domenica 25 ottobre 2009

Parcheggi, spuntano gli scheletri

Parcheggi, spuntano gli scheletri
Martedì 06 Ottobre 2009 CRONACA Pagina 7 - L'ARENA

PIAZZA CORRUBIO. I reperti venuti alla luce non sembrano sufficienti per bloccare l’opera, ma è presto per la decisione finale. Sabato manifestazione del comitato

Resti di antiche tombe, ossa umane e, per ora, nulla più. In piazza Corrubio si continua a scavare: lungi dall'essere conclusi, infatti, dureranno almeno un altro mese e mezzo i sondaggi archeologici nel terreno, così come previsto fin dall'inizio.
Lo scopo, condito dalla vivida speranza dei residenti e commercianti di San Zeno, è verificare se in quest'area si trovino reperti di rilevanza storica e dimensioni tali da sbarrare la strada al progetto del parcheggio interrato, approvato dall'amministrazione Zanotto. Perché non c'è altra via, ha spiegato più volte la giunta Tosi, per recedere dal contratto con la ditta Rettondini e fermare la realizzazione dell'opera senza pagare penali di milioni di euro.
Come hanno potuto constatare anche l'assessore alla mobilità Enrico Corsi e il presidente della prima circoscrizione Matteo Gelmetti, che ieri mattina hanno effettuato un sopralluogo, la prima fase degli scavi ha fatto affiorare, a circa un metro e mezzo di profondità, una decina di tombe "alla cappuccina", dotate cioè di un sottofondo e di una copertura in tegole di terracotta. Un metodo di sepoltura "povera" frequente in epoca romana e medievale.
Sepolcri e scheletri però, asportabili dal luogo di ritrovamento e in più spesso compromessi dalle tubature installate nel terreno, non sono giudicati sufficienti ad annullare la realizzazione del parcheggio. Si tratta, insomma, di reperti assai comuni, soprattutto in prossimità degli edifici sacri. Gli archeologi stanno pulendo e catalogando i vari pezzi, che in seguito verranno raccolti per essere studiati e datati.
Le speranze si attaccano alla seconda fase di scavo, che si porterà più avanti, verso l'aiuola alberata. Se l'antica cripta sotto la pasticceria San Zeno, si ipotizza, avesse avuto stanze adiacenti o cunicoli, potrebbe emergere qualcosa di più interessante.
«E poi qui sotto passava la via Postumia», rilanciano i residenti, che dai balconi, armati di binocolo, non perdono d'occhio l'avanzare degli scavi. Quello che non capiscono è perché non si oltrepassino i due metri di profondità: cosa che, a loro parere, limita le possibilità di ritrovamento. «Fondamentale è che quegli alberi non vengano abbattuti in nessun caso», dice Alberto Ferrarini (Pdl), presidente della commissione ecologia della prima circoscrizione, indicando gli spazi verdi della piazza. «Non vogliamo una seconda piazza Isolo con pietre e cemento, anzi, ci aspettiamo di ottenere l'allargamento dei giardini».
I sanzenati intanto organizzano la «controffensiva». Come annuncia Mao Valpiana, tra i fondatori del neonato comitato «Salviamo piazza Corrubio», si passerà alle vie legali per far emergere le contraddizioni nell'iter d'approvazione del parcheggio. «E l'opposizione popolare», aggiunge, «non mancherà di farsi sentire: scendendo in piazza, organizzando incontri, sit-in, una raccolta firme... per coinvolgere in questa causa non solo i residenti, i commercianti e i lavoratori di San Zeno, ma tutti i cittadini veronesi».
Si comincia sabato pomeriggio, in piazza Corrubio. «Facciamo la festa al parcheggio»: musica, danze, buona cucina e un momento d'assemblea per ribadire il no all'opera.L.CO.

Una colata di cemento in arrivo sul Veneto

Una colata di cemento in arrivo sul Veneto
Sebastiano Canetta, Ernesto Milanesi
il manifesto 22 ottobre 2009, p. 15

PIANO CASO ASSO PIGLIATUTTO

Lo ha varato il governo e lo realizzano le regioni. Nel nord est il piano casa aumenterà le cubature di cemento armato, già numerose. Bastano per garantire abitazioni a tutti fino al 2022. Il problema, semmai, è nel campo dell’edilizia popolare. Che resta indietro. E intanto peggiora l’orma ecologica

