora impuniti», Volontè sollecita i giudici a fare il loro lavoro e il ministero del Welfare a fare «le dovute ispezioni». Per Raffaele Calabrò (Pdl), una legge in materia è urgentissima: «Ieri la magistratura, oggi è un singolo professionista ad arrogarsi il diritto di scegliere il confine tra vita e morte. Si esige un intervento del legislatore che dica no ad ogni forma di eutanasia, di omicidio assistito o di suicidio assistito, spacciato per compassionevole».

domenica 23 novembre 2008

BASILICA PALLADIANA: SCOPERTI RESTI ROMANI E 'CARDO'

BASILICA PALLADIANA: SCOPERTI RESTI ROMANI E 'CARDO'
Venezia, 19:18 Repubblica online 21 nov. 2008

Basilica Palladiana: i lavori in corte dei Bissari a Vicenza hanno condotto alla scoperta di resti di due costruzioni romane e di un tratto di strada, un nuovo cardo, del quale non si conosceva l'esistenza. Il sorprendente ritrovamento archeologico e lo stato di avanzamento del cantiere di restauro sono stati illustrati alla presenza dell'assessore comunale ai lavori pubblici Ennio Tosetto, del vicepresidente della Fondazione Cariverona, che finanzia interamente i lavori, Ambrogio Dalla Rovere, e del nuovo Soprintendente ai beni archeologici del Veneto Umberto Spigo. L'esito della campagna di scavi archeologici e' stato illustrato dalla dottoressa Marisa Rigoni, della Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto. La campagna di scavi che ha portato alla luce i resti di epoca romana era partita alcuni mesi fa, quando si e' dato inizio ai lavori previsti in corte dei Bissari: nel ventre della corte, infatti, andranno alloggiati i terminali e le centrali impiantistiche che lavoreranno al servizio del salone, delle botteghe e degli ambienti dei piani ammezzati. Era quindi necessario procedere alla cauta rimozione delle strutture in calcestruzzo realizzate a partire dagli anni '50 del Novecento e che formano la struttura che oggi occupa la corte dei Bissari. In quell'occasione alcuni sondaggi effettuati per la verifica delle fondazioni della 'domus comestabilis' hanno messo in evidenza una situazione del tutto imprevista. Si e' constatato infatti che a ridosso della 'domus' una fascia di terreno della larghezza di quattro metri circa per una ventina di metri di lunghezza era stata risparmiata dall'intervento che, dopo la costruzione dell'attuale palazzo degli uffici negli anni '50, aveva visto la realizzazione, nella corte dei Bissari, di un ampio spazio interrato su contra' Catena.

Vicenza romana svela due case e una strada

Vicenza romana svela due case e una strada
Nicoletta Martelletto
Sabato 22 Novembre 2008 IL GIORNALE DI VICENZA

SCAVI AD EST DELLA BASILICA. A lato della Domus comestabilis, il cantiere ritrova un terreno di sorprese urbanistiche

Sorprendente ritrovamento che entusiasma gli studiosi e che diventerà un sito visitabile in corte dei Bissari

Due case romane, un marciapiede e una strada. Non se ne conosceva l’esistenza fino a quando, lavorando in corte dei Bissari sul lato est della Basilica Palladiana, non è venuto alla luce un tratto di terreno risparmiato dalla costruzione del Palazzo degli uffici a metà anni ’50.
Il cantiere di restauro della Basilica e degli annessi aveva aperto in maggio un fronte sulla Domus comestabilis, per verificare la situazione delle fondamenta. I sondaggi hanno rivelato un “ospite”: un’area di 20 metri per 4 che le ruspe per la realizzazione dell’interrato su contrà Catena non avevano distrutto. Lo scavo, che doveva servire a tirar su i sottoservizi esistenti ed ospitare i nuovi impianti a servizio della Basilica e dei piani ammezzati, è diventato archeologico: è emerso così il collegamento tra piazza dei Signori e piazza delle Erbe, ma soprattutto sotto lo strato medievale è stato individuato un cardo, ovvero una strada romana sull’asse nord-sud di cui non si sapeva nulla.
Si tratta di pietre e impasti che parlano soprattutto agli archeologi più che al grande pubblico: ma guidati dagli esperti si riesce ad intuire l’importanza della scoperta. Così ieri mattina l’assessore ai lavori pubblici Ennio Tosetto, con Ambrogio Dalla Rovere vicepresidente della Fondazione Cariverona, il nuovo soprintendente ai beni archeologici del Veneto Umberto Spigo e Marisa Rigoni, nume tutelare della stessa Soprintendenza, hanno svelato l’arcano a scavi ormai ultimati da parte della Sap di Mantova. Per tutta l’estate ha sorvegliato i lavori Mariolina Gamba della Soprintendenza, per la verità con la massima collaborazione della Sacaim che esegue l’intervento complessivo sulla Basilica (finirà nel dicembre 2009), del direttore lavori Eugenio Vassallo e dal suo braccio destro, l’architetto Andrea Donadello.
Il risultato: un fossato ora a cielo aperto in corte dei Bissari, dove la dott.Rigoni individua la facciata lunga 9.50 metri di una casa romana cui si addossa una seconda abitazione probabilmente risalente all III- IV secolo dopo Cristo; la pavimentazione è in cocciopesto, probabilmente fondo per i mosaici sovrastanti di cui restano pochissime tracce a tessere nere. Più coinvolgente per gli studiosi è il tracciato evidente di una strada che corre davanti alla doppia casa: sono evidenti tre lastroni di trachite del marciapiede che fiancheggiava la strada. «Davvero non speravamo di trovare molto, invece siamo stato molto fortunati» sottolinea la Soprintendenza. Anche perchè i mecenati (Cariverona interviene con quasi 15 milioni di euro sui 22 totali) hanno finanziato l’intervento e le conseguenze: le tracce non saranno coperte ma resteranno visibili e si tratterà di un sito archeologico a tutti gli effetti. Probabilmente si deciderà un accesso dall’interrato comunale di contrà Catena, bucando il cemento in bella vista che divide le due aree.
«Dopo l’individuazione del foro romano sotto palazzo Trissino, questo è un altro passo avanti per la comprensione urbanistica della città romana - sottolinea Rigoni - Gli scavi ci hanno inoltre restituito conferme sull’abitato preromano degli antichi Veneti con piani di argilla battuta, già rinvenuti altro a Vicenza». Negli scavi ritrovati anche pezzi di ceramica in fase di datazione.

