lunedì 20 ottobre 2008

«Torri, quella delibera è del tutto illegittima»

«Torri, quella delibera è del tutto illegittima»
Chiara Bonan
Venerdì 17 Ottobre 2008 IL GIORNALE DI VICENZA

IL CASO. Fantinato attacca il documento che rinvia al Consiglio la valutazione sul valore architettonico ed estetico
Facchinello: «Lo sviluppo in altezza è un precedente pericoloso». Sandonà: «Chi ci andrà poi a vivere lì?»

«La posizione di chi sta violando un tabù è più difficile di quella di chi lo sta difendendo». Con queste parole Sergio Martinelli, capogruppo di maggioranza, riduce a una battaglia tra conservatori e progressisti la dialettica accesasi in commissione urbanistica tra favorevoli e contrari allo sviluppo in verticale della città, che vede maggioranza e opposizione saldamente arroccate sulle rispettive posizioni. «Sulla nostra decisione - argomenta Martinelli - pesa il piano regolatore di 40 anni fa, su questa base cerchiamo di operare salvando il salvabile».
La bozza di delibera consegnata ai commissari pone delle condizioni nell’accordo tra le parti, ditte proponenti e Amministrazione comunale, che prevede la costruzione, nell’area piano Mar, delle ormai famose “torri di Portoghesi”. Ai due edifici si è aggiunto di recente il progetto relativo a una terza “torre” di cui, secondo il consigliere di opposizione Francesco Fantinato, non si conoscerebbe nulla più che l’altezza approssimativa. In una riunione in cui i giochi sembrano già fatti, e la lettura delle parti del documento solo un accessorio all’approvazione, le voci discordi si sono fatte sentire, mettendo in discussione prima di tutto la legittimità della delibera stessa: il documento prevede infatti che al Consiglio comunale spetti la valutazione sul valore architettonico ed estetico dei manufatti in progettazione. È il consigliere Fantinato a sollevare la questione. «Credo sia inopportuno - afferma - che il Consiglio si dia dei compiti non previsti dalla legge. È un abuso di potere, che viene passato come atto di generosità. Così com’è, la delibera è illegittima. Ho l’impressione che vada rivista. Anzi, da rivedere è l’intero argomento!».
«Non siamo in grado - gli dà man forte Paola Facchinello - di valutare la qualità architettonica degli edifici. Credo che qualsiasi proprietario, ricorrendo al Tar, potrebbe contrastare i nostri pronunciamenti. E così il cittadino, oltre al danno ambientale e urbanistico, potrebbe trovarsi anche a pagare le spese legali». «Per me - ha sottolineato entrando nel merito il consigliere di minoranza - questo sviluppo in altezza è nocivo, poco ecocompatibile e anche pericoloso per la sicurezza. Io sono nettamente contraria. Inoltre l’approvazione di questo progetto costituisce, al contrario di quanto affermato dal sindaco Bizzotto, un precedente. Dato che i cittadini sono uguali davanti alla legge, su quali basi si farà uno strappo per questi proprietari e non per altri? Bisogna essere consapevoli che l’approvazione sarà un punto di non ritorno».
Sugli stessi toni il consigliere dell’Udc, Giovanbattista Sandonà, che ha espresso le sue perplessità anche sulla destinazione d’uso prevista dal progetto (al 90 per cento residenziale).
«Chiesi a Portoghesi chi erano i destinatari del progetto e mi rispose “Coppie giovani, come lei”. Mi sono sentito preso in giro». Torna sul punto Fantinato: «Ho qualche dubbio che quella, nei pressi della stazione, sia una posizione adatta alla residenzialità. Forse un progetto che si basa sulla “bellezza” della struttura avrebbe retto se si fosse trattato dell’eventuale stabile della Provincia di Bassano. Così com’è, no».

Palazzo Forti, parte la richiesta di fermare trasloco e vendita

Palazzo Forti, parte la richiesta di fermare trasloco e vendita
Alessandra Galetto
Sabato 18 Ottobre 2008 L'ARENA

PATRIMONIO. Ieri sera la biciclettata per dire no all’alienazione degli edifici storici. Intanto raccolte oltre 3.500 firme

Il comitato ha depositato in tribunale un’istanza urgente

In mattinata l’avvocato Donella, che segue la causa di Palazzo Forti, ha depositato presso il giudice civile del tribunale di Verona il provvedimento di richiesta di sospensiva, una procedura d’urgenza prevista dall’articolo 700 del codice che comporta la sospensione di ogni provvedimento relativo al Palazzo, vale a dire la vendita e il trasloco delle collezioni della Galleria d’Arte moderna. E in serata il comitato «Per l’amata Verona» insieme a sei associazioni ambientaliste (Legambiente, Amici della Bicicletta, Wwf, Italia Nostra, Il Carpino, il Comitato dei cittadini contro il collegamento autostradale delle Torricelle) hanno manifestato contro la vendita di Palazzo Forti e Palazzo Pompei con una biciclettata che è partita da piazza Bra alle 18 e che si è snodata lungo le vie del centro, con due brevi soste proprio davanti a Palazzo Forti e Palazzo Pompei, per tornare quindi alle 19 in Bra, dove i rappresentati delle stesse associazioni hanno preso la parola per fare il punto della situazione.


Così ieri i veronesi si sono ancora una volta mobilitati per impedire che l’amministrazione comunale proceda nella vendita di due edifici che alla città sono stati donati da veronesi illuminati: Palazzo Pompei da Alessandro Pompei che lo ha lasciato alla comunità veronese nel 1833, come ha spiegato l’architetto Giorgio Forti, vicepresidente del comitato «Per l’amata Verona», e Palazzo Forti da Achille Forti, perché diventasse sede della Galleria d’Arte moderna. A partecipare all’iniziativa in bici sono stati un centinaio i veronesi che hanno sfidato l’aria improvvisamente rinfrescata del tramonto: proprio il vento ha reso un po’ complicato accendere i lumini di cui gli impegnati ciclisti si erano muniti per cerare tra le vie cittadine una fiaccolata sulle due ruote.

Motivo conduttore della manifestazione, che ha visto unite realtà differenti (da una parte il comitato contro la vendita dei palazzi, dall’altra le associazioni ambientaliste) è stata l'idea che «sia socialmente, urbanisticamente ed economicamente sbagliato che l’amministrazione si privi , al solo scopo di fare cassa, di un patrimonio architettonico e culturale importante che per la sua volumetria e la posizione centrale dovrebbe essere inserito in ogni strumento di pianificazione», come hanno sottolineato i rappresentanti delle varie associazioni presenti. Ribadendo la necessità di un piano regolatore che disciplini l’utilizzo dei cosiddetti contenitori monumentali, da inserire nel Pat. Intanto contro la vendita dei due palazzi sono state raccolte oltre 3.500 firme.

Palazzo Forti, si allarga il fronte anti-vendita

Palazzo Forti, si allarga il fronte anti-vendita
Domenica 19 Ottobre 2008 L'ARENA

Ieri un ampio servizio de «La Stampa» che però non tiene conto degli ultimi sviluppi

Nuove firme per il «no», ma ora occore valutare l’idea di una destinazione comunque museale

La polemica allarga i suoi confini: l’ipotesi della vendita di palazzo Forti a privati da parte dell’amministrazione comunale è approdata sulla stampa nazionale e anche ieri, mentre il comitato «Per l’amata Verona» raccoglieva firme in via Roma, «La Stampa» dedicava alla questione un’intera pagina. Titolo: «Quel museo sarà un condominio». La giornalista inviata a Verona, Chiara Beria di Argentine, scrive che alla domanda al sindaco su quale sarà la fine delle gigantesche installazioni di Sol Le Witt (tre pareti di 15 metri), Tosi ha risposto: «Qual è il problema? Ad Assuan hanno spostato una diga, figuriamoci se non si può spostare una parete». Nessun cenno, nel servizio della Stampa, sull’ultima ipotesi messa in campo dal Comune: la cessione di palazzo Forti alla Fondazione Cariverona che manterrebbe almeno in parte la destinazione museale.
«La risposta di Tosi si commenta da sé», dice l’architetto Giorgio Forti, vicepresidente del comitato. «È chiaro che dai nostri amministratori non viene attribuito alcun valore all’arte e alla cultura. E del resto il ragionamento che l’amministrazione continua a fare per giustificare la decisione di vendere la Galleria d’Arte moderna riguarda le cifre, gli introiti. Ma se negli ultimi anni la Galleria ha rappresentato una perdita economica, questo non significa che la si debba trasformare in shopping center: bisognerà piuttosto capire perché non funziona, quando in passato Magritte, Kandinskji e Klee a palazzo Forti avevano attirato folle di visitatori. Intanto siamo riusciti a convogliare sul caso l’attenzione della stampa nazionale e internazionale, oltre che l’interesse di esponenti della cultura».
E infatti tra i nomi che hanno firmato contro la vendita ci sono quelli di Lionello Puppi, Carlo Rimini, Ettore Mo, Vincenzo Cerami. Anche ieri si sono aggiunte altre 500 firme, ha firmato anche l’ex procuratore di Mani pulite Borrelli, di passaggio a Verona. Le sottoscrizioni sono oltre 4.000.
A.G.