VENEZIA
Un piano casa perpetuo, che di fatto è operativo da oltre vent’anni. Il sacco edilizio di città e campagna perennemente appaltato al partito dei «calce-struzzi». Una colata continua di condomini, capannoni, magazzini e centri commerciali, che fa balzare il Veneto in cima alla classifica delle regioni più edificate. E’ la transizione dalla scintillante «locomotiva» del Nord Est alla partita doppia della betoniera.
Con l’implosione dell’impresa familiare e il default delle logistiche strozzate dalla stretta del credito, il cemento armato rimane l’unica «benzina». Fonte «naturale» di guadagni, rendite, favori e voti; strutturalmente al riparo dagli scossoni di ogni mercato. Funziona al di là della recessione e degli schieramenti politici.
Il Veneto gioca la partita della crisi puntando (ancora) sull’asso pigliatutto del mattone. Alimentando una bulimia edilizia patologica, che divora migliaia di ettari di territorio ogni anno. Oltre 290 milioni di metri cubi di edifici residenziali direzionali e commerciali costruiti dal 1983 al 2006 sono il bilancio dell’economia «impalcaturiera» del Nord Est imbullonata sulle gru. Cemento armato che si traduce in un giro di appalti milionario: più che vitale per enti locali preoccupati di raddrizzare bilanci votati al rosso. Ma anche per l’affollato giro d’affari di costruttori e immobiliaristi con l’acqua alla gola. Muove la cazzuola dell’edilizia «in chiaro» e stende anche la malta di quella «criptata». Politicamente è la «colla» dell’ unico vero «partito del Nord».
L’effetto collaterale è un territorio irrimediabilmente degradato, banalmente omologato dal Bellunese al Polesine, violentato nei tratti somatici dell’identità non solo paesaggistica. Sotto i metri cubi di calcestruzzo, acciaio e bitume spariscono per sempre campi, paludi e aree boschive. Insieme alla rete idrica, «stuprata» da passanti, bretelle, raccordi e direttissime.
Il piano casa regionale varato a luglio spara il colpo di grazia al precario equilibrio ecologico. Sulla carta, il provvedimento non serve. Il patrimonio immobiliare dei 581 comuni veneti copre il fabbisogno abitativo fino al 2022, immigrati compresi. «Nelle sole province di Padova e Treviso le aree urbane ormai corrispondono al 20% del territorio. Una quantità enorme che non ha eguali in nessun altra regione italiana» spiega Sergio Lironi, urbanista di Legambiente. Sul tavolo, i dati del Centro ricerche economiche sociali di mercato per l'edilizia e il territorio e gli studi della Cassa edile artigiana veneta: dal 1999 al 2008 quasi 340 mila nuove abitazioni. Sono 135 milioni di metri cubi di cemento armato.
«E’ il risultato della filosofia dell’urbanistica contrattata, del caso per caso e giorno per giorno. Una gestione dei piani caratterizzata da continue varianti e deroghe ha consentito l’arrogante prevalere degli interessi privati delle grandi società immobiliari dando via libera alle logiche speculative – denunciano gli ambientalisti - La città tentacolare si è sparpagliata nel territorio cancellando luoghi identitari, risorse ambientali e beni culturali. E degradando la qualità del vivere quotidiano».
Ma non c’è solo il lato B della mitologica polis diffusa: a puntellare l’ossatura edile c’è soprattutto la sconfinata melassa di capannoni, centri commerciali, attrezzature «di servizio» e «rurali» solo nei registri dei catasti.
Un boom mai regolato nemmeno dal «libero» mercato, volontariamente sordo al paradigma domanda-offerta. Nel lustro 2002-2007 sono stati costruiti oltre 114 milioni di metri cubi in depositi e magazzini poi svuotati dalla crisi. Si è edificato troppo (oltre 275 metri cubi per ogni nuovo abitante) e male: «La dispersione insediativa ha distrutto risorse naturalistiche, agronomiche e paesaggistiche fondamentali, con tipologie e costi che non corrispondono alla domanda reale, usando tecnologie obsolete non adeguate agli standard energetici e di comfort ambientale stabiliti dall’Unione europea» puntualizzano a Legambiente. Con un lassismo «colposo» da parte di enti locali pronti a incamerare Ici e oneri di urbanizzazione barattando pezzi del territorio.
