venerdì 30 maggio 2008

VERONA - Goldin svela il «giallo» del Louvre

VERONA - Goldin svela il «giallo» del Louvre
Giovedì 29 Maggio 2008 L'ARENA

L’EVENTO CANCELLATO. L’organizzatore torna sul clamoroso annullamento. E si toglie qualche sassolino dalle scarpe, parlando anche di Van Gogh, Rodin e Boston
«A Brescia il museo ha rinunciato perché il Comune non ha dato garanzie sulle altre mostre». E a Verona il caso pare identico


La mostra del Louvre prevista in Gran Guardia dal 19 settembre al 15 febbraio sarebbe saltata perché la dirigenza del museo francese non avrebbe avuto garanzie sufficienti sul fatto che la rassegna dei suoi 140 quadri fosse la prima di un «pacchetto» con altre tre che Marco Goldin, direttore di Linea d’Ombra, aveva organizzato a Verona per i prossimi anni. Proprio come successo a Brescia per il museo di Santa Giulia, dove Goldin aveva messo in piedi (e già pubblicizzato con locandina, riprodotta ieri da L’Arena) dal 27 settembre al primo marzo 2009 la mostra «Da Leonardo a Ingres» con le opere del Louvre, saltata perché il Louvre non era certo che la propria rassegna sarebbe stata unita ad altre tre, promosse da Goldin con analogo pacchetto con Van Gogh, Rodin e Boston.
COME A BRESCIA. La sovrapposizione fra le due vicende nasce leggendo una nota che ha inviato Goldin al nostro giornale, in cui, dicendo di volersi astenere dal commentare la cancellazione della mostra di Verona, spiega le ragioni per cui anche a Brescia (dove in autunno ce ne sarà una su Van Gogh) era saltata la stessa mostra del Louvre. Il tutto riferito al nostro articolo in cui si diceva, fra l’altro, che «è la seconda volta che salta una mostra del Louvre di Linea d’ombra».
Il progetto «Da Leonardo a Ingres», scrive Goldin, «si sarebbe dovuto svolgere nel museo di Santa Giulia a Brescia nel prossimo autunno e venne evidenziato in quattro pagine all’interno del quaderno pubblicitario dedicato alla mostra America!, conclusasi poche settimane fa a Brescia. Progetto, in accordo con il Louvre, che era quasi lo stesso di quello previsto per Verona a partire dal prossimo 19 settembre, e a cui venne poi modificato il titolo, in accordo con il museo parigino, in ragione di un ampliamento del compasso storico e critico del progetto».
Goldin poi racconta l’iter: «In una riunione svoltasi a Brescia la mattina del 24 novembre 2007, ho informato i rappresentanti dei musei coinvolti nel progetto espositivo bresciano sui grandi musei del mondo di quanto segue: che la sola mostra sicura di aprirsi era la prima, quella dedicata al Louvre, e che le successive, dedicate ai musei di Boston, al Rodin di Parigi, al Van Gogh di Amsterdam e congiuntamente al Kröller-Müller di Otterlo», cioè le stesse proposte a Verona dopo il Louvre, «non avevano alcuna certezza di svolgersi, dal momento che la città di Brescia avrebbe eletto nella primavera successiva il nuovo sindaco, il quale avrebbe potuto cancellare il progetto. Questo a parte il Louvre, che sarebbe stato contrattualizzato legittimamente dalla amministrazione uscente».
Poi il passaggio sulla decisione del museo francese: «Avuta questa notizia mi è stata da tutti i presenti manifestata contrarietà, in primis dai conservatori del Louvre che non gradivano dare il via con una loro mostra a un programma che poi avrebbe potuto cessare subito. Ho allora informato i rappresentanti dei musei, in quella stessa riunione, di una proposta che mi era giunta dalla città di Verona, per avviare un importante progetto espositivo quadriennale e ho chiesto il loro gradimento sull’eventuale nuova sede. Determinatosi senza indugio un giudizio positivo da parte loro su Verona, nelle settimane successive sono iniziati i contatti preliminari con i musei coinvolti».
L’INCERTEZZA. Il Comune di Verona, nonostante la spedizione di Goldin a Parigi, Boston e Amsterdam (con assessore alla cultura Perbellini al seguito, ma solo a Parigi) per presentare le opere del pacchetto di quattro mostre, sinora aveva dato come certa solo la mostra del Louvre. Già questa costosa, nove milioni di euro; esporsi quindi per analoghe cifre su altri tre eventi era stato ritenuto al momento improponibile. Seppure per motivi diversi, quindi, pare proprio la stessa circostanza di Brescia.
Goldin quindi dice di avere «ovviamente informato immediatamente l’allora sindaco di Brescia, Paolo Corsini, il presidente della Fondazione Cab, Alberto Folonari, e il presidente della Fondazione Brescia Musei, Agostino Mantovani, della volontà dei cinque musei di non impegnarsi a Brescia in un progetto che avrebbe potuto abortire dopo il primo anno e senza alcuna garanzia di prosecuzione stante l’elezione del nuovo sindaco. Con molto rammarico essi hanno preso atto della cosa e per questo sono stato invitato a formalizzare un nuovo progetto di mostra per l’autunno 2008 a Santa Giulia. Cosa che ho puntualmente fatto, con la serietà e la professionalità che da oltre dieci anni contraddistingue la storia di Linea d’ombra e che tutti i musei del mondo, Louvre in testa, ci riconoscono».
Professionalità, conclude Goldin, «che emerge anche dalla parte finale del comunicato stampa redatto a Parigi, con la direzione del Louvre la mattina del 22 maggio scorso e inviato ai giornali dalla nostra sede di Treviso».E.G.