Palladio, geometria e invenzione del Moderno

l’Unità 19.10.08
Palladio, geometria e invenzione del Moderno
di Renato Barilli

ARCHITETTURA A Vicenza omaggio al grande artefice che con Leon Battista Alberti schiuse le vie della modernità architettonica. Soluzioni semplici e geniali con figure geometriche rielaborate ed essenziali

È più che giusto che per protagonisti d’eccezione si colgano a volo le occasioni dei centenari dalla nascita o dalla morte per metterne in scena grandiose celebrazioni. Questa volta l’onore tocca all’architetto Andrea Palladio (1508-1580), per il quale Vicenza, sua città d’elezione, ha predisposto un’ampia rassegna, in Palazzo Barbaran da Porto (a cura di Guido Beltramini e Howard Burn, fino al 6 gennaio, poi alla Royal Academy di Londra). Il Palladio fu uno dei principali fondatori di una linea che potremmo legare al concetto del moderno, in sé alquanto usurato, ma in questo caso esso va preso nel senso secondo cui negli anni Venti del Novecento si ebbe appunto un fondamentale Movimento Moderno, avente tra i vari membri anche il francese Le Corbusier, che molto opportunamente, in mostra, è menzionato come uno degli ultimi eredi dell’insegnamento da lui partito. In realtà, occorrerebbe fare un passo indietro di circa altri cento anni e venire a Leon Battista Alberti, nato nel 1406, cui, in occasione del relativo centenario, si sono tributati omaggi a dire il vero alquanto caotici, non nitidi e concentrati come questo riservato al Palladio. E dunque l’erede diretto risulta meglio trattato rispetto al progenitore. Ma appunto dall’Alberti al Palladio parte una tendenza irresistibile che altra volta mi è piaciuto siglare con un’etichetta scandalosamente anacronistica, quella di Minimalismo. Infatti essi hanno insegnato all’intero Occidente che l’architettura poggia su un numero ridottissimo di elementi primari, il pilastro, che sostiene l’architrave, con spigoloso e rigido angolo retto; o in luogo del pilastro può entrare anche la colonna, ma già meno bene; e certo vi sta pure l’arco, dono prezioso proveniente dall’arte romana. Attraverso una oculata distribuzione spaziale di questi pochi dati strutturali può venir fuori qualsivoglia edificio, ecco la grande lezione congiunta proveniente dai due. Che però, ovviamente, l’hanno applicata in modi alquanto diversi. L’Alberti non poteva non essere ligio ai canoni dell’Umanesimo, e dunque, questa sua concezione della scatola elementare doveva essere rapportata alle misure dell’uomo, venir concepita in modi raccolti e unitari. Il Palladio invece, per questo verso più lanciato verso traguardi ulteriori della modernità, non si sente vincolato al rispetto di quelle auree misure, e dunque tende a prolungare senza limite la scatola, facendone una stecca, per così dire, un edificio pronto a ospitare le complesse funzioni della burocrazia o dell’industria, gli alveari in cui l’individuo deve rassegnarsi ad essere racchiuso. Ma in entrambi i casi alla base di tutto c’è una griglia, una scansione implacabile di orizzontali-verticali.
Naturalmente una mostra dedicata a un architetto non può esibire le sue realizzazioni tridimensionali, deve limitarsi a schizzi e abbozzi, possibilmente autografi, ed è quanto la rassegna vicentina fa con abbondanza. Così, riesce perfettamente possibile seguire la marcia risoluta del Palladio verso il moderno, che qui potremo puntualizzare attraverso alcune tappe. Iniziando con Villa Pisani a Bagnolo, se ne veda in particolare il retro, dove compare appunto la scatola, a pareti lisce, sgombrate di ogni ornamento, anche Gropius avrebbe potuto firmare un progetto del genere. Palazzo Chiericati, poco dopo, segna un passo più avanti, a favore della nudità di una griglia strutturale, al punto che nelle ali dell’edificio scompare la riempitura muraria, il pretesto di continuare il corpo centrale dell’edificio con due verande aperte consente all’architetto di lasciar cadere appunto il riempitivo, e l’ossatura dell’edificio può apparire a nudo, quasi che egli potesse già valersi di pilastri in cemento armato. Un altro dei tratti che il Vicentino eredita dall’Alberti, ed è di nuovo un segno di avanzante modernità, di quella modernità che arriverà a condannare l’ornamento «come un delitto», sta proprio nella riduzione del ricorso a statue ornamentali. Queste ci sono, nella cimasa di Palazzo Chiericati, ma come prolungamenti dello slancio verticale delle strutture portanti, per ribadirlo, piuttosto che per nasconderlo. Ma veniamo alle modalità con cui il Palladio affronta il tema vincolante delle facciate delle chiese, portatrici di esigenze di culto da cui non è facile svincolarsi. Eppure anche in questo caso egli parte da una sorta di scatola essenziale, magari scandita lungo l’intera sua superficie dal motivo di colonne, però agili, simili a putrelle metalliche. E poi, per ricavare sia il timpano della navata centrale, sia quelli delle navate laterali, ovvero per interrompere il dominio dell’angolo retto, il nostro grande progettista inserisce un dimezzamento, un motivo in diagonale, il quadrato insomma viene diviso in due, ma mentalmente l’osservatore può effettuarne un raddoppio, e restituire la totalità dell’insieme. Questo il ritmo di scomposizione e immediata ricomposizione che il Palladio applica ai due gioielli veneziani, S. Giorgio Maggiore e il Redentore. Ma se si vuole ammirare la sua genialità all’opera, senza vincoli utilitari, si vadano a vedere i suoi disegni per illustrare i campi di battaglia, per esempio il dispiegamento delle legioni con cui Cesare andò alla conquista della Gallia. Sono davvero composizioni allo stato puro, estensioni illimitate di tanti moduli minimali che si associano in una grammatica al tempo stesso libera e vincolante.
Andrea Palladio 500 Vicenza Palazzo Barbaran da Porto Fino al 6 gennaio Catalogo Marsilio

mercoledì 15 ottobre 2008

Il fango che li ha sepolti ce li sta ora restituendo

L'Arena, Mercoledì 15 Ottobre 2008

Il fango che li ha sepolti ce li sta ora restituendo

Se la strada antica individuata nelle Valli grandi ha alimentato ipotesi diverse da parte degli studiosi, c'è invece assoluto accordo sul consistente valore archeologico del territorio rurale del Basso Veronese, indicato da più parti come «uno scrigno che ha ancora molto da svelare». A preservare nei millenni ossa e monili di periodi storici diversi sono stati sia lo sviluppo abitativo e industriale contenuto o assente degli ultimi decenni, sia i fenomeni naturali del passato, alcuni anche disastrosi. Tra la fine dell'epoca del bronzo e l'inzio di quella del ferro vi fu un massiccio spopolamento delle Valli, probabilmente provocato da eventi meteorologici avversi. Vi tornarono i romani, ma alcuni secoli dopo nuovi fenomeni atmosferici eccezionali provocarono un altro abbandono di questo territorio.
«Le fonti storiche narrano che alla fine del 500 dopo Cristo vi furono diversi anni di pioggia incessante», afferma Cassone, «che trasformarono le campagne in greti di torrenti. I dissesti idraulici hanno poi modificato il corso dei fiumi, come quello dell'Adige che una volta scorreva non lontano da Este e Montagnana». Nel 589 dopo Cristo - come descritto nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono - vi fu la «rotta della Cucca» (come si chiama allora Veronella) che disegnò il nuovo percorso dell’Adige spostandolo verso Legnago. In seguito all'evento le campagne della pianura furono abbandonate e invase dall'acqua fino alla fine dell'1800 quando la palude fu bonificata. A.C.