L’incredibile numero di varianti urbanistiche presentate nel solo 2005 rende l’idea di una morbosa frenesia costruttiva: 1.276 richieste di scostamento dai piani comunali (+ 220% rispetto alla media degli anni precedenti) fanno impressione. Si appoggiano a 389 Piruea (piani di riqualificazione urbanistica e ambientale) attuati nel biennio 2005-2006: la soluzione più semplice per accontentare la voglia di «villettopoli» dei veneti.
Chilometri di bifamiliari a schiera, versioni economiche di Milano2 e residence metropolitani diventano però un miraggio per chi vive sulla soglia della povertà. Immigrati, giovani coppie e pensionati affollano le graduatorie degli alloggi popolari.
Domande sostanzialmente inevase. Le cifre della Direzione regionale per l’edilizia abitativa registrano un migliaio di assegnazioni a fronte di 16.500 richieste. Nei comuni schiacciati dalla tensione abitativa è una lotteria: il 99% di chi chiede una casa ad affitto calmierato non riceve risposta. Per ora, gli enti locali riescono ad arginare l’esercito di poveri ufficialmente conclamati: 20 mila potenziali morosi schivano lo sfratto grazie ai contributi pubblici.
Dal 2002 al 2007, le volumetrie ultimate hanno superato gli 89 milioni di metri cubi. Uno stock di tutto rispetto: dovrebbe bastare ad accomodare circa 600 mila nuovi abitanti, compresi i 78 mila immigrati del Trevigiano. Senza contare lottizzazioni già approvate e concessioni da tempo operative.
Cinque anni fa la deregulation edilizia era parsa un’enormità perfino a palazzo Ferro-Fini, tanto che la legge urbanistica regionale del 2004 limitava le aree agricole trasformabili in terreni con altra destinazione d’uso. «Uno stop praticamente inutile: perché consentirà comunque di sottrarre all’agricoltura altri 93 milioni di metri quadrati nei prossimi 10 anni» osservano gli ambientalisti.
L’impatto della valanga di lottizzazioni si rileva calcolando l’impronta ecologica rilasciata da 4,9 milioni di veneti. La misura del territorio biologicamente attivo per equilibrare produzione, consumo, assorbimento dei rifuti ed emissioni inquinanti è un’efficace cartina di tornasole. Ne risulta un’«orma» abbondantemente oversize: 6,43 ettari equivalenti per abitante fanno impallidire la media nazionale ferma a quota 4,3.
E poi c’è l’impatto atmosferico della «betoniera» a ciclo continuo: 1,9 milioni di abitazioni emettono 7,2 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Basterebbe mettere a norma i fabbricati per risparmiare all’ambiente 4, 4 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Ma a Nord Est non si cambia rotta. Per Legambiente «Il piano casa si rivela un sistema di regole diverso in ogni regione. Spiccano la Toscana e la Provincia di Bolzano, che hanno praticamente bloccato l’attuazione, e il Veneto con la Sicilia, da subito paladine di un’applicazione generosa, con premi in cubatura dispensabili a qualsiasi tipo di edificio dovunque e comunque collocato. In pratica il piano casa regionale diventa una scorciatoia per risollevare le sorti del mercato edilizio, senza un’idea capace di muovere il settore fuori da una crisi che non è congiunturale».
Preoccupa anche la troppo generica indicazione energetica per ottenere l’ambito «premio» di volume. Molte regioni hanno stabilito un tetto massimo di mille metri cubi per gli ampliamenti. In Veneto, invece, non c’è mai limite.