VERONA - Area San Giacomo, rata da 15 milioni

VERONA - Area San Giacomo, rata da 15 milioni
di Enrico Giardini
giovedì 29 maggio 2008 cronaca pag. 10 L'ARENA

URBANISTICA. Approvata dalla Giunta la vendita del fondo rustico di Casa Pozza a San Martino Buon Albergo, il luogo dov’è nato e cresciuto il vescovo Zenti

Il Comune entra in possesso anche della seconda metà dell’area San Giacomo di Borgo Roma e potrà cominciare in quella i lavori per ricavarvi un parco pubblico, come già avvenuto per la prima metà, pagata 7,5 milioni di euro, già proprietà del Comune. Palazzo Barbieri ha infatti firmato il contratto preliminare con la Provincia e pagato la tranche di 15 milioni di euro per acquisire la seconda metà, che costa 26 milioni. Il Comune ne diventerà proprietario quando avrà versato anche le altre due tranche, di 6 milioni (l’anno prossimo) e di 5 (nel 2010).
Lo annuncia l’assessore comunale al patrimonio, Daniele Polato, che ieri ha fatto approvare in giunta anche la delibera di vendita, con asta pubblica, di un terreno comunale di 44.228 metri quadri del fondo rustico Casa Pozza, in Comune di San Martino Buon Albergo. Nel luogo dov’è nato e cresciuto il vescovo, Giuseppe Zenti. Il valore a base d’asta è di 6 milioni 634.200 euro, con rilancio iniziale obbligatorio non inferiore a un milione 327mila.
Con il medesimo provvedimento la giunta ha anche approvato di rimpinguare il Lascito Forti, di cui fa parte il fondo rustico in vendita, con immobili di pari valore e rendita, così come previsto dal regolamento dell’Eredità Achille Forti. Al Lascito verranno assegnati 49 alloggi di proprietà comunale, di cui 38 in via Campofiore e 11 in via Friuli, e 7 box auto.
«L’operazione immobiliare, oltre a consentire al Comune di incamerare fondi alienando un terreno che non produceva utili, presenta una duplice connotazione sociale: prima di tutto, a differenza della precedente amministrazione che ha venduto fondo Frugose senza assegnare il controvalore corrispondente, abbiamo provveduto a ripianare con equivalenti risorse il Lascito Forti, per ricostituirne la redditività e valorizzarne la finalità sociale, secondo quanto previsto dalle disposizioni testamentarie».
In pratica, con gli affitti ricavati dalla gestione dei 49 immobili, il Comune garantisce al Lascito Forti un proprio reddito, derivante da un patrimonio. Inoltre, prosegue Polato, «in accordo con il Comune di San Martino l’aggiudicatario del lotto, che ha destinazione urbanistica residenziale, avrà l’obbligo di costruirvi una struttura per servizi sociali che verrà assegnata all’Aias, l’Associazione italiana assistenza agli spastici».

Verona. Si fa subito Boston?