BORSO DEL GRAPPA La pista di motocross tra gli antichi borghi spacca il consiglio comunale

BORSO DEL GRAPPA La pista di motocross tra gli antichi borghi spacca il consiglio comunale
Gabriele Zanchin
15 OTTOBRE 2008, IL GAZZETTINO ONLINE

Borso del Grappa
Una pista da motocross a Borso del Grappa tra gli storici borghi di Cassanego e la gherla di Crespano del Grappa. Il consiglio comunale di Borso ha approvato con i voti della maggioranza, lo schema di convenzione con una ditta padovana che andrà a gestire questo impianto. Dal canto loro le opposizioni invece, Lega Nord, hanno votato contro questa convenzione, proponendo la realizzazione di un'area da pic-nic. L'Impianto sorgerebbe in un'area particolarmente delicata da un punto di vista ambientale, molto bella da un punto di vista paesaggistico in circa 15 mila mq di terreno proprio a sud dello storico borgo di Cassanego, una delle zone più suggestive della pedemontana, e poi sconfina anche nel comune di Crespano del Grappa andando proprio vicino all'altro storico borgo denominato la gherla. Da ricordare inoltre che di piste da motocross ce n'è un'altra molto attiva da anni poco lontana ed in comune di Crespano del Grappa nell'area degli impianti sportivi. In pratica il Comune di Borso ha dato parere favorevole all'apertura di questo impianti, visto e considerato che in quella zona, in anni passati già si faceva attività motoristica anche se in tono sicuramente minore di come potrebbe venire svolta con un nuovo impianto gestito da una ditta. Infatti con gli anni quell'area ha assunto un aspetto di pregio da un punto di vista paesaggistico a tal punto che poco più a nord c'è una vera e propria fascia di protezione per il borgo Cassanego. Intanto nei giorni scorsi sono iniziati anche lavori per la realizzazione di sottoservizi per l'allacciamento dell'acqua e l'illuminazione che danno l'idea sull'avanzamento di questo progetto che qualche dubbio ha fatto sorgere in consiglio comunale ma non solo.

Mezza retromarcia su palazzo Forti

Mezza retromarcia su palazzo Forti
Enrico Giardini
15 OTTOBRE 2008, L'ARENA

LE ALIENAZIONI. In caso di acquisto, l’istituto presieduto da Paolo Biasi manterrebbe la destinazione museale pagando un terzo del valore stimato in 65 milioni

Spunta l’ipotesi di cederlo alla Fondazione Cariverona. Che potrebbe anche ricavare spazi per il Museo di Storia naturale agli ex Magazzini

Il bar Borsa è stato venduto, per 4,8 milioni.

Per i terreni di Casa Pozza, a San Martino Buon Albergo, di proprietà del Comune di Verona, l’asta con base 6,5 milioni è andata deserta per la seconda volta. Queste le certezze.

Per il resto, è sempre più un risiko la compravendita dei palazzi storici da cui l’amministrazione punta a ricavare 115 milioni. Con un’ipotesi, clamorosa, che si sta facendo largo: vale a dire, destinare il museo di storia naturale, invece che al palazzo del Capitanio, agli ex Magazzini generali, proprietà della Fondazione Cariverona, una volta ristrutturati. E vendere Palazzo Forti, tenendolo però a museo.

Restando ai fatti, dopo l’ipotesi dell’assessore all’edilizia pubblica Vittorio Di Dio, di An, di concedere in comodato metà del Palazzo del Capitanio a privati per farne un albergo, e ottenere che questi contribuiscano a pagarne il restauro, il suo collega al patrimonio, Daniele Polato, di Forza Italia, mette i puntini sulle «i». Fra l’altro, il gruppo consiliare di Forza Italia ha chiesto, su questo tema, una verifica di maggioranza di centrodestra, dopo le dichiarazioni del deputato di An e sottosegretario alle finanze, Alberto Giorgetti, perplesso sulla vendita di Palazzo Forti.

CONTINUITÀ. «Siamo fermi a quanto approvato a dicembre dal Consiglio», spiega Polato. «Con le alienazioni di palazzo Forti, sede della Galleria d’arte moderna, base d’asta 65 milioni, e di palazzo Pompei, sede del museo di storia naturale, 20 milioni, l’amministrazione intende ricavare il denario necessario per restaurare il palazzo del Capitanio e la parte di Arsenale destinata a ospitare l’Accademia d’arte Cignaroli».

Nelle variazioni di bilancio relative al piano delle opere pubbliche 2008-2010, però, sono stati tolti 14,6 milioni sui 27 destinati a restaurare il Capitanio, affacciato su piazza dei Signori, che secondo i piani del Comune ospiterà il museo di storia che ha sede principale, aperta al pubblico, a palazzo Pompei, in lungadige Porta Vittoria. Altre collezioni e laboratori, infatti, sono contenuti a palazzo Gobetti, in corso Cavour — in vendita a base d’asta 10 milioni — ma l’orientamento è già quello di trasportarli al primo piano della palazzina di comando dell’ex Arsenale.
La Galleria di Palazzo Forti, invece, andrà di certo al Palazzo della Ragione.

Ma se slitta il restauro del Capitanio (per adeguarlo a ospitare il museo servirà un’altra decina di milioni) e il Pompei dovesse essere venduto, dove andranno a finire i pezzi del museo? «Confermiamo che noi vogliamo allocarlo in un edificio pronto a ospitarlo», precisa Polato, «e questo sarebbe possibile se noi, nel bando, vincoliamo il trasloco del museo al fatto che ci sia già un’altra sede pronta».

Il fatto che siano stati tolti soldi dal piano triennale delle opere destinati a investimenti (16 milioni, di cui 14,6 per il restauro del Capitanio) non muta dunque i programmi?

«No», prosegue Polato, «e quando i soldi ci saranno verranno messi a bilancio. Ricordiamo, comunque, che il Comune può pensare di alienare i palazzi anche con permute, come avvenuto con il parcheggio dell’ex gasometro che verrà pagato in parte, con 12,6 milioni, all’interno di un project financing, concedendo l’ex convento San Domenico, sede dei vigili, pure in vendita». Nessuna marcia indietro di Polato nemmeno sulla vendita dei palazzi Forti e Pompei, come ha sostenuto Giambattista Ruffo, del comitato per l’Amata Verona contraria a venderli?
«Nessuna marcia indietro», dice Polato, «e con Ruffo io non ho mai parlato».

L’ASSO NELLA MANICA. Intanto, come detto, starebbe però maturando un’alternativa, per trovare una nuova sede al museo. Vale a dire, gli ex Magazzini generali, area dismessa di proprietà della Fondazione Cariverona, destinata a polo culturale (doveva andarci la Cignaroli) che proprio nei giorni scorsi aveva annunciato di aver incaricato l’architetto Mario Botta di progettare un auditorium nell’ex cella frigofera. In base a questa manovra, l’ente presieduto da Paolo Biasi (che ha già comprato Castel San Pietro, con destinazione museale) acquisterebbe palazzo Forti, mantenendogli però destinazione museale e non più per case e negozi. Quindi pagandolo una ventina di milioni, meno di un terzo dei 65.
La Fondazione Cariverona metterebbe poi nelle condizioni il Comune di spostare il museo ai magazzini e anche di ristrutturare il palazzo del Capitanio. E vai con il risiko.

lunedì 13 ottobre 2008

VERONA - «Così cambieremo il territorio». Stop al cemento sul Garda e sviluppo dell’ idrovia

VERONA - «Così cambieremo il territorio». Stop al cemento sul Garda e sviluppo dell’ idrovia
Elena Cardinali
Sabato 11 Ottobre 2008 L'ARENA

PROGRAMMAZIONE. È stato presentato dal presidente Elio Mosele al Polo Zanotto il Piano territoriale di coordinamento provinciale che ruota attorno a Verona

Nella Bassa previsto uno dei grandi poli produttivi Questo piano salvaguarderà il paesaggio anche razionalizzando gli insediamenti