giovedì 20 novembre 2008

Fontego dei Tedeschi, dibattito aperto «I Benetton non ne snaturino la storia»

Fontego dei Tedeschi, dibattito aperto «I Benetton non ne snaturino la storia»
gi.co.
La Nuova di Venezia 19/11/2008

«Con le buone o con le cattive, il Fontego dei Tedeschi dovrà essere tutelato, per non far diventare un patrimonio pubblico oggi diventato di proprietà privata in un luogo che pensa a meri fini economici»: parola di Renata Codello, sovrintendente ai Beni culturali, intervenuta ieri al dibattito sul futuro del Fontego dei Tedeschi organizzata dall’associazione «40xVenezia» all’Ateneo Veneto. Dopo la notizia dell’acquisto del Fontego dei Tedeschi da parte dei Benetton, la futura destinazione d’uso del palazzo a due passi da Rialto preoccupa molto i veneziani, che hanno paura di ritrovarsi davanti a un anonimo megastore. Il professor Reinhold Mueller di Ca’ Foscari rimane ottimista: «Visto quello che hanno fatto i Benetton a Treviso con alcuni luoghi storici, ovvero mantenere luoghi aperti al pubblico e per lo sviluppo culturale e non per farli diventare un luogo chiuso per uso privatistico, sono convinto che questo accadrà anche a Venezia». L’avvocato e consigliere Comunale del Pd Jacopo Molina, ha però ricordato: «Quando il nuovo Piano di assetto territoriale verrà approvato, i vincoli sul Fontego potrebbero cadere e quindi Benetton potrà fare quello che vuole». Renata Codello ribatte con un invito: «Il palazzo è sotto tutela, quindi a livello legislativo bisognerà tenerne conto anche perché la normativa di tutela è sovraordinata al Pat. Invito comunque la cittadinanza a far sentire la propria voce su questo argomento». Il professor Pierluigi Sacco, docente Iuav, invita a ragionare sulle possibilità d’uso del Fontego: «I tedeschi di oggi, ovvero coloro che fanno girare idee ed economia, sono i giovani e bisognerebbe iniziare un ragionamento d’investimento su di loro. Venezia ha la forte necessità di reinventare la città. L’utilizzo del fontego potrebbe proprio diventare la fabbrica delle idee per il futuro di Venezia».

Venezia Crepa in mostra: ai Magazzini del Sale foto dibattiti e opere d'arte

Venezia Crepa in mostra: ai Magazzini del Sale foto dibattiti e opere d'arte
a.v.
La Nuova di Venezia 19/11/2008

«Venezia Crepa». E la città storica è in pericolo, assediata da Mose, grandi navi, cementificazione del territorio e nuove minacce all’orizzonte come la sublagunare. Tornano all’attacco i comitati Ambiente Venezia e Sale Docks. Stavolta hanno organizzato una grande mostra multimediale, dibattiti ed esposizioni d’arte per denunciare quelli che definiscono «i disastri che la città di Venezia, i suoi abitanti e la sua laguna patiscono quotidianamente. L’inaugurazione della rassegna è annunciata per domani pomeriggio alle 16 ai Magazzini del Sale. La mostra resterà aperta venerdì, giorno della Salute, per tutta la giornata e fino al 30 novembre dalle 16 alle 19. E il 29 novembre i ragazzi del Sale hanno organizzato un dibattito sul futuro di Venezia, e in particolare sui lavori del Mose, le Grandi navi in bacino San Marco, la «distruzione della laguna». Partecipano il docente Iuav Stefano Boato, il dirigente del Comune oggi consulente (a titolo gratuito) dell’amministrazione sulla Legge Speciale, Armando Danella, il direttore del Museo di Storia Naturale e naturalista Lorenzo Bonometto, l’ingegnere Antonio Rusconi, già dirigente della Difesa del Suolo e direttore dell’Idrografico. Alle pareti dei Magazzini opere d’arte di Claudio Grassetti e Fabio Burigana e litografie di Luciano Dall’Acqua, lettura inaugurale di Aldo Vianello.