Verona. Si fa subito Boston?
Marco Vitale
La Cronaca di Verona e del Veneto 29/5/2008

Goldin punterebbe adesso ad anticipare la mostra “americana”, sperando che il Comune realizzi quella sul Louvre il prossimo anno. Stoppata seccamente ogni ipotesi su Daverio. Tosi a Parigi. Confermato l’aumento del ticket d’ingresso per i bus turistici

Come venirne fuori? Capovolgendo le date. L'ultima indiscrezione sull'operato del vulcanico Marco Goldin è questa: tenterà di anticipare a quest'anno la mostra (previsto nell'ottobre del 2009) con l'allestimento del Museum of Fine Art di Boston che invierebbe a Verona 150 pezzi tra quadri e reperti archeologici. E il Comune (attenzione: il Comune) tenterà di spostare (se ci si riuscirà) all'anno prossimo quella sul Louvre, clamorosamente cancellata nei giorni scorsi (con una lettera al sindaco che avrebbe toni durissimi nei confronti di Goldin). Il ministro della Cultura, Sandro Bondi, verrà in Veneto entro breve tempo, per parlare personalmente anche di questi temi, assieme al suo consigliere Alain Elkann. "Divieto di accesso"" invece per Philip Daverio: che a Roma e a Venezia (con Giancarlo Galan e col suo portavoce, Franco Miracco) avrebbero visto bene in riva all'Adige, ma di cui a palazzo Barbieri non vogliono neppure sentire parlare (ieri mattina, in giunta, Tosi non l'ha mai neppure citato, in una relazione accolta senza il minimo dissenso dagli assessori presenti). Tosi ha anche confermato che andrà a Parigi, forse già entro una settimana, per tentare appunto di riprogrammare l'evento il prossimo anno. Il sindaco ha rassicurato poi tutti, spiegando che ilComune non ha sborsato e non sborserà una lira per la mostra annullata. Confermata invece l'ipotesi d'aumento dei costi d'ingresso in città per i pullman, anche senza Louvre in Gran Guardia. Tornando alla mostra di Boston, lo stesso Goldin l'aveva presentata come "una piccola enciclopedia del museo che comprenderà oltre ai dipinti anche sculture, oggetti, tessuti asiatici, pezzi di arte americana, più una piccola sezione dedicata alle antichità egizie, 35 pezzi di grande pregio." Il museo americano ospita 400 mila pezzi e viene visitato ogni anno da circa un milione di visitatori.

giovedì 29 maggio 2008

NO REGIONALE ALLA CAVA PILASTRI DI COGOLLO DEL CENGIO

NO REGIONALE ALLA CAVA PILASTRI DI COGOLLO DEL CENGIO
Notiziario Marketpress di Giovedì 29 Maggio 2008

Venezia, 29 maggio 2008 - La Giunta veneta, su proposta dell’assessore agli investimenti strategici Renato Chisso, ha negato l’autorizzazione all’apertura e coltivazione della cava di marmo, denominata “Pilastri”, nel Comune vicentino di Cogollo del Cengio. “La decisione – ha ricordato Chisso – è stata presa tenuto conto delle motivazioni espresse all’unanimità dalla Commissione Tecnica Regionale per le Attività Estrattiva”. Quest’ultima ha rilevato tra l’altro la necessità di salvaguardare un ambito considerato ambientalmente e paesaggisticamente vincolato, dove esistono elementi di valorizzazione storica riferiti alla Grande Guerra, e ha tenuto conto delle esigenze di una rigorosa salvaguardia dell’ambiente in tutte le sue diverse componenti. .

mercoledì 28 maggio 2008

Vetro e acciaio al Palazzo della Ragione. Scarpa: «Alle follie non c'è fine»

VERONA - Vetro e acciaio al Palazzo della Ragione. Scarpa: «Alle follie non c'è fine»
Martina Zambon
Corriere di Verona, 28 maggio 2008