Arche Scaligere, da sette secoli la memoria viva della città

Arche Scaligere, da sette secoli la memoria viva della città
Domenica 25 Ottobre 2009 L'ARENA

STORIA. Presentato un volume di Ettore Napione sul monumento funebre della famiglia che governò a Verona

Un volume di seicento pagine con otto appendici. I lavori di restauro saranno completati nei primi mesi del prossimo anno

C'è da sette secoli in città uno straordinario monumento-documento che è un unicum: le Arche Scaligere. E c'è oggi un nuovo libro che ne parla, intitolato semplicemente Le Arche Scaligere di Verona, e scritto da Ettore Napione, che lavora alla direzione musei e monumenti del Comune. Un volume complesso, eruditissimo, di 600 pagine, con otto appendici, «polifonico» date le tante voci di cui si è avvalso l'autore, per la cui presentazione c'è stata una grande festa in Sala Boggian a Castelvecchio, con un importante parterre ed un foltissimo pubblico.
Come ha subito sottolineato Paola Marini, direttrice dei Musei d'Arte e Monumenti del Comune, che fungeva da moderatrice. E come ha rilevato l'assessore alla Cultura Mimma Perbellini, affermando che «l'uscita del libro è gradita perché affronta uno dei monumenti cittadini mèta di un turismo colto e consapevole, che contribuiscono alla fama internazionale di Verona». «Apriremo presto il recinto delle Arche ai visitatori» ha annunciato.
E la conferma è venuta dal direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Veneto, Ugo Soragni. «La conclusione dei lavori di restauro è imminente. Sono stati rallentati dalla delicatezza dell'intervento, ma adesso non ci sono più ostacoli: nei primi mesi del 2010 finiranno». Riferendosi al libro, Soragni ha osservato che si tratta di una monografia esaustiva per gli aspetti filologici e la completezza delle fonti. «È un punto di partenza per risolvere alcuni interrogativi, come la derivazione di questo modello di tombe, che sembrano sbocciare dal nulla, ma che invece hanno una radice antica, perché gli Scaligeri guardavano al passato e le arche sono una riproposizione in chiave moderna di un'area sepolcrale antica».
Il volume è pubblicato per iniziativa dell'Istituto veneto di scienze lettere e arti che l'ha affidato all'editore Umberto Allemandi & C. «L'Istituto - ha detto il suo presidente Gian Antonio Danieli - deve produrre e diffondere cultura, e quindi incoraggia e realizza gli approfondimenti come questo testo, il 16° dei nostri titoli, scelto come il primo di una nuova serie».
Gian Maria Varanini, dell'Università di Verona, ha analizzato la monografia di Napione, «in cui c'è la storia dell'arte ma anche una valutazione estetica critica che emerge da un contesto di ricerche tenacemente condotte e portate avanti senza lasciare alcun angolo oscuro».
«L'autore - ha aggiunto - fa una rilettura della storia degli Scaligeri nella seconda metà del '300, quando non si assiste al loro tramonto ma ad un ridimensionamento del loro dominio. Nel testo emerge il rapporto straordinario fra gli Scaligeri e la loro città».
Un esame più dettagliato del libro è stato condotto da Andrea De Marchi, dell'Università di Firenze, il quale ha affermato: «Le Arche sono un fenomeno clamoroso, la punta di un cosmo variegato in quello che è stato il secolo più grande dell'arte veronese. Napione descrive la lievitazione del progetto delle tombe che avviene per gradi ma con alcuni salti assoluti. Sono quattro i grandi stadi del progetto: le Arche araldiche sottotono; l'Arca di Cangrande come arca diaframma; l'Arca su colonne; l'Arca di Cansignorio». Il volume è, secondo De Marchi, «uno strumento di lavoro di grandissima importanza, ma non è definitivo neppure nella veste iconografica».
A Napione, che nell'introduzione sostiene che «ogni monografia vorrebbe essere definitiva», l'ultima parola, con la sottolineatura di uno dei punti fermi importanti della sua indagine: la trascrizione dei tre testamenti superstiti degli Scaligeri, Alberto I, Cangrande II e Cansignorio. Una «chicca» per capire il mistero delle Arche.

giovedì 15 ottobre 2009

L’architettura del ’600 Viaggio storico tra i capolavori veneti

L’architettura del ’600 Viaggio storico tra i capolavori veneti
11 ottobre 2009, CORRIERE DEL VENETO

Pochi secoli hanno avuto lo stesso fermento cultura­le del seicento: la rivoluzione scientifica, l’affermar­si del razionalismo nella filosofia, la religione che non offre più quel ventre sicuro dove nascondersi, l’uomo sembra smarrirsi alla ricerca del nuovo: un’inquietudine che si riflette nella vita e nell’arte. Nasce uno stile irregolare, privo di ordine, che in architettura muta in linee curve flessuose, abbondanza di decorazioni e sugge­stioni. Il Barocco ha contraddistinto l’architettura italiana e (in modo particolare) quella veneta rappresentandone il ter­ritorio: dalle ville venete alla chiesa di santa Maria della Sa­lute di Baldassarre Longhena, tutta l’architettura veneta del XVII secolo è oggi raccolta in Il seicento (a cura di Augusto Roca De Amicis e con il supporto di nuove campagne foto­grafiche realizzate da esperti nel campo) prima uscita della collana «Storia dell’architet­tura nel Veneto» edita da Marsilio Editori e diretta da Guido Beltramini e Howard Burns, che in dieci volumi raccoglie l’evoluzione stori­ca dell’architettura nel terri­torio, dalle origini fino al no­vecento (promossa da Regio­ne Veneto e in collaborazio­ne con il Centro Internazio­nale di Studi di Architettura Andrea Palladio).