lunedì 17 novembre 2008

No alla vendita di palazzo Forti Raccolta firme a Sabbioneta

No alla vendita di palazzo Forti Raccolta firme a Sabbioneta
r.m.
La Gazzetta di Mantova 16/11/2008

SABBIONETA. La Pro Loco promuove una raccolta di firme da inviare al sindaco di Verona aderendo all’iniziativa dell’Associazione ‘Per l’Amata Verona’ per impedire la vendita di Palazzo Forti di Verona. «Nel 1937 - spiega Alberto Sarzi Madidini, vice presidente - lo studioso e benefattore ebreo Achille Forti, con il suo testamento, donò il palazzo di famiglia al Comune di Verona a condizione che rimanesse a tempo indeterminato sede della Galleria d’Arte Moderna. L’ attuale amministrazione veronese non ha ritenuto doveroso rispettare tale vincolo e ha approvato il cambio di destinazione d’uso da pubblica a privata per consentire la vendita di Palazzo Forti ai privati. Numerose associazioni e i discendenti della famiglia Forti hanno deciso di opporsi alla delibera comunale di vendita dell’immobile: si è costituito legalmente un comitato per contrastare la vendita del palazzo costruito nel XIII secolo. Numerose ed importanti sono già state le adesioni alla petizione: in circa venti giorni sono state raccolte oltre 8000 firme tra cui quelle di personaggi prestigiosi come il premio Nobel Rita Levi Montalcini, Vittorio Sgarbi, Beppe Grillo, Danilo Mainardi, Salvatore Settis.

venerdì 14 novembre 2008

Valle Ossi: il Comune vuole il cemento

Valle Ossi: il Comune vuole il cemento
Marta Camerotto
la Nuova di Venezia 12/11/2008

ERACLEA. Tiro alla fune tra Provincia e Comune sulla salvaguardia di Valle Ossi. A strattonare contro la sua cementificazione è la Provincia che nel Piano territoriale di coordinamento pone l’area sotto vincolo paesaggistico. Ma a tirare con forza dall’altra parte è la giunta Teso che proprio in quel sito di natura incontaminata sogna un importante polo turistico. «Si ritiene che tale area - si legge nelle osservazioni del comune inviate alla Provincia - non abbia caratteristiche così rilevanti e differenti da altre aree nel territorio comunale. La peculiarità di tale ambito è forse dettata dalla vicinanza con la foce del Piave e con la laguna del Mort, che già sono tutelate come area Sic e da un apposito vincolo paesaggistico che si ritiene sufficiente a tutelare le emergenze ambientali e paesaggistiche dell’area». Oggi Valle Ossi si presenta come una distesa di campi e pineta alle spalle della Laguna del Mort che toglie il fiato per la sua bellezza e perché è uno dei pochi siti naturalistici incontaminati dal cemento. Ma la questione del suo utilizzo è una storia vecchia che ha origine ancora negli anni’70 con le prime proposte di edificazione, al centro poi di numerosi tavoli politici che la portarono ad una trasformazione della sua destinazione d’uso da terreno agricolo a edificabile. Ed oggi ritorna di nuovo attuale perché la Provincia sull’area vuole il vincolo di salvaguardia. «Queste sono decisioni che spettano al comune - dice Graziano Teso, sindaco di Eraclea - una Provincia che se ne esce alla vigilia delle elezioni con un piano territoriale mettendo il vincolo a Valle Ossi significa che non ha capito nulla di tutto quello che è stato fatto dal 2002 e delle scelte approvate fino ad ora su quell’area». Dalla parte della Provincia c’è anche l’opposizione. «E’ un ecosistema - ribatte Stefano Boso, capogruppo di Impegno per Eraclea-verso il Pdl - che va tutelato e preservato dalla cementificazione. Non si può pensare di salvaguardare la laguna del Mort e non Valle Ossi che è a fianco. E’ una decisione che ha solo scopi speculativi e che porterà un danno turistico enorme: ancora cemento in una zona verde unica e invidiata da tutti».

domenica 9 novembre 2008

Scrittore denuncia il vescovo Soravito

Il Resto del Carlino, 8 novembre 2008
IL CASO
Scrittore denuncia il vescovo Soravito

Il vescovo ha definito l’esistenza di Gesù "storicamente provata", ma un ex seminarista lo ha querelato per "abuso di credulità popolare". Lo scrittore Luigi Cascioli è noto per le sue posizioni contro la Chiesa cattolica

Rovigo, 8 novembre 2008 - La ‘crociata’ contro la religione cattolica messa in piedi dallo scrittore Luigi Cascioli arriva anche a Rovigo e a finire nel mirino, questa volta, è addirittura il vescovo Lucio Soravito De Franceschi che è stato denunciato all’autorità giudiziaria dallo stesso scrittore per sostituzione di persona e abuso della credulità popolare.
Niente di ‘personale’, ovviamente, perché Cascioli, a quanto pare, non ha nemmeno mai visto il vescovo. Sotto i suoi occhi, però, sarebbe finito uno dei suoi messaggio pastorale (quello del 23 dicembre 2005) in cui monsignor Soravito spiegava che "Dio (Gesù) nascendo in un luogo ben definito, Betlemme, e in un preciso momento storico, non era un mito, nè una favola, ma «una realtà che appartiene alla nostra storia".