«Ferro e acciaio», copertura standard da abbinare a un manufatto antico, ecco la proposta del sindaco Flavio Tosi per «allargare» Palazzo della Ragione e renderlo accessibile a grandi masse di visitatori. «Ma ne parleremo prima con la Soprintendenza». Una decisione che cozza, nuovamente, con l'opinione del progettista del restauro dell'edificio, Tobia Scarpa. «Se lo si considera un vero e proprio monumento lo si lascia integro, se, al contrario lo si mercifica, allora, spazio alla copertura in vetro e acciaio del cortile del Mercato Vecchio. Questo è tipico della psicologia del popolo veronese. Quello era uno spazio coperto da meravigliose volte quattrocentesche che, a un certo punto, si è deciso di demolire. Ora si vuole tornare alla carica costruendo una struttura di vetro e acciaio, a quanto dice il sindaco Tosi, per coprire nuovamente il cortile. Alle follie non c'è fine». La soluzione, secondo il sindaco scaligero, potrebbe con-
sentire di ovviare alle dimensioni del palazzo e di utilizzare l'area del cortile del Mercato Vecchio come atrio per le migliaia di persone attese agli eventi espositivi che dovrebbero poi accedere all'edificio dalla Scala della Ragione. Un intervento incisivo, o invasivo, a seconda della scuola di pensiero del restauro che, però, non convince l'architetto Scarpa. «Questa è violenza intellettuale che ritrovo nello spirito leghista - aggiunge Scarpa - Nel senso di luoghi in cui non c'è spazio per il ragionamento. Mi ricorda un po' le dinamiche degli anni successivi all'Unità d'Italia. Visto che non c'era più la necessità di avere delle mura difensive, vennero demolite cinte murarie antiche in tutta Italia. Ecco, queste cose continuano ad accadere sotto altre forme. Chi ha studiato il passato ha forse capito la lezione, in questo caso chi insiste a farlo è colpevole di non sapere». Palazzo della Ragione era già stato recentemente pomo della discordia per le critiche dell'amministrazione: pochi ascensori e, appunto, un atrio angusto. Critiche già respinte al mittente dal progettista: «Si tratta di un palazzo di fine 1100, già abbiamo fatto miracoli a liberare gli spazi che abbiamo liberato».

Montegrotto Terme: i Veneti Antichi e i Veneti di oggi

Montegrotto Terme: i Veneti Antichi e i Veneti di oggi

Gli antichi confini della città inquadrati dagli studiosi

Il Giornale di Vicenza, Mercoledì 28 Maggio 2008
STORIA. Gli atti del convegno “Terra Baxani”
Cittadella “ruba” terreni a Bassano Ma è solo nei libri
Gli antichi confini della città inquadrati dagli studiosi

«Sos, Bassano sta perdendo il suo territorio storico». Quella che costituiva la “terra Baxani” prima dell’anno Mille, vale a dire l’area che gravita attorno ai comuni di Rosà e Tezze, sta infatti per essere fagocitata da Cittadella, che di fatto l’ha inquadrata come “sua” nel volume di recente uscita che ne racconta la storia.
È questo il messaggio emerso nell’antica chiesa di San Pietro in Paerno, dove sono stati presentati gli atti del convegno “Terra Baxani. Bassano prima del Castello”, svoltosi 2 anni fa.
L’iniziativa è a cura del “Comitato di paese di San Pietro in Paerno”, associazione che, nella sua denominazione, recupera il vecchio nome del borgo e che sta lavorando per fare luce sul territorio bassanese prima dell’undicesimo secolo, prima cioè del nascita di Bassano, partendo dagli scavi archeologici che da qualche tempo stanno interessando proprio l’area rosatese.
Il volumetto di 128 pagine, stampato dalla tipografia Scriptorium di Vicenza con la consulenza grafica di Piera Chiuppani, riporta gli interventi di Stefano Zulian “Tra archeologia e medievistica. Bassano prima del castello”, del prof. Paolo Miotto su “I rapporti dell’Abbazia di S. Pietro e S. Eufemia di Villanova con il Bassanese”, del prof. Stefano Tonietto sui “Siti di interesse storico e archeologico a Rossano Veneto” ed infine del prof. Giordano Dellai, che è stato l’autore di un saggio su “Friola e la Destra Brenta dalle origini al tredicvesimo secolo”. Durante la serata gli storici autori hanno contribuito ad inquadrare meglio l’area di Bassano in età altomedievale: un’area prettamente agricola e boschiva, che aveva il suo centro nella stessa chiesa di S. Pietro in Paerno, e che confinava ad ovest con Cartigliano e Friola, cui si accedeva attraverso il guado sul Brenta, e ad est con Rossano, spesso impegnata in annose e tribolate questioni di diritto di proprietà con i confinanti comuni di Pove e di Bassano, a sud con l’area padovana dove nel 1220 sarebbe sorta Cittadella, e a nord con l’area di Margnano, dove si trovavano la pieve e il castello.
Anche grazie alle domande degli spettatori, Zulian, Miotto, Tonietto e Dellai hanno sottolineato l’importanza per Bassano di non lasciarsi privare di un territorio che ne rappresenta le origini storiche, ma anzi di valorizzarlo attraverso ricerche documentaristiche ed indagini archeologiche. G.D.