Salvaguardia delle aree naturali, forte limitazione alla realizzazione di nuovi centri commerciali, contigentazione delle zone produttive con la concentrazione in una quindicina di poli attrezzati non solo per le attività ma anche per i servizi alle imprese, ricerca di nuove forme di mobilità tra i grossi Comuni periferici e il capoluogo ma anche di strategie di comunicazioni interprovinciali e interregionali. È un piano ad ampio raggio il progetto del Piano territoriale di coordinamento provinciale, in sigla Ptcp, presentato ieri nella sala convegni del Polo didattico «Giorgio Zanotto» dell’università dal presidente della Provincia Elio Mosele e dal coordinatore della progettazione Elisabetta Pellegrini a una platea che vedeva schierati, oltre diversi amministratori locali delle provincie venete, anche l’assessore regionale alle politiche per il territorio Renzo Marangon, il presidente di Confindustria Verona Gian Luca Rana e il presidente del Consiglio di sorveglianza del Banco Popolare Carlo Fratta Pasini.
Il presidente Mosele ha ricordato che l’elaborazione di questo complesso progetto è iniziata due anni fa con un documento preliminare che è stato oggetto di un’ampia discussione prima di approdare in Regione. «In esso si affrontano temi fondamentali per il futuro di Verona e dello stesso veneto», ha sottolineato Mosele, «come l’accoglimento di opere colossali a respiro europeo come il corridoio 1, da Dublino a Palermo, e il corridoio 5, da Lisbona a Kiev, che s’incrociano a Verona, e la realizzazione di linee ferroviarie locali in alternativa al trasporto su gomma ma, soprattutto, all’individuazione di una nuova organizzazione del territorio che salvaguardi il paesaggio e razionalizzi gli insediamenti produttivi».
Il piano dovrebbe essere adottato già entro la fine di quest’anno ma prima dovrà esser discusso e condiviso dai Comuni veronesi. Sarà un piano, come ha ribadito l’ingegner Pellegrini, «centrato sul territorio e sui suoi valori, a partire da quelli ambientali. In una provincia che ha un’estensione di oltre tremila chilometri quadrati, nemmeno il dieci per cento è riservato ad aree vincolate e a zone naturali. La prospettiva è di costruire aree nucleo ad alto tasso di naturalità. Per questo sarà necessario razionalizzare le zone di insediamento produttivo, che finora hanno seguito un andamento irregolare. Nel 1997, da uno studio dell’epoca, il suolo veronese adibito ad aree produttive era di 65 milioni di metri quadrati. Ora è di 90 milioni con un impegno già preso nei piani regolatori di diversi Comuni di altri 15 milioni di metri quadrati. Una frammentazione in cui si trovano aree di grandi valore e zone di bassissimo valore, talvolta abbandonate. Basti pensare che ci sono 756 poli produttivi con aree inferiori ai 60.000 metri quadrati. La prospettiva, nel Ptcp, è di concentrare le attività in una quindicina di poli qualificati dal punto di vista industriale e ambientale». Si è parlato anche di collegamenti con metropolitana di superficie tra i grossi centri della provincia e la città, «convenienti però solo se saranno utilizzati da almeno il trenta per cento di utenti che oggi usano i mezzi privati».
Un altro aspetto fondante del Ptcp è lo stop alla costruzione di nuovi centri commerciali, privilegiando, invece, il ritorno ai piccoli negozi soprattutto nei centri più piccoli del territorio provinciali, «in un quadro di rivalutazione commerciale di vicinato che ha una forte rilevanza sociale

VENEZIA - Settis: «basta inquinare i monumenti di Venezia»

VENEZIA - Settis: «basta inquinare i monumenti di Venezia»
Adriano Favaro
Il Gazzettino 12/10/2008

Non conosce l`articolo "incriminato" del giornalista inglese "premiato" dall`istituto Veneto di scienze lettere e arti, ("me lo
manda? lo leggo") ma non è d`accordo nemmeno con la candidatura
che qualcuno ha fatto del suo nome come "commissario" per Venezia ("per carità, devono funzionare le istituzioni"). Di sicuro a Salvatore Settis - Presidente del Consiglio Superiore dei Beni culturali, nominato da Rutelli, riconfermato da Bondi, ieri in città per presentare il suo libro sulla Scuola Grande di San Rocco - fa orrore l`idea di una Venezia presentata come una Disneyland. «Sono contrarissimo ai limiti di accesso, ai controlli da città a tema, così come sono contrario ai commissari, nemmeno se si chiamasse Ruskin». Ma non vede bene, anzi non ama per niente i monumenti ricoperti da cartelloni pubblicitari. «L`arte non va mercificata - dice, aggiungendo - Bisogna poi vincere gli inquinamenti visivi; e anche quelli sonori: basta con i concerti nelle piazze, nel cuore di una città». Capito?
Senta professore se non vanno bene i cartelloni pubblicitari davanti
palazzi e monumenti in restauro cosa dire quando un sindaco come Cacciari spiega che non ci sono più risorse pubbliche?
«Bisognerà cercarle. In realtà le risorse non ci sono perché vengono
tagliate».
Spieghi.
«Coi tagli - già decisi - il bilancio del beni culturali nel 2011 sarà tagliato del 95%. Non resta nemmeno per pagare la luce. I soldi li abbiamo tolti noi...».
E messi dove?
«Al Ministero dei beni culturali sono stati tolti un miliardo e rotti di euro. Per darli all`Alitalia. E` una scelta politica. Chiedo: è giusto che il cittadino paghi Alitalia e i monumenti
vadano al diavolo? A me non sembra la cosa più giusta. Fosse
ministro della Pubblica Istruzione Croce non avrebbe votato a favore
di questo».
Continuando...
«Cinque miliardi a Gheddafi siamo sicuri che glieli dobbiamo dare?
I soldi ci sono, la volontà politica li indirizza in una certa direzione».
Parliamo di sprechi?
«Guardi che il numero delle mostre inutili nel nostro paese sono
tantissime. E ad ogni centenario ci sono altrettante manifestazioni inutili: sprechi. Trent`anni fa per il centenario del Giorgione furono fatti quattro convegni. Ne bastava uno. Così si continua. Mancano culture e capacità di individuare le spese. I soldi ci sono».
Vedrà palazzo Ducale diventato una specie di rivista femminile,
piena di pubblicità.
«Anche Trinità dei Monti a Roma non è stata visibile per quattro
anni. C`è un libro dove si sostiene che hanno fatto andare i lavori
molto lentamente apposta per poter coprire la facciata con ragazze
che reclamizzavano scarpe».
Soluzione...
«Ma quanti movimenti politici ci sono che si occupano dell`inquinamento ambientale? Oltre a quell`inquinamento occorrerebbe guardare a quegli inquinamenti che distruggono
la persona umana e la sua cultura. Cioè quello visivo e quello acustico».
Vada con gli esempi.
«Non si capisce perché in tante città - in ore lavorative anche - in
una piazza occorre fare un concerto.
E` inquinamento, vietato dalle leggi».
Come quello visivo...
«Sì. Io sono avverso al fatto di coprire monumenti e facciate con
delle cose pubblicitarie».
Fioccano migliaia e migliaia di euro per questo. Si fa a gara.
«Lo so. Mettono anche all`asta, in alcune città, quei posti. Ripeto: nelle dimensioni di adesso, come fanno ora no!».
Cacciari dice che ai Comuni servono soldi.
«Rispetto il suo parere. Il mio, di cittadino, dice che l`inquinamento visivo che queste cose comportano a Venezia come a Roma e ovunque è diventato un fenomeno grave.
Anche a Piazza di Spagna ci sono stati lavori durati anni. A che
scopo? Mantenere la facciata "pubblicitaria"».
E la torre dell`orologio di piazza San marco coperta dalla foto della torre di Pisa?
«Una spiritosaggine, non puro uso commerciale. Attenti che l`idea
che il patrimonio culturale debba sempre dare un reddito immediato
è pericolosa. Venezia coperta dai manifesti non piacerà più».
Il ponte di Calatrava?
«Bello, Ma quel vetro forse non va...».