Parole non condivise da Cascioli che, invece, identifica Gesù con un’altra persona vissuta in quel tempo profilando quindi il reato di sostituzione di persona.
"Ai sensi dell’articolo 661 del codice penale — spiega inoltre Cascioli — si ha abuso della credulità popolare quando taluno trae in inganno una moltitudine di persone. Nel caso di specie, i ministri del culto della chiesa cattolica, come monsignor Lucio Soravito de Franceschi, commettendo dei falsi storici (quindi presentando come veri e realmente accaduti dei fatti inventati funzionali alla dottrina religiosa) ingannano tutte le persone che vengono a contatto con l’insegnamento di tale religione inducendoli a credere nella stessa sulla base non di argomentazioni puramente teologiche (del tutto lecite e ammissibili), ma sulla base di un’ingannevole rappresentazione dei fatti. Il reato è contravvenzionale, per cui è sufficiente l’elemento psicologico della colpa, che è certamente riscontrabile in tutti i ministri del culto cattolico (quindi anche di monsignor Lucio Soravito de Franceschi). Per quanto attiene al delitto di sostituzione di persona — conclude Cascioli — esso si riscontra allorquando un soggetto, per trarre vantaggio, induce altri in errore attribuendo, a se o ad altri, un falso nome".

Insomma, ragioni sufficienti, secondo Cascioli, per denunciare il vescovo rodigino. Ragioni che, forse, non partono dal presupposto che la fede è un dono e che nessuno è obbligato a credere. Tenendo presente che, al mondo, sono centinaia di milioni le persone che non considerano i vangeli dei «falsi storici» come Cascioli e con argomentazioni non certo campate in aria. Ad ogni modo, se si considerano tutte le religioni che esistono al mondo, e le possibili querele che potrebbero partire, tutte le procure del mondo finirebbero sommerse di carte in pochi istanti.

di m.s.

venerdì 7 novembre 2008

Denunciato il vescovo di Rovigo

SECONDA QUERELA CONTRO LA CHIESA CATTOLICA PER ABUSO DELLA CREDULITÀ POPOLARE

Gesù Cristo non è un personaggio esistito.

Viterbo - Rovigo - Dopo la prima denuncia contro la Chiesa cattolica nella persona del parroco di Bagnoregio, don Enrico Righi, per abuso della credulità popolare e sostituzione di persona, terminata in seguito all’archiviazione del Tribunale di Viterbo e alla respinta del Tribunale di Strasburgo per vizio di forma, Luigi Cascioli ne ha presentata una seconda, sempre per gli stessi reati, contro Mons. Lucio Soravito de Franceschi, vescovo di Rovigo.

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA

PRESSO IL TRIBUNALE DI ROVIGO


Il sottoscritto Luigi Cascioli, residente in Roccalvecce (Viterbo) via delle Province 45/B


ESPONE QUANTO SEGUE

Il sottoscritto, dopo lunghi e approfonditi studi consistenti anche (e non solo) in un’esegesi testuale del Vecchio e Nuovo Testamento, è arrivato alla conclusione che molti dei fatti presentati come veri e storici dalle “Sacre Scritture” sono in realtà dei falsi, primo fra tutti la storicizzazione della figura di Gesù il Cristo, per buona parte mutuata sulla figura di Giovanni di Gamala, figlio di Giuda il Galileo, discendente della stirpe degli Asmonei.

Le motivazioni che hanno condotto il sottoscritto a tale conclusione sono dettagliatamente esposte nel libro che si allega al presente esposto, del quale costituisce parte integrante e sostanziale. Con il seguente esposto non si vuole contestare la libertà dei cristiani di professare la propria fede, sancita dall'art. 19 della Costituzione, ma si vuole stigmatizzare l’abuso che la Chiesa Cattolica commette avvalendosi del proprio prestigio per inculcare come fatti reali e storici quelle che non sono altro che invenzioni.

Un chiaro esempio di tale abuso è stato commesso da Mons. Lucio Soravito de Franceschi, vescovo della diocesi di Rovigo, allorché ha sostenuto in un messaggio pastorale del 23 dicembre 2005 la figura storica di Gesù affermando falsamente: «Dio (Gesù) nascendo in un luogo ben definito, Betlemme, e in un preciso momento storico: al tempo di Augusto, sotto il governatore della Siria Quirinio, durante il censimento: Gesù non è mito, non è una favola, ma una realtà che appartiene alla nostra storia».