Il primo volume ripercorre l’attività di architetti veneti o che hanno operato in vene­to, negli storici confini che giungevano fino a Brescia e Bergamo, e includevano il Friuli Venezia Giulia: uno sguardo su una regione che, nonostante attraversasse un mo­mento di forte recessione economica, viveva in una della sta­gioni più ricche e prolifiche per l’architettura (fu proprio in questo periodo che furono realizzate ben 322 ville venete), narrando dell’influenza dello stesso Andrea Palladio - scom­parso alla fine del secolo precedente- , e del suo allievo Giu­seppe Scamozzi (autore di Villa Pisani detta La Rocca Pisa­na), che con il loro stile hanno ispirato gran parte dell’edili­zia monumentale dell’Europa nel seicento, passando per l’opera di Baldassarre Longhena e a volti meno noti dell’ar­chitettura del tempo come l’autore del Duomo nuovo di Bre­scia Giovanni Battista Lantana.

Andrea M. Campo

Castel San Pietro risorge «Cantiere entro l’anno»

Castel San Pietro risorge «Cantiere entro l’anno»
Martedì 13 Ottobre 2009 CRONACA Pagina 8 - L'ARENA

FONDAZIONE CARIVERONA. Illustrato nella sede di via Forti il progetto per il recupero dell’ex caserma austriaca

La ristrutturazione costerà tra i 12 e i 15 milioni. Altri 3 per il ripristino della funicolare. Previsti due anni di lavori

Dopo l’abbandono e il degrado, ecco la risurrezione di Castel San Pietro, che verrà trasformato in museo d’arte moderna e contemporanea. Nella sede della Fondazione Cariverona, che nell’ottobre del 2006 acquistò dal Comune lo storico edificio per 11 milioni e 50mila euro, ieri, il presidente della Fondazione, Paolo Biasi e il progettista, l’architetto Stefano Gris, hanno illustrato il piano di ricupero. «Il progetto», sottolinea Biasi, «è frutto di tre anni di lavoro e il cantiere, se tutto va bene, potrà essere avviato entro la fine dell’anno».
Una buona notizia, quindi, per i veronesi che da decenni assistono con rassegnazione al declino dell’ex caserma austriaca, evidenziato nei giorni scorsi da un’inchiesta del nostro giornale.
Il costo dell’intervento di restauro conservativo e di costruzione delle nuove strutture, fanno sapere nella sede della Fondazione, in via Forti, andrà dai 12 ai 15 milioni di euro. Il progetto presentato ieri è costato un milione e 600mila euro. Dopo un ulteriore passaggio al vaglio della Sovrintendenza ai beni storici e architettonici, servirà l’approvazione finale da parte del Consiglio comunale. La Fondazione conta di avere in mano il permesso a costruire entro breve per poter cominciare i lavori per la fine dell’anno.
[FIRMA]CISTERNA VISCONTEA. A rallentare la progettazione, fa sapere l’architetto Gris, sono state le verifiche archeologiche che hanno portato al ritrovamento di un’enorme cisterna sotterranea di epoca viscontea, costruita tra il XV e il XVIII secolo, della quale si era perso il ricordo. «Anche tale struttura, profonda 18 metri e con una capienza di 3.500 metri cubi», spiega il progettista, «sarà visitabile e integrata in un percorso museale». In particolare, essa ospiterà un progetto multimediale sulla storia della città.
FUNICOLARE. I principali interventi, per la trasformazione in museo di Castel San Pietro, riguardano il restauro dell’edificio esistente, la cui struttura sarà mantenuta integra, la costruzione nella parte retrostante di una grande hall di ingresso interrata e il ripristino della funicolare, con la creazione della nuova stazione d’arrivo. La stazione di partenza, invece, sarà recuperata nella sua struttura attuale. Solo questa operazione costerà circa tre milioni di euro. «Abbiamo verificato la possibilità di rimettere in funzione tale mezzo di trasporto per raggiungere l’edificio e scartato l’ipotesi di un ascensore inclinato. Sarebbe stato uno stravolgimento dell’idea originale», osserva il presidente.
La progettazione della funicolare sarà completamente a carico della Fondazione. Il Comune, da parte sua, si è reso disponibile all’effettuazione di sopralluoghi lungo il percorso.
RISTORANTE. Attraverso la hall, dove si troveranno biglietteria, guardaroba, punto informazioni e bookshop, si accederà alle zone espositive collocate all’interno del corpo centrale dell’edificio, su tre livelli. Nelle due torri laterali, invece, ci saranno i servizi annessi al museo: aule didattiche, laboratori, sala conferenza e uffici. Sulla grande terrazza centrale, con vista panoramica sulla città, saranno costruiti un ristorante e una biblioteca-sala di lettura. Le terrazze panoramiche diventeranno luoghi per l’esposizione all’aperto.
HALL SOTTERRANEA. Al centro della hall, nella parte sotterranea di nuova costruzione, si vedrà la cupola in mattoni della cisterna viscontea, che dovrà essere svuotata dai detriti che la riempiono e resa agibile. Inoltre sulle mura della struttura sotterranea saranno aperte delle feritoie che consentiranno ai visitatori di vedere il paesaggio sottostante. Lì verrà costruita, mantenendo il basamento originale, anche la nuova stazione di arrivo della funicolare. Nella parte superiore ci sarà anche una caffetteria.
L’intera area esterna, piazzale, torri, terrazza centrale, ristorante e sala di lettura compresi, sarà accessibile a tutti. «Il progetto è stato pensato proprio per restituire ai veronesi un luogo importante e di grande suggestione», sottolinea l’architetto Gris.
Le antiche sale che ospiteranno le esposizioni d’arte saranno rigorosamente mantenute nella loro struttura. Vi troveranno posto le opere di proprietà della Fondazione, ma anche collezioni di privati che vorranno affidarle al nuovo museo cittadino.
L’architetto Stefano Gris, incaricato del progetto di ricupero di Castel San Pietro ha curato in passato il restauro dei Musei Civici Eremitani di Padova, del Teatro dei Risorti di Buonconvento e del museo sulla Grande guerra a Cortina d’Ampezzo.Martedì 13 Ottobre 2009 CRONACA Pagina 8