Ambientalisti in marcia sui sentieri di Marezzane per la difesa delle colline minacciate dai futuri scavi

Ambientalisti in marcia sui sentieri di Marezzane per la difesa delle colline minacciate dai futuri scavi
Giancarla Gallo
Lunedì 13 Ottobre 2008 L'ARENA

Doppia iniziativa, di segno opposto, legata all’espansione del cementificio: una mostra e la terza camminata
Sei soluzioni anti camion

In sala consiliare fino a domenica esposti i progetti per la viabilità Ma non mancano le proteste

Doppio appuntamento, ieri mattina a Fumane, nel segno del cementificio: in sala consiliare è stato presentato lo studio di fattibilità per il riassetto della rete viabilistica del paese; sui sentieri di Marezzane si è svolta la marcia pacifica per sensibilizzare la popolazione sul futuro delle colline, che potrebbero diventare area di scavo della marna.
La presentazione dello studio, richiesto dal Comune alla Cementirossi, è stata effettuata dai progettisti della ditta Stradivarie architettura e paesaggio di Trieste con gli architetti Claudia Marcon e Adriano Venudo, dalla Scf Engineering, con l’ingegner Michele Faccioli e l’architetto Uranio Perbellini. In sala consiliare, da sabato e fino a domenica 19 ottobre, è visitabile la mostra che illustra i risultati del lavoro svolto dai progettisti per ridefinire la rete viabilistica di Fumane, le ipotesi e le soluzioni di riorganizzazione urbana per la razionalizzazione dei flussi di attraversamento dei mezzi pesanti e la messa in sicurezza di pedoni e ciclisti. La mostra è aperta tutti i giorni dalle 9 alle 13 , il mercoledì dalle 14.30 alle 18. Sono esposti pannelli, grafici, schede, indagini sul traffico, simulazioni e altri elaborati che chiariscono le problematiche e le possibili soluzioni.
Lo studio di fattibilità si struttura in tre parti: nella prima si definiscono le sei scelte viabilistiche con le soluzioni architettoniche e urbane; la seconda parte sviluppa le sei soluzioni viabilistiche e i risvolti territoriali, urbanistici e paesaggistici. La terza parte illustra le valutazioni oggettive effettuate rispetto a questioni economiche, procedurali, tecniche, relazionate alle capacità di riduzione del traffico che ciascuna ipotesi porterà con sè con costi, tempi, manutenzione, e impatto ambientale.
Dopo la presentazione si è svolto un ampio dibattito, protagonisti i cittadini: molti interventi sono stati di contestazione. Un residente in viale Verona ha criticato la scelta di allargare la strada: «Per ampliare il viale mi ruberanno almeno due metri di giardino e quindi la cancellata sarà spostata sotto la mia abitazione, così mi ritroverei i camion sotto casa con tutto lo smog e il rumore conseguente», ha lamentato. «E’ un scelta assurda. Perché devo perdere il mio giardino? Non è ora invece che se ne vada il cementificio, che ci inquina già da quarant’anni? Ci vogliono azioni di una certa incisività, finora si è solo scherzato. Se mi toccano il giardino, mi incateno alla cancellata».
La marcia a Marezzane, alla terza edizione, si è svolta regolarmente anche grazie alla bella giornata, che ha favorito il picnic e l’allegria. Erano presenti almeno 500 persone sui prati, diverse le associazioni ambientaliste e non, provenienti anche dalla città. L’atmosfera era quella della gita, con banchetti per la vendita dei prodotti locali, musica e giochi. Immancabili gli gnochi sbatui cucinati a malga Bianciari, punto di ritrovo.
Un gruppo piuttosto numeroso di cittadini con striscioni è partito dalla piazza del municipio e si è recato a Marezzane a piedi, usando il sentiero. La sala consiliare era già aperta e molti si sono soffermati a guardare la mostra. Una volta alla malga si è svolta la tradizionale passeggiata attorno alla collina di Marezzane.

Palazzo Forti, 760 firme a difesa. Contro la vendita della Galleria d’arte decisa dal Comune

Palazzo Forti, 760 firme a difesa. Contro la vendita della Galleria d’arte decisa dal Comune
Alessandra Galetto
Lunedì 13 Ottobre 2008 L'ARENA

Le adesioni raccolte in una sola giornata

Ancora una giornata di grande adesione da parte di centinaia di veronesi alla raccolta firme organizzata dal comitato «Per l'amata Verona» che si sta impegnando per impedire l'ipotesi di vendita ai privati di Palazzo Forti da parte dell'amministrazione comunale, che significherebbe contemporaneamente il cambiamento della sua destinazione d'uso: dove oggi ha sede la Galleria d'Arte moderna di Verona ci potrebbero essere domani negozi, uffici e appartamenti privati. Ma l'idea fa «inorridire» molti cittadini, che non hanno esitato ad usare termini forti come «vergogna» e «scandalo» per definire la scelta dell'amministrazione.
E così anche ieri il banco per la raccolta firme posizionato in via Cappello, davanti a Coin, ha visto una «processione» analoga a quella della scorsa domenica, durante la quale si erano raccolte circa 500 firme. Questa volta le firme raccolte sono state 760, di cui 360 già a conclusione della mattinata: a firmare, proprio in mattinata, è arrivata anche Alessandra Cottone, restauratrice ufficiale di palazzo Forti. E già venerdì pomeriggio ben 260 veronesi a passeggio per il centro avevano posto la loro firma sui fogli della petizione. Ma al di là dei numeri, confortano gli esponenti del comitato, presieduto da Augusto Forti, discendente del donatore, e che ha alla vicepresidenza l'architetto Giorgio Forti, le espressioni di affettuosa solidarietà da parte di chi arriva per dare il suo appoggio.
«Mi pare impossibile che l'amministrazione consenta un simile gesto: vendere un patrimonio lasciato da un privato per ospitare i beni artistici e trasformarlo in shopping center è una pazzia», commenta Luisa Rossi, insegnante. Dopo di lei arriva a firmare un giovane musicologo, Francesco Bissoli: «Sono contrario ad un gesto che mostra quale scarsa considerazione sia attribuita alla cultura e all'arte, ma che va anche contro le volontà testamentarie espresse da Achille Forti nel suo lascito».
Tra i veronesi «noti» che ieri stazionavano intorno al banco c'era anche l'avvocato Guarienti: «Sono stato tra i primi a firmare. Penso che sia una cosa vergognosa che Palazzo Forti e Palazzo Pompei possano essere utilizzati come shopping center, il che dimostra il cattivo gusto e la minima sensibilità culturale dell'amministrazione. Se non ci sono i fondi per il Palazzo, meglio pensare ad una tassa di scopo». L’ipotesi di shopping center era stata peraltro smentita dal Comune, che sta lavorando assieme alla Soprintendenza per capire quali sono gli utilizzi possibili. Già nei giorni scorsi l'architetto Forti aveva sottolineato come «da parte dei cittadini ci sia un interesse sincero: hanno capito che questa è una battaglia culturale importante per il futuro della città. Pensare che la Galleria d'Arte moderna sia considerata solo in termini economici è avvilente, e questo nel contesto di una città come Verona che è al quarto posto in Italia in termini di possesso di beni culturali».

Padova, giovedì 16 ottobre ore 18.00, presentazione Ercole e il Leone 1482 Ferrara e Venezia duello sul Po

Padova, giovedì 16 ottobre ore 18.00,
Libreria Feltrinelli, via San Francesco 7,
presentazione del saggio
Ercole e il Leone 1482 Ferrara e Venezia duello sul Po
di Federico Moro
StudioLT2 Edizioni. Ingresso libero, interviene l’autore.

Info: www.federicomoro.it
http://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Moro
www.studiolt2.it
http://blog.palazzograssi.it/index.php/2008/02/27/93-flagellum-dei-il-fuoco-degli-unni


Il libro: distribuzione Italia CDA- Consorzio Distributori Associati, librerie on-line IBS, ZAM, Hoepli, Universitaria, Arianna, Unilibro, Libroco, Cataloghi Tuttostoria, Libreria Militare





Ercole e il Leone

1482 Ferrara e Venezia duello sul Po



Saggio di Federico Moro

Studio LT2 Edizioni, ISBN 978-88-88028-16-3



“Italiani contro, il paese che non vuole nascere: il racconto di uno dei tanti appuntamenti mancati da un passato perennemente sospeso tra cronaca, politica e rimpianto ma sempre incapace di diventare Storia.”



Primavera dell’anno 1482, bassa Valle del Po , Venezia lancia sul fiume attraverso la bocca di Fornaci il nobile Damiano Moro al comando di una flotta di 400 imbarcazioni. Simultaneamente parte l’offensiva di terra guidata da uno dei più abili e spericolati condottieri del tempo, Roberto di Sanseverino. Ai suoi ordini 15.000 uomini, i migliori di cui disponga la repubblica lagunare, che varcano l’Adige a Legnago, attraversano le paludi del Tartaro e piombano sulla riva sinistra del Po . Una gigantesca manovra a tenaglia.

Lo scopo è quello di schiacciare navi e soldati del duca Ercole I d’Este per impadronirsi delle fortezze a guardia del fiume, Rocca Po ssente di Stellata e Rocca Benedetta di Ficarolo, prima dell’arrivo sul campo di battaglia dell’Armata di soccorso alleata. Milanesi, Napoletani e Fiorentini guidati dal duca Federico di Montefeltro si stanno concentrando per impedire la caduta di Ferrara in mano al leone marciano.