Che la figura di Gesù sia stata costruita per intero su quella di certo Giovanni di Gamala, figlio di Giuda detto il Galileo, risulta in maniera inconfutabile da una si grande quantità di prove da togliere ogni dubbio sulle falsificazioni operate dai redattori dei vangeli. Basterebbe soltanto quella riguardante la trasformazione dell'appellativo Nazireo, con cui veniva chiamato Giovanni di Gamala, in quella di Nazareno data a Gesù, quale abitante di Nazaret, per dimostrare nella maniera più assoluta la sostituzione di Persona.

Da un punto di vista penalistico, tali falsificazioni storiche possono integrare le fattispecie di due reati: l’abuso della credulità popolare e la sostituzione di persona (nel caso di Gesù Cristo).

Ai sensi dell’art. 661 C.P., si ha abuso della credulità popolare quando taluno, per mezzo d’imposture, trae in inganno una moltitudine di persone. Nel caso di specie, i ministri del culto della Chiesa Cattolica, come Mons. Lucio Soravito de Franceschi, commettendo dei falsi storici (quindi presentando come veri e realmente accaduti dei fatti inventati funzionali alla dottrina religiosa) ingannano tutte le persone che vengono a contatto con l’insegnamento di tale religione inducendoli a credere nella stessa sulla base non di argomentazioni puramente teologiche (del tutto lecite e ammissibili), ma sulla base di un’ingannevole rappresentazione dei fatti. Il reato è contravvenzionale, per cui è sufficiente l’elemento psicologico della colpa, che è certamente riscontrabile in tutti i ministri del culto cattolico (quindi anche di Mons. Lucio Soravito de Franceschi), atteso che non è possibile che persone istruite e che, per vocazione e mestiere, studiano continuamente la Bibbia e i Vangeli non si siano accorte delle numerose e ripetute falsità (anche grossolane) contenute in tali scritti. Per quanto attiene al delitto di sostituzione di persona, esso si riscontra allorquando un soggetto, per trarre vantaggio, induce altri in errore attribuendo, a se o ad altri, un falso nome.

Nel caso in esame, il libro “La Favola di Cristo”, (cui rimando per più esaurienti spiegazioni) dimostra che Gesù Cristo non è mai esistito e che sotto tale nome si cela tal Giovanni di Gamala.

Quindi Mons. Lucio Soravito de Franceschi che fa proselitismo, come tutti i ministri della Chiesa, per trarre vantaggio dal numero dei fedeli che tanto è maggiore e tanto più grande sarà l’introito economico derivante dalle sue offerte, tra cui quella dell’8 per mille abbinata alla dichiarazione dei redditi, inducendo in errore, sulla base di tali falsità, coloro i quali ricevono il messaggio, commette il reato previsto e punito dall'articolo 494 del Codice Penale.

Tra l’altro, per integrare il reato in parola, “non è necessario che il fine propostosi dall’agente sia di per se stesso illecito o di natura patrimoniale, ben potendo essere lecito e non patrimoniale” (Cass.pen. n. 10805/98 -- n 3645/99 -- n 230694/04 -- 1910/05).

L’elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico che sussiste in tutti questi soggetti che, pur essendo consapevoli di tale falsità, non si fanno scrupolo di continuare a propalare come fa Mons. Lucio Soravito de Franceschi.

La responsabilità del Sommo Pontefice può essere solo morale, attesa la sua immunità ai sensi dell'articolo 3 -- I comma C.P., mentre per gli altri ministri del culto cattolico (come nel caso specifico Mons. Lucio Soravito de Franceschi) è da prospettarsi di natura penale.

La continua presentazione di fatti falsi gabellati come veri lede anche la tranquillità morale e la serenità dell’esponente, con conseguente danno di emotional distress, di cui si chiederà il risarcimento del danno nelle opportune sedi, mediante tempestiva costituzione di parte civile, che si riserva fin d’ora.

Il sottoscritto rimanendo a disposizione dell’autorità giudiziaria per fornire ogni chiarimento, si riserva d’integrare quanto esposto e chiede espressamente di essere sentito sui fatti di cui sopra.

Tanto premesso e considerato, il sottoscritto Luigi Cascioli presenta formale



DENUNCIA-QUERELA



nei confronti di Mons. Lucio Soravito de Franceschi, residente presso la diocesi in via Sichirollo 18 45100 Rovigo, per i reati p.e p. degli articoli 494 e 661 C.P., nonché per ogni altro reato che la Signoria Vostra Illustrissima vorrà ravvisare nel comportamento sopra descritto.

Con riserva di costituzione di parte civile nei modi e nei tempi stabiliti dalla legge, chiedo, ex art. 408 C.P.P. di essere informato in caso di archiviazione della notizia criminis.

Si allega alla presente denuncia il libro “La Favola di Cristo” e la copia della lettera pastorale a miglior riprova di quanto esposto.

Roccalvecce 08/11/2008

Con osservanza.