lunedì 26 maggio 2008

Verona e la stagione delle occasioni perdute

Verona e la stagione delle occasioni perdute
Maurizio Cattaneo
Sabato 24 Maggio 2008 L'ARENA

C’erano già oltre 40mila prenotazioni, con un probabile traguardo a 500mila visitatori. Facendo un po’ «i conti della serva», e dunque ipotizzando una spesa media di 50 euro a testa, si arriva a 25 milioni di euro tra mostra e indotto per Verona: 50 miliardi delle vecchie lire. Non solo: già ora, all’inizio della campagna mediatica, ciò che emergeva era un messaggio positivo di Verona come «città delle grandi mostre». E, quanto la nostra città abbia bisogno di immagine positiva, lo abbiamo ben scoperto in questi giorni.

Eppure, al di là di queste premesse, il triste tramonto del progetto Louvre-Goldin, non ci coglie di sorpresa e ci fa dire: «meglio che questo bubbone sia scoppiato subito».

Molte infatti erano state le preoccupanti avvisaglie: intanto una serie di annunci precoci, quasi a voler gettare inopinatamente il cuore oltre l’ostacolo; poi la difficoltà di trovare collocazione e fondi in una città che già dall’inizio sembrava mal digerire l’operazione; infine le polemiche francesi sull’opportunità di far uscire dal Louvre opere così importanti.
E allora che dire oggi? Intanto certamente un po’ di improvvisazione vi è stata a cominciare da Goldin, sino al Comune e al Louvre. Sarà dipeso anche dall’entusiasmo, ma simili progetti vanno pianificati con cura. E fin dall’inizio concordati con le categorie e costruiti su solide fondamenta finanziarie.

Ma ora che questo epilogo dà ossigeno ai nemici dell’operazione Goldin, noi, senza prender parte alcuna nella disputa, diciamo però che tutto questo non deve significare un mero ritorno al passato. Verona merita di avere un progetto «grandi mostre» di forte attrattiva; merita una strategia culturale di ampio respiro che dia ossigeno e visibilità all’eccezionale patrimonio scaligero.
Certo, non si deve scegliere la facile e sterile strada del cosiddetto «supermarket» della cultura, ma nemmeno nascondere la debolezza creativa e di strategie dietro la maschera snob di un’idea dell’offerta artistica elitaria e per pochi.
Dunque paradossalmente è proprio il fallimento del progetto Louvre-Goldin che deve spingere ancor più il Comune ad imboccare strade nuove e coraggiose.

domenica 25 maggio 2008

VERONA - Troppi ritardi, salta la mostra del Louvre

VERONA - Troppi ritardi, salta la mostra del Louvre
Enrico Giardini
Sabato 24 Maggio 2008 L'ARENA

COLPO DI SCENA. A quattro mesi dall’inaugurazione del 19 settembre i francesi scrivono a Goldin e al Comune e annullano tutto. Ecco perché

Il museo parigino ritira il prestito: non ci sono le garanzie necessarie per portare i 140 capolavori
Il rammarico è profondo e l’impatto è negativo ma andiamo avanti