Dopo le ripetute sconfitte in Levante contro i Turchi, Venezia getta nella mischia un fiume di sangue, armi e denaro per resuscitare il sogno del doge Francesco Fosca ri… l’egemonia veneziana sull ’Italia del Nord e in prospettiva l’unificazione della Penisola. Damiano Moro e Roberto di Sanseverino muovono per finire il lavoro lasciato incompiuto dal conte di Carmagnola nella palude di Maclodio, cinquantacinque anni prima.

La parola è alle armi, comincia l’ultima grande guerra tutta italiana del MedioEvo, l’estremo tentativo di trasformare in realtà il maggiore disegno politico mai concepito in laguna dopo la conquista dell’impero marittimo.

L’autore:

Federico Moro
vive e lavora a Venezia . Di formazione classica e storica, ha intervallato ricerca a scrittura letteraria, saggistica e teatrale. Ha come principali campi d’interesse la narrativa e il lato strategico di eventi e decisioni politiche.

È membro della Società Italiana di Storia Militare.

Ha pubblicato i romanzi Donne all’Asta (2002), La Voce della Dea (2003), L’Oro e l’Argento (2005), La Custode dei Segreti (2005), Il Fulmine e il Ciclamoro (2007), Flagellum Dei? (2008), la raccolta di racconti Storie a pelo d’acqua (2004), i saggi Venezia in Guerra (2005 prima edizione, 2007 edizione illustrata e traduzione inglese) ed Ercole e il Leone (2008), poesie e racconti in diverse antologie

venerdì 10 ottobre 2008

CALDIERO. Vandali sul monte dimenticato

CALDIERO. Vandali sul monte dimenticato
Zeno Martini
Giovedì 9 Ottobre 2008 L'ARENA

Il Comitato dei cittadini di Verona Est lancia l’allarme sul degrado in cui versano la Rocca e l’area archeologica

Masconale: «Perduto anche un contributo regionale» Il sindaco promette: «Adesso affronteremo la questione»

Le porte del castello che erano state murate, ora sono sfondate. Lo scavo archeologico è quasi sempre a cielo aperto. Vetri e serramenti di villa «La Rocca», restaurata all’esterno con i soldi dell’Autostrada Serenissima, rotti e divelti dove ancora ci sono. La Rocca di Caldiero violata continuamente dai ladri, che rubano tutto ciò che è asportabile. Pareti interne e fondamenta della medesima villa e della cappella attigua, deturpate se non abbattute.
E’ questo il desolante stato del monte Rocca, colle che dovrebbe essere caro ai caldieresi e che invece è lasciato ai vandali. Nonostante sia stato in fasi successive ripulito e sia stato realizzato un percorso della salute, di solito il monte non è accessibile, perché il cancello è sempre chiuso, e non c’è più un orario di apertura al pubblico, come un tempo. Gli unici a farci visita ogni tanto, sono gli scout, che possono ben poco contro gli intrusi della notte.
Dall’insediamento dell’amministrazione Molinaroli, più di un anno fa, i consiglieri di opposizione ricordano al primo cittadino la necessità di nominare una commissione consiliare che avrebbe lo scopo di tutelare e valorizzare la Rocca. Ma l’accusa diretta all’amministrazione stavolta non viene dalle minoranze, ma da Aldo Masconale, responsabile del Comitato per la salute dei cittadini di Verona est e appassionato di storia e archeologia del paese, promotore delle varie campagne di scavo condotte in passato e anche recentemente sul colle.
«Da parecchi mesi sto denunciando al sindaco e agli amministratori la situazione di degrado e di abbandono in cui versa il monte»,, lamenta Masconale. «Nessuno va a controllare e nemmeno a tirare i teli ogni tanto, per tenere coperti i reperti medioevali e dei Veneti antichi, emersi dagli scavi. Cosa che ho proposto di fare con i volontari, ma non mi è stata data risposta».
«C’era la possibilità di attingere ad un contributo regionale nel 2007 per proseguire lo scavo archeologico», fa sapere Masconale, «ma l’amministrazione lo scorso anno non ha fatto domanda. Mi occupo da tempo della Rocca, ma questa amministrazione dimostra di non avere sensibilità per alcune cose, tra cui questa».
Masconale porta ad esempio i soldi (oltre 100 mila euro), usati per costruire la baita per le associazioni sul monte, che lui definisce «tirolese». «Non era forse meglio sistemare le stanze del castello, invece di costruire questo obbrobrio?», chiede Masconale, «almeno che vengano chiusi gli accessi di castello e villa La Rocca».
«Abbiamo ancora 135 mila euro del contributo della società Serenissima a disposizione, che impiegheremo per restaurare il castello», risponde il sindaco, Giovanni Molinaroli, «Poi concederemo questi spazi a un’associazione di volontariato. Ma c’era la necessità pure di costruire una struttura (la baita) per le manifestazioni all’aperto e per la Pro loco».
«Tuttavia ammetto che la situazione del monte è quella denunciata da Masconale e per questo bisogna prenderla in mano quanto prima», sottolinea il sindaco, «ma finora non avevo le persone nella mia maggioranza che se ne potessero occupare, così come l’ufficio tecnico non poteva affrontare tutto subito».
«Per questo è stato necessario dare precedenza ad alcune opere pubbliche», spiega sempre Molinaroli, «come i nuovi impianti sportivi, la scuola elementare e le piste ciclabili. Manca ancora un progetto generale per definire l’utilizzo di questo bene importante».
«E’ vero che lo scorso anno non abbiamo presentato la richiesta di contributo per proseguire lo scavo archeologico», confessa il sindaco, «ma cercheremo di capire se ci sono possibilità di attingere a fondi per proseguire sia nello scavo, che nel recupero degli immobili. Non eravamo in grado di affrontare la questione appena insediati», conclude, «ma ci impegneremo a farlo».

martedì 7 ottobre 2008

VERONA - PATRIMONIO ALL'ASTA: Palazzo Forti, migliaia di firme contro la vendita

VERONA - PATRIMONIO ALL'ASTA: Palazzo Forti, migliaia di firme contro la vendita
Alessandra Galetto
L'ARENA, Lunedì 6 Ottobre 2008

PATRIMONIO ALL’ASTA. Continua la mobilitazione per impedire l’alienazione, decisa dal Comune, dello storico edificio sede della Galleria d’Arte moderna

Oltre 500 cittadini sottoscrivono la petizione promossa dal comitato e si aggiungono ai 2.500 che lo avevano fatto nei giorni precedenti
Molti si sono avvicinati al banco gridando allo «scandalo» o parlando di «scelta assurda»

Verona si mobilita per salvare Palazzo Forti dall’ipotesi di una vendita che significherebbe anche cambio di destinazione. Cioè per impedire che dove oggi si trova la Galleria d’Arte moderna nascano domani negozi, uffici e appartamenti. Lo si è visto ieri: il banco per la raccolta di firme allestito in via Cappello, davanti a Coin, dal comitato Per l’amata Verona (il nome deriva dall’espressione usata da Achille Forti nel testamento dove dice di lasciare «all’amata Verona» il palazzo di famiglia) ha visto per tutta la giornata un viavai di veronesi - alla fine hanno firmato oltre 500 - desiderosi non solo di aggiungere la loro firma alle oltre 2.500 che nei giorni precedenti erano già state raccolte, ma anche di fermarsi e scambiare qualche riflessione per valutare che cosa altro sia possibile fare per impedire quella vendita che più di uno ha definito «scandalo», «vergogna», «scelta assurda».
E tra i tanti arrivati per dare il proprio contributo, c’è stata anche l’occasione per assistere a qualche episodio particolarmente significativo. Come l’impegno del figlio di Guido Soardo, autista di Achille Forti cui l’illuminato professore aveva lasciato nel testamento 5.000 lire, che ha portato tre moduli (cioè 60 firme) compilati spiegando tutto il suo desiderio di aiutare il comitato. O come un altro signore che ha raccontato di possedere un vecchio manifesto elettorale con il quale Achille Forti si era candidato e di volerlo donare al comitato per l’importante azione che sta svolgendo. Un grazie che ha espresso con convinzione anche l’ex ministro Gianni Fontana, arrivato in via Cappello nel pomeriggio per mettere la sua firma alla petizione contro la vendita.
«C’è da parte dei cittadini un forte fermento, un interesse sincero», ha commentato l’architetto Giorgio Forti, vicepresidente del comitato Per l’amata Verona, presente ieri alla raccolta firme che riguardava anche Palazzo Pompei anche se l’attenzione dei veronesi è stata catturata quasi esclusivamente da Palazzo Forti. «È una battaglia culturale che ha varcato i confini cittadini e ha trovato grande attenzione perfino all’estero. Pensare che la Galleria d’Arte moderna sia considerata solo in termini economici è avvilente, e questo nel contesto di una città come Verona che è al quarto posto in Italia per possesso di beni culturali. Chi mai oggi a Verona penserebbe di fare un lascito alla città, visto come va a finire? E i collezionisti fanno bene a portare altrove le loro opere se alle donazioni viene dato questo valore». «L’idea della vendita è una vergogna», dice Enrico Rea. «Un fatto grave, tra l’altro contro la volontà espressa nel testamento», fa notare la giovane Ilaria Rigoli. Come lei, molti giovani universitari hanno scelto di appoggiare il comitato dando la loro firma. «È una sciocchezza, con la quale l’amministrazione mostra la sua mancanza di lungimiranza, oltre che la scarsa sensibilità», commenta Alberto Negri. «Venire a firmare è doveroso: si tratta di un fatto gravissimo», replica Mariella Turri. E il presidente dei Geometri Romanico Romanelli, arrivato con la famiglia, aggiunge: «L’amministrazione potrebbe trovare metodi migliori per fare cassa: questa è una pessima decisione».