Luigi Cascioli



Luigi Cascioli, autore dei libri denuncia:
“La favola di Cristo - Inconfutabile dimostrazione della non esistenza di Gesù”
“La Morte di Cristo - Cristiani e Cristicoli”


Riferimenti:
www.luigicascioli.it

http://nochiesa.blogspot.com

Interviste, conferenze, convegni e altro tel. 3393188116

giovedì 6 novembre 2008

Da salvaguardare c'è anche il patrimonio artistico

Da salvaguardare c'è anche il patrimonio artistico
La Tribuna di Treviso 05/11/2008

Dalla progressiva conoscenza e dalla consapevolezza di dover salvaguardare il patrimonio estremamente vasto che è riconducibile a vario titolo alle vicende della Prima Guerra Mondiale, vede oggi la luce l’opera La Memoria della Grande Guerra: il patrimonio storico-artistico tra tutela e valorizzazione. Il volume, a cura di Anna Maria Spiazzi, Chiara Rigoni e Monica Pregnolato con prefazione di Mario Isnenghi per i tipi di Grafiche Antiga e Terraferma, è stato offerto ieri, con un gesto che intende rivestire anche un forte valore simbolico, in primis al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della sua visita a Vittorio Veneto. Al libro - promosso dalla Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, in collaborazione con Regione del Veneto, Provincia di Treviso, Comune di Vittorio Veneto - hanno contribuito non solo funzionari storici dell’arte ma anche altri studiosi dal mondo dell’Università e dei Musei (sono 24 i saggi raccolti), affrontando il tema da una prospettiva assai ampia e stimolante sotto il profilo conoscitivo, ricca di angolature certamente nuove per un pubblico di addetti ai lavori e non. La Memoria della Grande Guerra è un’opera a più voci, corale, che ha cercato di dar corso ad un approccio in larga misura inedito alla vasta problematica storica inerente la Grande Guerra, per le mille implicazioni storico-culturali, ancora così strettamente connesse alla nostra contemporaneità. Nel volume si va da una panoramica sulle collezioni museali della nostra regione ad una disamina di quella che fu nei giorni del conflitto una strenua battaglia per la tutela del patrimonio. Tra i molti argomenti affrontati da La Memoria della Grande Guerra sono da citare quelli sui «caduti illustri» del conflitto, quali gli affreschi settecenteschi di Tiepolo-Zugno di Villa Soderini di Nervesa della Battaglia ma anche i gessi di Antonio Canova a Possagno amorevolmente custoditi e documentati fotograficamente anche nei giorni della Guerra; la celebrazione di regime con la Mostra della Vittoria a Padova del 1938 progettata da Gio Ponti e due casi eclatanti di complessi che necessitano di urgente intervento conservativo: la decorazione dell’Ossario del Monte Pasubio e il Monumento ai Caduti di Treviso (esaminato da Monica Pregnolato e Vasco Fassina).

lunedì 3 novembre 2008

rassegna: Libri per pensare

Libreria Al Capitello di Federica Pozzi
Cannaregio, 3762/63 - Cap.30121 Venezia - Tel&Fax 041 5222314

L’Associazione Venetia Ex Libris ONLUS e la libreria Al Capitello di Federica Pozzi organizzano a partire da sabato 15 novembre una rassegna dedicata ad autori veneti contemporanei.

Il tema, Libri per pensare, nasce dall’intenzione comune ad Associazione e Libreria di riaffermare l’importanza della lettura e della sua più ampia diffusione e verrà affrontato partendo dal concetto di piacere del leggere facendo dialogare attivamente il pubblico con gli scrittori invitati sulla base della loro più recente produzione letteraria.

Sede degli incontri è la storica libreria Al Capitello in calle della Racchetta a Cannaregio n.3462/63 che, per l’intera durata della rassegna, ospiterà le opere dei fotografi veneziani: Massimo Stefanutti, dal 5 al 21 novembre, con “Second life di un’orata”, Valentina Stocco, dal 22 novembre al 5 dicembre, “ Insolito silenzio” e Mario Mazziol, dal 6 al 22 dicembre, con “Parochia S. Isepo”.



Calendario degli incontri:

1- sabato 15 novembre ore 18.00, Guido Ercole autore di Duri i banchi! e Le galee mediterranee, GMT edizioni;

2- sabato 22 novembre ore 18.00, Guido Fuga e Lele Vianello e il loro Marco Polo, Linea d’Acqua editore;

3- sabato 6 dicembre ore 18.00, Alessandro Cabianca con Clitennestra e la tragedia degli Atridi, Editoria Universitaria;

4- sabato 20 dicembre ore 18,00, Federico Moro autore di Ercole e il Leone 1482 Ferrara e Venezia duello sul Po, Studio Lt2 Edizioni.

PALLADIO: degrado del paesaggio e restauro delle ville

PALLADIO: degrado del paesaggio e restauro delle ville
Sergio Frigo
il gazzettino online Edizione del 2/11

«Dopo 50 anni le ville, in quanto architettura, sono in ...


«Dopo 50 anni le ville, in quanto architettura, sono in buona parte restaurate. Nel contempo però è mutato radicalmente il contesto, si è trasformato in profondità il paesaggio, che ora è assediato da ogni parte dalle costruzioni che invadono anche il territorio agrario e le prospettive delle ville».