Adieu, adieu, addio, buonanotte capolavori del Louvre alla Gran Guardia. O forse au revoir, arrivederci. Ma poco cambia, perché una cosa è certa: salta la grande mostra con i capolavori del museo di Parigi, promossa dal Comune e organizzata dalla società Linea d’Ombra del trevigiano Marco Goldin, in programma dal 19 settembre al 15 febbraio alla Gran Guardia.
Il Louvre non concede le 140 opere promesse a Verona, fra cui «La Belle Ferronière» di Leonardo da Vinci, il celebre «Ritratto di giovane» dipinto da Botticelli, oltre ad altri dipinti di Tiziano, Paolo Caliari detto «Il Veronese», Raffaello, Rembrandt, Goya, Rubens, Poussin, Tintoretto, Guercino, Riberia. «Il Louvre. Capolavori a Verona. Leonardo, Raffaello, Rembrandt e gli altri. Ritratti e figure»: questo il lungo titolo della mostra, già pubblicizzata in tutta Italia, presentata a Verona e a Milano e con già 40mila prenotazioni.
Una parata di capolavori mai usciti dalla Francia, il che fra l’altro aveva provocato le ire del quotidiano francese Liberation che aveva contestato il prestito della «Belle Ferronnière» a Verona. A metà giugno, fra l’altro, era previsto alla Gran Guardia il via ai lavori per mettere a norma il palazzo per ospitare grandi mostre (oltre a quella del Louvre ne erano previste altre tre, nei prossimi anni). Una scadenza fissata in agosto e poi anticipata al 7 giugno, quindi al 14, provocando comunque le ire degli organizzatori di congressi in Gran Guardia, in giugno, luglio, agosto e settembre, fissati da anni.
La notizia dello stop alla mostra di Goldin è stata diffusa con uno stringato comunicato di Linea d’Ombra. «Allo stato attuale, il tempo a disposizione si rivela ormai troppo breve per l’organizzazione di questa importante esposizione, tenuto conto dei lavori da realizzare e dell’insieme delle condizioni tecniche, amministrative e giuridiche necessarie per garantire l’arrivo, la sicurezza e la conservazione dei capolavori», dice il testo. «Il Museo del Louvre non può pertanto accordare i prestiti promossi e si rammarica per questa situazione, conoscendo la qualità delle passate collaborazioni fra Marco Goldin e i grandi musei internazionali».
Ieri il sindaco Flavio Tosi ha parlato con il direttore del Louvre, Henry Loyrette, con il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi e con Alain Elkann, suo consigliere al ministero, oltre che con lo stesso Goldin. «Ho parlato con Loyrette», commenta Tosi, «il quale mi ha garantito che intende continuare il progetto di collaborazione fra Louvre e Verona e per questo mi ha invitato a un incontro, quanto prima, a Parigi. Non escludo che si possa in futuro organizzare un’altra mostra del Louvre, anche ridotta. È chiaro, però, che il rammarico c’è e l’impatto è negativo». Tosi fa sapere che i lavori per mettere a norma la Gran Guardia per le mostre partiranno comunque, magari slittando a fine mese per consentire, così, parte dei congressi previsti di svolgersi.
Sindaco, la mostra aveva 40mila prenotazioni: non teme una figuraccia? «Dal punto di vista amministrativo abbiamo fatto i salti mortali per ottenere i soldi e li avevamo», dice Tosi, alludendo ai 9 milioni di euro necessari (4,5 messi dal Comune) di cui quattro solo per affittare le opere, «portandoci avanti anche senza produrre gli atti amministrativi, proprio perché credevamo nel progetto. I tempi comunque erano giusti», prosegue Tosi, «visto che avremmo cominciato i lavori in Gran Guardia in giugno, anche pensando alle prossime mostre. Siamo stati eletti un anno fa e siamo stati coraggiosi, dopo qualche mese, a mettere in piedi un programma così».
Ora cosa succederà in Gran Guardia? «Potremmo anticipare una delle tre prossime mostre, per esempio a novembre. Noi con le grandi esposizioni vogliamo andare avanti, ecco perché abbiamo il cambio di regolamento per consentire l’accesso ai contributi».

Il Louvre: "Verona non è pronta" salta la mostra dei capolavori

VERONA. Il Louvre: "Verona non è pronta" salta la mostra dei capolavori
Armando Besio
La Repubblica, 24.5.2008