lunedì 6 ottobre 2008

Mantegna. L’artista della pittura scolpita. Una grande retrospettiva al Louvre

La Repubblica 6.10.08
Mantegna. L’artista della pittura scolpita. Una grande retrospettiva al Louvre

Le duecento opere esposte permettono un percorso cronologico ricco di originali e di suggestivi confronti
Trasformò la corte mantovana nel celebre avamposto dell´arte italiana
Entrò a servizio dai Gonzaga nel 1458 e vi restò fino alla morte nel 1506
Il sodalizio con Giovanni Bellini forte come quello Picasso-Braque
La prima sezione affronta lo studio dove lavorò quasi bambino a Padova

PARIGI. Pochi grandi artisti del Rinascimento possono vantare una fortuna espositiva pari a quella di cui ha goduto Mantegna, a partire dall´ormai mitica retrospettiva mantovana del 1961, che nell´Italia del primo boom economico aprì la strada all´era delle grandi mostre, per continuare con la altrettanto straordinaria esposizione che si tenne nel ?92, prima alla Royal Academy londinese e poi al Metropolitan di New York. Un percorso trionfale che sembrava essersi un po´ inceppato due anni fa, quando la ricorrenza del V centenario della morte dell´artista fu celebrata in Italia con una pluralità di mostre di vario livello, la più discutibile delle quali fu proprio quella organizzata nella città in cui l´artista spese la maggior parte della sua carriera, dominando ininterrottamente la scena per un cinquantennio.
A risarcire prontamente il danno d´immagine provocato da questo deprecabile incidente di percorso, giunge ora questa magnifica retrospettiva parigina a cura di Giovanni Agosti e Dominique Thiébaut (Mantegna 1431-1506, Louvre, con il sostegno dell´Eni, fino al 5 gennaio), che ha le carte in regola per segnare nella storia della fortuna critica dell´artista una tappa non meno memorabile di quelle del ?61 e del ?92.
Fin da quando era in vita, Mantegna godette in Francia di una fama eccezionale, tanto che nel 1499 Georges d´Amboise, ministro di Luigi XII, nel manifestare al marchese Francesco Gonzaga, che monopolizzava l´attività dell´artista, il suo ardente desiderio di ottenere una tavola dipinta da Mantegna per la sua cappella palatina, non esitò a definirlo «el primo pittore del mondo». La morte dell´artista, ma ancor più l´arrivo di Leonardo in Francia affievolirono un po´ questo entusiasmo, che però riprese presto a vigoreggiare grazie anche alla precoce presenza in territorio transalpino di importanti opere del maestro e alla diffusione delle sue invenzioni tramite stampe e placchette in bronzo. Può dunque ben dirsi che la fortuna critica del Mantegna in Francia non ha mai conosciuto momenti di crisi, come dimostrano l´impatto delle sue opere su un protagonista del ?600 come Poussin e la presenza di parecchi suoi capolavori nelle più prestigiose raccolte francesi del XVII e XVIII secolo. Per non dire di quell´ardente «ritorno di fiamma» che si manifestò nel tardo ?800 e che vide in prima fila i coniugi Jacquemart-André, intenti a non lasciarsi sfuggire neppure una delle sue rare opere ancora sul mercato, sostenuti dall´entusiasmo di studiosi come Yriarte e da romanzieri del calibro di Proust.
Potendo contare sul nutrito gruppo di capolavori mantegneschi presenti nei musei francesi, ma anche sul concorso generoso di tante prestigiose raccolte di tutto il mondo - con la deprecabile eccezione della Carrara di Bergamo, delle Gallerie veneziane dell´Accademia e della Ca´d´Oro e della Gemäldegalerie berlinese che non hanno voluto essere all´altezza dell´occasione - i due curatori della mostra sono riusciti ad allestire un percorso espositivo forte di 200 opere, distribuite in dieci sezioni che scandiscono in ordine cronologico la carriera dell´artista, illustrandone ogni snodo con una grande ricchezza di originali e di appropriati confronti. Giovanni Agosti è senza dubbio lo studioso italiano che maggiormente ha contribuito negli ultimi anni a rilanciare gli studi su Mantegna, con scritti in cui l´erudizione e l´intelligenza critica sono surriscaldate da un´acuta sensibilità estetica e da una scoppiettante vena letteraria. Thiébaut ha saputo coadiuvarlo egregiamente, tenendo ben ferma la barra di una mostra che sa parlare anche al grande pubblico, ma rifugge da ogni semplificazione banalizzante. Esemplari, sotto questo punto di vista, le brevi ma dense didascalie che accompagnano ogni singola opera, fornendo al visitatore un prezioso filo d´Arianna.
Pur conferendo all´insieme un´impronta unitaria e personale, Agosti e Thiébaut hanno curato in proprio solo una sezione ciascuno, affidando le altre otto a specialisti. Aldo Galli e Laura Cavazzini, ad esempio, hanno curato la prima, intitolata «Padova, crocevia artistico», in cui si segue la precocissima ascesa di Andrea, che entra a dieci anni nella fervida bottega dello Squarcione, frequentata da giovani artisti di belle speranze venuti da ogni dove, ne assorbe il clima di curiosità antiquaria alimentato dagli umanisti dello Studio padovano e si confronta con la dominante personalità di Donatello, che è presente in città per un intero decennio.
Più di ogni altro, fu proprio quel genio fiorentino a marchiare a fuoco la fantasia figurativa del giovane Andrea, imprimendo nel suo stile quella minerale durezza del marmo e forbitezza del bronzo, che hanno fatto non a caso parlare di «pittura scolpita». La sezione che segue, curata da Bellosi, è fra le più emozionanti e innovative, mostrandoci Andrea, che nel ?53 ha sposato la figlia di Jacopo Bellini, Nicolosia, procedere «in cordata» con il giovane cognato, Giovanni Bellini, in un sodalizio così stretto e reciprocamente proficuo da indurre Agosti ad evocare quello che legò Braque e Picasso negli anni eroici del primo Cubismo. Segue una sezione curata da De Marchi, il cui fulcro è la presentazione unitaria dei tre pannelli della predella del Trittico di San Zeno, che di norma sono divisi tra il Louvre e il Museo di Tours, mentre la quarta sezione, a cura di Marco Tanzi, affronta il primo decennio mantovano dell´artista, che entrando al servizio dei Gonzaga nel ?58 per restarvi fino alla morte (1506), prende in mano le redini dell´intera produzione artistica, trasformando quella corte padana, fino ad allora culturalmente periferica, nel più celebrato avamposto dell´arte italiana. La quinta sezione ruota attorno al famoso San Sebastiano proveniente da Aigueperse, il primo capolavoro di Mantegna entrato in Francia quando il pittore era ancora nel pieno della sua attività, mentre la sesta è dedicata al denso capitolo della diffusione delle invenzioni mantegnesche tramite l´incisione e le arti applicate, un espediente cui l´artista si dedicò intensamente anche per affrancarsi dallo stretto controllo sulla sua produzione esercitato dai Gonzaga, suoi signori e padroni. Le due sezioni successive poggiano quasi esclusivamente sulle straordinarie raccolte del Louvre, essendo dedicate, la settima alla Madonna della Vittoria, che è del ?95-´96, e l´ottava al celebre Studiolo di Isabella d´Este, che la mostra offre l´eccezionale occasione di vedere al completo, con le due tele di Mantegna, assieme a quelle di Perugino, di Costa e di Correggio, esposte proprio come lo erano nella Corte mantovana. Dopo la sezione dedicata ai Trionfi, che grazie alla generosità della regina inglese può vantare la presenza di una delle nove celeberrime tele della Royal Collection, la mostra si chiude in modo avvincente con una sezione in cui le ultime opere di Mantegna, prossimo alla morte, si alternano a quelle del giovane Correggio, rivelandoci come il trapasso da un mondo che andava inesorabilmente tramontando e il nuovo universo figurativo della «maniera moderna», non si sia consumato in modo improvviso e violento, ma come un naturale passaggio di testimone: il sorgere di un nuovo e vigoroso virgulto, capace però di trarre ancora alimento dalle radici di una vecchia quercia abbattuta.