Questa dichiarazione, resa al Gazzettino dall'architetto Franco Posocco l'11 maggio del 2001, in occasione di un convegno della Fondazione Mazzotti, potrebbe sintetizzare l'inchiesta pubblicata sull'ultimo numero del Giornale dell'Arte, firmata da Edek Osser e intitolata "Così l'Italia ha massacrato Palladio". Un vero e proprio catalogo degli orrori, un lungo elenco di monumenti assediati dalle strade, dalle case, dai capannoni, un imbarazzante biglietto da visita diffuso (anche su "The Art Newspaper") proprio in concomitanza con le celebrazioni per il cinquecentenario palladiano.
L'articolo, che cita alcuni noti studiosi e vari addetti ai lavori, da Lionello Puppi a Francesco Vallerani, da Giulio Muratori a Nadia Qualarsa, da Marco Magnifico a Margherita Verlato, racconta anche dei recuperi andati a buon fine, dell'impegno dell'Istituto Regionale delle Ville Venete, degli interventi del Fai e di altri enti morali anche stranieri, come il Landmark Trust che ha come presidente onorario il principe Carlo. Ma la sostanza dell'inchiesta è la dura denuncia per le duemila ville (su 4.270) non vincolate e spesso in stato di abbandono, per le fabbriche che assediano la splendida Riviera del Brenta, per Villa Chiericati, a Vancimuglio, «circondata da capannoni», per Villa Onesti Magrin a Grisignano strozzata dalle strade. Una denuncia che diventa vero e proprio allarme per la prospettiva di raddoppio del Dal Molin, a poche centinaia di metri dai monumenti palladiani a Vicenza, per la realizzazione della Valdastico sud, "cavallo di Troia per nuove urbanizzazioni" (Vallerani), per il proliferare delle cave (603 attive, 701 dismesse ma ancora aperte, solo quelle censite) che feriscono a fondo il paesaggio regionale.

Un'istantanea che Giancarlo Galan, che è anche assessore alla tutela del paesaggio, bolla come «false notizie, figlie di una assoluta povertà ideologica». «Innanzitutto il tracciato della nuova autostrada - precisa Galan - invece che accanto a villa Saraceno di Agugliaro sarà realizzato al di sotto del campestio, proprio per non creare alcun impatto paesaggistico». L'ampliamento del Dal Molin poi, aggiunge Galan «è stato giudicato "assolutamente ininfluente rispetto a qualunque architettura palladiana" dal ministero dei Beni culturali, anche quando questo era diretto da Rutelli».

Il Veneto degli ultimi 30-40 anni del grande sviluppo industriale, ricorda Galan, «ha di sicuro consumato parti importanti del cosiddetto "paesaggio culturale", ma quanto accaduto non è niente di più e niente di peggio di ciò che si vede attorno a Prato e a Firenze, o ai piedi della Rocca di Orvieto o dalle parti di Perugia». C'è una differenza, però: «Qui nel Veneto il paesaggio culturale trova punte significative estese e assai tutelate: vaste aree dell'alta trevigiana o delle Dolomiti o del Delta del Po, per non parlare di ciò che è possibile ammirare ancora in Lessinia, negli Euganei e nei Berici. In ogni caso il Veneto è l'unica regione italiana che fin dal 1979 ha creato un Istituto che ha come finalità la tutela, la salvaguardia e il restauro dell'immenso patrimonio costituito dalle ville venete. L'Istituto ha concesso mutui ai proprietari delle ville per circa 130 milioni di euro. Chi in Italia ha fatto altrettanto?»

A dare man forte a Galan è arrivato in serata un comunicato del ministro Bondi, che ha ricordato di aver firmato a Vicenza, insieme al presidente della Regione e proprio in occasione dell'apertura della mostra del Palladio, un protocollo di intesa per l'applicazione rigorosa del codice Urbani: «la volontà mia e del presidente Galan per la difesa del paesaggio intorno alle ville del Palladio è totale - ha assicurato il ministro - Non sono mancate e non mancheranno, perciò, tutte le azioni necessarie a tale fine».

Gli studiosi però sono meno ottimisti. Il professor Giuseppe Pavanello definisce il paesaggio veneto come «il bel volto di una ragazza deturpato dai brufoli», e aggiunge all'elenco del Giornale dell'Arte altre brutture: come il condominio davanti alla stazione di Feltre, l'Ospedale di Castelfranco a 10 metri dal Parco Revedin Bolasco, la zona industriale a ridosso di Asolo. «Apprezzo l'impegno di Galan - aggiunge Pavanello - ma mi pare che i buoi ormai siano scappati».