SALTA la grande mostra che avrebbe dovuto portare a Verona, dal 19 settembre, al Palazzo della Gran Guardia, 140 capolavori del Louvre, in prima fila la Belle Ferronière di Leonardo. E si spezza, almeno per ora, il sogno del giovane sindaco leghista Flavio Tosi di trasformare la città dell’Arena e di Giulietta e Romeo in una capitale del turismo artistico di massa. Con questo obiettivo Tosi aveva da pochi mesi ingaggiato Marco Goldin, il curatore e imprenditore trevigiano che negli anni scorsi, a colpi di grandi esposizioni dedicate in prevalenza agli Impressionisti, a Gauguin e a Van Gogh, aveva proiettato prima Treviso e poi Brescia ai vertici del blockbuster nazionale.
E’ stato lo stesso Goldin, reduce da un vertice parigino con i dirigenti del Louvre, ad annunciare ieri la notizia. «Purtroppo la città - spiega Goldin - non è stata capace di attrezzarsi per tempo. E a questo punto non c’erano più i tempi tecnici per andare avanti». In parole più chiare: «I problemi erano due: il primo, costituire una Fondazione Musei, sul modello di Brescia, che consentisse di accelerare i tempi, altrimenti insostenibili, della burocrazia comunale. Il secondo, legato al primo, l’adeguamento tecnico della Gran Guardia: i lavori di messa a norma impiantistica non sono neanche iniziati mentre il Louvre pretendeva che fossero finiti entro giugno».
Il sindaco Tosi si dice «profondamente rammaricato», pro mette che il programma di grandi mostre proseguirà, dice che il direttore del Louvre gli ha assicurato «la volontà di continuare il progetto». Quante alle critiche di Goldin, Tosi ammette i ritardi ma sostiene che la mostra si sarebbe potuta comunque realizzare: «I lavori alla Gran Guardia sarebbero iniziati il 27 maggio per concludersi l’8 agosto, più di un mese prima dell’inaugurazione».
Deluso Goldin: «È la prima volta che una cosa del genere mi capita in tanti anni, ed è doppiamente dolorosa dato che la perfezione dell’organizzazione è sempre stata un mio dogma».
Il progetto presentato da Goldin a Tosi prevedeva quattro grandi mostre fino al 2011 in collaborazione con alcuni tra i principali musei del mondo: dal Rodin di Parigi al FineArts di Boston al Van Gogh di Amasterdam. A Verona, c’è chi sospetta che il dietrofront del Louvre sia in realtà figlio delle polemiche scatenate da più parti in Francia contro il museo, accusato - dopo l’accordo milionario per l’apertura di una sede a Dubai - di attuare una politica interessata più all’argent che alla cultura.
La mostra saltata ieri sarebbe costata 9 milioni di euro. Una cifra imponente, raccolta attraverso una joint venture tra il Comune, la Fondazione Cariverona, la società di Goldin "Linea d’Ombra" e diversi sponsor, tra cui l’industriale alimentare Rana. Verona, grazie all’Arena, a Giulietta e Romeo e al suo patrimonio di chiese e musei, è già la quarta città turistica d’Italia; ma soffre di tempi morti - in autunno e inverno - che le mostre avrebbero dovuto riempire. L’appuntamento è rinviato alla prossima stagione.

Detta "Madonna dei Guidi di Faenza", la "Madonna col Bambino" fu dipinta da Botticelli tra il 1465 e il 1470: è una delle opere più celebri che non arriverà a Verona
Dipinta da Tiziano intorno al 1515, la "Donna allo specchio" è un altro dei capolavori che il museo parigino si è rifiutato di prestare a Verona

IL DÉPLIAN. Già pronta la locandina della mostra che avrebbe dovuto tenersi
tra settembre e febbraio a Verona. Centomila le prenotazioni
I DUE MUSEI. Il Louvre si era impegnato a prestare i suoi capolavori al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Ieri ha deciso di annullare la mostra

Bellotto & Canaletto, due veneziani a Torino

l’Unità 25.5.08
Zio e nipote, maestri nel genere delle vedute, per la prima volta faccia a faccia in una mostra
Bellotto & Canaletto, due veneziani a Torino
di Ibio Paolucci