domenica 5 ottobre 2008

A Verona Sud rischiamo di vedere crescere una selva di grattacieli

A Verona Sud rischiamo di vedere crescere una selva di grattacieli
Venerdì 3 Ottobre 2008 L'ARENA

GRANDI OPERE. Lunga seduta del Consiglio comunale per il progetto di riqualificazione del «Bronx di Verona». Nella notte la delibera ha ottenuto 29 voti favorevoli e 12 contrari
Ex Cartiere, maratona per il sì
Giacino: «Questo piano elimina il degrado e modernizza la città». L’opposizione: «Non è stato valutato bene l’impatto sul traffico»

Importante è il fare; il futuro passa dalla collaborazione tra pubblico e privato

Maratona in Consiglio comunale sul piano urbanistico di recupero dell’area delle ex Cartiere. La votazione si è svolta alle 0,52 con 29 sì e 12 no. La seduta si è protratta fino a tardi a causa del clima incandescente e delle proteste scoppiate dopo la non ammissione degli emendamenti del Pd,
Il Piano riguarda un’area di quasi 180mila metri quadrati e il volume edificabile, pari a quello dei fabbricati esistenti, è di 300mila metri cubi.
Dopo la presentazione da parte dell’assessore Vito Giacino che ha evidenziato la valenza del piano, che recupera e valorizza un’area da anni in stato di degrado, tremila posti auto tutti interrati, 40mila metri quadrati di area verde, quattro chilomeri di percosi ciclo-pedonali e uno studio del traffico «di sistema», Roberto Uboldi e Carlo Pozzerle del Pd hanno rilevato due questioni pregiudiziali, chiedendo la sospensione della seduta. Uboldi ha ricordato che l’Amministrazione comunale ha un contenzioso aperto nei confronti della società Verona Porta Sud, mentre Pozzerle ha reclamato la Valutazione d’impatto ambientale. Entrambe le eccezioni sono state respinte dall’aula. Alla seduta ha assistito anche l’architetto Bruno Gabbiani, autore del piano urbanistico. Gli esponenti dell’opposizione, poi, si sono divisi sul giudizio del progetto. Per il Pd, «quello alle ex Cartiere è solo un’anticipazione di ciò che verrà costruito a Verona Sud, col rischio di vedere crescere una selva di grattacieli». E Uboldi ha concluso: «Tutti gioiremo quando i vecchi edifici saranno abbattuti, ma non vorremmo poi che i veronesi maledicano i 5 anni successivi per il caos dei cantieri». Graziano Perini del Pdci parla di «forte alterazione dell’assetto urbanistico della città a un chilometro dal centro». Edordo Tisato di Verona Civica ha però annunciato il voto a favore: «È giusto valutare i fatti senza pregiudizi ideologici». Dei 36 emendamenti presentati dal Pd, 29 sono stati ritenuti non accoglibili dagli uffici, fatto che ha provocato l’ira del Pd, tre sono stati respinti dall’assessore Giacino, che ne ha accolto uno.
«Ora la proprietà», ha sottolineato Giacino, «avrà 20 giorni di tempo per avviare le demolizioni». L’operazione dovrà concludersi entro sei mesi. Poi potrà partire la vera e propria riconversione dell’ex complesso industriale di Basso Acquar, dove i privati vi hanno fatto un investimento di circa 200 milioni di euro.
Da «supermarket della droga», come era stata chiamata dopo anni di degrado e abbandono, l’area si trasformerà in un complesso con multisala da 9 sale di proiezione, palestre, solarium, sale fitness e attività sportive, sale giochi, un centro commerciale con 70 negozi, una dozzina tra caffè e ristoranti e un centro direzionale, integrato con il complesso polifunzionale situato in due grattacieli che arriveranno a un’altezza di cento metri e della cui progettazione sono stati chiamati a concorrere tre architetti di fama mondiale.
Dall’abbattimento sarà risparmiato un edificio di archeologia industriale di 2.280 metri quadri, che dopo il restauro sarà ceduto al Comune.
Sul piano viabilistico, l’intervento prevede anche la realizzazione di sette rotonde, che saranno costruite a spese dei proprietari dell’area, da ponte Aleardi a via Tombetta: alla breccia dei Cappuccini, fra Basso Acquar e il ponte San Francesco, in via Tombetta, sotto il cavalcavia di viale Piave e due interni all’area delle cartiere, su via Fedrigoni. Altre due saranno più distanti, cioè a ponte Aleardi, una all’altezza dell’ex gasometro e l’altra all’inizio di via Torbido.
Con questa operazione il Comune incasserà quasi 18 milioni di euro. Parte di questi fondi, aveva detto Giacino prima del dibattito, saranno vincolati in un apposito capitolo di bilancio riservato a opere viabilistiche per Verona Sud, in particolare per il raccordo fra la regionale 434 e la bretella di Verona Nord. Una volta realizzato, il nuovo centro polifunzionale porterà alle casse comunali ogni anno circa 300 mila euro di Ici.
Il multisala occuperà 4.600 metri quadrati, i negozi 15mila di cui 3.000 per gli alimentari, il terziario complementare 24mila, l’ex fucina 2.280 (il Comune la userà a scopi museali). Le strade e le piazze pedonali interne 12mila, il parco 40mila. I due grattacieli, che potranno arrivare a 100 metri di altezza, occuperanno 30mila metri quadrati.E.S.

VICENZA - Città dell’Unesco violata dalla base?

VICENZA - Città dell’Unesco violata dalla base?
Maria Elena Bonacini
Sabato 4 Ottobre 2008 IL GIORNALE DI VICENZA

CONVEGNO. È l’ipotesi di due cattedrattici

La Basilica Palladiana obiettivo militare? «La distruzione del patrimonio storico è uno degli strumenti usati in guerra per colpire l’identità. E chi, attaccando Vicenza, colpisse i suoi monumenti, giustificherebbe la distruzione come “effetto collaterale” data la vicinanza alla nuova base».

L’inquietante scenario è una delle possibili conseguenze della costruzione del Dal Molin portate da Federico Lanzerini, docente all’università di Siena e consulente Unesco, al convegno “La Base o l’Unesco?”, organizzato ai chiostri di S. Corona dalla fattoria artistica Antersass e moderato da Cesare Galla, responsabile delle pagine culturali del nostro Giornale. Con lui, tra gli altri, Antonio Papisca, titolare a Padova della cattedra Unesco “Diritti umani, democrazia e pace”, e Domenico Patassini, preside di Pianificazione del territorio allo Iulm di Venezia.
Tra i suggerimenti di Lanzarini, c’è quello di verificare se il Dal Molin rientri nelle zone di rispetto dei monumenti, nel qual caso sarebbe più facile contrastare la base. Ma anche di non riporre troppe speranze nell’Unesco, «dove il rappresentante dell’Italia è l’ambasciatore che segue le direttive del Governo».
A spingere Comune e cittadini alla protesta è invece Papisca. «Accordi internazionali per finalità che violano i principi fondativi del diritto internazionale e del diritto costituzionale, che fanno di un insediamento urbano un target militare ad altissimo rischio, che coinvolgono intere popolazioni, territori e beni artistici internazionalmente protetti, vanno denunciati per manifesta incostituzionalità e manifesta illegalità internazionale. Il Comune è quindi legittimato a promuovere presso le istituzioni dello Stato la denuncia degli impegni “pattizi” illegali».