Altrettanto severo il giudizio di Domenico Luciano, direttore della Fondazione Benetton: «Il disastro realizzato nel Veneto non è dissimile da quello di altre zone d'Italia: quello che è grave è la dimensione e la velocità con cui si è realizzato, devastando un tessuto fatto non solo di 4mila ville, ma di 2500 piccoli borghi, di centinaia di insediamenti storici. Per decenni chiunque ha potuto fare qualsiasi cosa, ovunque volesse, perchè tutti ci guadagnavano: i contadini che vendevano, i costruttori che costruivano, i sindaci che incameravano oneri di urbanizzazione. Ma in questo modo dal 1951 al 2001 il territorio dedicato all'agricoltura è sceso da oltre il 90 a meno del 60\% del totale: ci siamo persi 2300 kmq, come un'intera provincia».

domenica 2 novembre 2008

Auto e fabbriche, così Palladio muore

Auto e fabbriche, così Palladio muore
Panza, Pierluigi
Dal Corriere della Sera, 1° novembre 2008

I vincoli sui soli monumenti non riescono a tutelare un patrimonio inserito in un ambiente urbanisticamente degradato: il paesaggio di Palladio è perduto.

«Così l'Italia ha massacrato Palladio» è il titolo senza sconti dell'inchiesta realizzata da Edek Osser per «The Art Newspaper» e per «Il giornale dell'Arte» in occasione delle celebrazioni in corso per i 500 anni dalla nascita dell'architetto più global della storia. La tesi dell'inchiesta è che il contesto in cui sorgono parte delle 4.270 ville sulle quali ha competenza l'Istituto regionale delle Ville venete, delle quali una trentina sono state progettate da Palladio, sia stato stravolto negli ultimi decenni e sia a tutt'oggi sottoposto a improprie trasformazioni del territorio. Le ville sono soffocate da industrie, svincoli stradali, capannoni, cave e attività al limite del lecito. Duemila di queste ville non sono vincolate e, in assenza di piani paesistici, «restano in un cono d'ombra», scrive Osser. Le opere del Palladio sono criticamente incomprensibili al di fuori del contesto naturale nel quale l'architetto le ha realizzate. Ne sono convinti Mario Botta, che in un recente convegno ha definito Palladio «un contraltare degli attuali archistar che costruiscono con indifferenza al contesto» e ne è convinto anche Vittorio Sgarbi che nel recente libro «Palladio. La luce della ragione» parla di «opere chiaramente distinte dalla natura e dal paesaggio eppure ad essi legate da un rapporto indissolubile».
L'accusa di distruzione del contesto è sostenuta da varie testimonianze. Il geografo Francesco Vallerini parla di «disastro urbanistico che ha annullato il paesaggio». Lionello Puppi, storico dell'architettura, afferma che «villa Zeno a Cessalto è a rischio estremo, disabitata e chiusa e che la barchessa palladiana di Villafranca padovana non esiste nemmeno più: il colonnato cade a pezzi». Il problema, commenta Guido Beltramini, che con Howard Burns della Normale di Pisa è il curatore della mostra sui 500 anni dall'architetto vicentino (Palazzo Barbaran da Porto di Vicenza) è «che il paesaggio costruito intorno è stato consumato dallo sviluppo industriale». Davanti alla Malcontenta c'è un guardrail; villa Onesti Magrin a Grisignano è strozzata dalle strade; intorno a villa Valmarana dei Nani (affrescata da Tiepolo) e a Villa Chiericati sono sorti capannoni che alterano il contesto ben più delle villette di Monticchiello denunciate, tempo fa, da Asor Rosa. La fabbrica della Mira Lanza incombe da tempo minacciosa sulla villa di Mira mentre strutture industriali danneggiano il cono ottico di Villa Pesaro a Este (Collegio Manfredini) dell'altro grande maestro Baldassarre Longhena. Italia Nostra denuncia anche l'impatto della nuova autostrada A31 della Valdastico e altri l'impatto dell'ampliamento della caserma Dal Molin definito da Puppi, con una certa enfasi catastrofista, «cataclisma territoriale». Insomma, un brutto biglietto da visita sul quale è difficile intervenire.
Le ville sono quasi tutte private, nelle mani di grandi famiglie (Valmarana, Foscari, Dalle Ore, Innocenti, Piovene...); e sono anche ben conservate. Ma sui contesti doveva, o dovrebbero, intervenire i comuni con i piani urbanistici. «Di tutte le ville in pericolo c'è quella di Cerato, per la quale è intervenuta anche la procura e la barchessa di villa Trissino di Meledo», afferma il presidente della Ville Venete Nadia Qualarsa. L'istituto ha concesso mutui per oltre 125 milioni di euro a favore di 1.750 ville. «Dal 2000 al 2008 siamo intervenuti su 9 ville tra le 24 protette dall'Unesco per un totale di 4,5 milioni di euro». Insomma, lo sforzo sugli immobili è stato fatto dai proprietari e da chi li sostiene. Ma il territorio circostante non è stato tutelato. Chiude Beltramini: «Qualche provincia ha iniziato a chiederci consulenze per la salvaguardia del contesto, ma prima degli anni Settanta la cultura del restauro considerava solo gli edifici e non l'insieme. Ora il ministro Bondi, all'inaugurazione della mostra su Palladio, ha dichiarato che si finanzieranno anche progetti di tutela del paesaggio ». Ma salvo che si vogliano operare demolizioni, stando all'inchiesta siamo ormai fuori tempo massimo.