Nuovi scavi, chiude Lungadige Capuleti

Nuovi scavi, chiude Lungadige Capuleti
14 ottobre 2008, corriere del Veneto

I cantieri per il parcheggio La decisione per approfondire la presenza di ulteriori reperti archeologici

La soprintendenza ordina altre ricerche: tra due settimane blocco della strada

Lungadige Capuleti fra due settimane chiuderà al traffico per una decina di giorni: un provvedimento necessario per consentire un nuovo scavo archeologico nell’area dove si sta costruendo il parcheggio interrato. A richiederlo la Soprintendenza che vuole escludere del tutto la presenza di reperti importanti. La decisione è stata presa ieri mattina a Palazzo Barbieri, durante un incontro tra l’assessore alla Mobilità Enrico Corsi, la direttrice del nucleo operativo di Verona della Soprintendenza ai Beni Archeologici Giuliana Cavalieri Manasse e il presidente della Cooperativa Cangrande parcheggi Paolo Campion. Il nuovo scavo correrà perpendicolare all’argine dell’Adige per 15 metri, in direzione degli Uffici delle Entrate. Per la cooperativa che costruisce il parcheggio pertinenziale da 249 posti l’ennesimo rallentamento alla tabella di marcia dopo la scoperta, un anno fa, del muro medioevale che costeggia il fiume. Uscito dalla riunione, Campion ha stretto le spalle: «Guardiamo il bicchiere mezzo pieno. Sarebbe stato peggio essere bloccati fra due mesi, quando si sarebbero dovuti iniziare gli altri lavori in quella zona. Almeno così ci togliamo subito il pensiero». Un attimo e, poi, il presidente della Cangrande ha aggiunto a denti stretti: «Certo che con questo è già il terzo cronoprogramma dei lavori che siamo costretti a rivedere». Il nuovo saggio stratigrafico non dovrebbe portare alla luce (in teoria) nulla di interessante. Dal momento che una volta lì sotto passava il vecchio letto dell’Adige. I reperti, quindi, potrebbero limitarsi ad un mucchio di anfore riempite di terriccio e materiali di riporto: il sistema con cui i romani rinforzavano gli argini. È certo, invece, che il blocco del lungadige intorno al 28 ottobre sarà la prova generale in vista di quello ben più lungo (circa un anno) che scatterà con l’anno prossimo. Da gennaio, infatti, si inaugurerà la seconda fase del cantiere che prevede di scavare a ridosso dei palazzi. Nell’incontro di ieri si è parlato anche di un altro parcheggio, quello da 140 posti che la ditta Saccomani sta costruendo in piazzetta Arditi, a due passi da volto San Luca. Qui ben poche novità se non che la Soprintendenza ha assicurato che ridurrà al minino i tempi delle indagini archeologiche sul cimitero medioevale scoperto dagli scavi.

F.M.