Lo zio e il nipote: faccia a faccia, per la prima volta, in una mostra. Tutti e due vedutisti, tutti e due veneziani, tutti e due fra i maggiori artisti del Settecento europeo. Lo zio, Antonio Canal detto il Canaletto, nacque a Venezia il 28 ottobre 1697, figlio di Bernardo, pittore scenografo. Ma presto lasciò la guida del padre, dedicandosi al genere di pittura che gli avrebbe portato fortuna e che lo avrebbe fatto diventare un grande maestro e l’astro più luminoso del vedutismo veneziano.
Il nipote, Bernardo Bellotto, nato a Venezia il 20 maggio 1722, fregiatosi anch’esso del titolo di Canaletto, ebbe come primo maestro lo zio, dal quale ricevette preziosi insegnamenti e, da lui, all’inizio, apprese un eguale modo di dipingere, uno stesso stile, tanto che molti quadri vennero attribuiti, indifferentemente, sia all’uno che all’altro. Ben presto, tuttavia, il Bellotto seppe trovare una sua strada, molto personale e diversa da quella dello zio. Diversi anche i percorsi. Mentre il Canaletto, con l’eccezione di una parentesi londinese, rimase sempre nella sua citta natale, il Bellotto, ancora giovanissimo, poco più che adolescente, cominciò a girare per l’Italia e per l’Europa, facendo tappa a Roma, Firenze, Milano, Torino, Vienna, Dresda, Monaco, per poi fermarsi per una diecina di anni a Varsavia, dove cessò di vivere il 17 novembre del 1780.
A tutti e due è dedicata una magnifica rassegna in corso a Torino: centodue le opere fra dipinti e disegni prestate da collezionisti privati e da musei di tutto i mondo (ben 22 i pezzi provenienti da Londra, dalla Royal Collection). Quel genere di pittura, naturalmente, non è nato con loro anche se con loro e con Francesco Guardi è stato portato alla perfezione. Prima di loro Giuliano Briganti parlò di un disegno dell’olandese Gerard Ter Borch il Vecchio, la cui veduta della via di Santa Sofia, del 1609, rivela «un rigore ed un’obiettività che non esiterei a definire canalettiana». E dell’Olanda del Seicento è pure quella superlativa veduta di Delft firmata da Vermeer, considerata da André Gide il più bel quadro del mondo. Non molto prima di loro, per non parlare di altri, operò in Italia Gaspard van Wittel (1653-1736), le cui vedute godettero dell’ammirazione dello zio e del nipote. Epperò le stelle più brillanti furono loro. Charles de Brosses, nel 1799, scrisse nel suo libro sull’Italia che il Canaletto, nel genere delle vedute, «supera tutto ciò che è mai esistito», osservando, fra l’altro, «che gli inglesi hanno viziato a tal punto qesto artista offrendogli per i suoi quadri tre volte di più di quanto ne chiede egli stesso, che non è più possibile comprare nulla da lui». La Venezia dei due artisti, pur avviata sul viale del tramonto, poteva ancora fregiarsi del titolo di «Serenissima» e anche di «Dominante». Napoleone e il trattato di Campoformio, che tante lacrime fece versare a Ugo Foscolo, non erano alle porte. Venezia era ancora una grande potenza, il cui splendore era oggetto delle opere degli artisti. Ma del Bellotto sono pure famosissime le vedute di altre città italiane ed europee. E mentre nel Canaletto si trova una luminosità calda, armoniosa, quasi sensuale, per dirla con Rodolfo Pallucchini, nel Bellotto il segno è più concreto, soprattutto più vero, più portato a esaltare, con razionale verità, i dettagli della realtà. Più intensa e trasparente la luce, maggiore il gusto narrativo, al punto che Roberto Longhi, forzando un po’ la mano, allaccia il suo linguaggio a quello dei grandi scrittori russi dell’Ottocento. Più pertinente, forse, è il rapporto delle opere dei due veneziani con l’universo dell’Illuminismo, inteso come comprensione della realtà attraverso il lume della ragione, e, se si pensa alla musica, con le sublimi armonie di Mozart. Di entrambi, comunque, è la estrema cura dei particolari, sia pure illuminati con luce diversa. Bellotto, distaccatosi dallo zio già nelle giovanili vedute lombarde (splendide quelle della Gazzada del 1744, quando ha da poco compiuti i vent’anni) e in quelle piemontesi (superba la veduta sul Po della Sabauda del 1745), perverrà ai vertici della sua arte nelle vedute di Vienna, Dresda, Varsavia. Di Dresda, in particolare, colpita a morte nel febbraio del ‘45 da un barbaro e inutile bombardamento aereo inglese che provocò oltre centomila morti, non si cesserebbe mai di guardare le ammirevoli, affascinanti vedute della città di allora.

mercoledì 21 maggio 2008

Paesaggio in pericolo - Cerro. La bocciatura non ferma il raddoppio della cava

Paesaggio in pericolo - Cerro. La bocciatura non ferma il raddoppio della cava
di Vittorio Zambaldo
martedì 20 maggio 2008 provincia pag. 27 l'Arena

La maggioranza ha approvato l’ampliamento dei «Due cerri»: previsti quattro lotti da completare in dieci anni, con tutti i ripristini

Il Consiglio comunale ha dato parere favorevole al raddoppio della cava «Due cerri», nonostante la valutazione contraria della Commissione edilizia e un piano cave del Comune, adottato quattro anni fa, che escludeva esplicitamente questa possibilità. «Sono state fatte valutazioni attente nella maniera più serena possibile», ha spiegato il sindaco Luca Scala introducendo l’argomento e ripercorrendo la storia della cava, aperta nel 1998 e che dovrebbe concludersi nel 2013.

Nel marzo 2007 la Commissione edilizia ha espresso parere negativo alla richiesta di ampliamento presentata nel dicembre precedente, sia per il vincolo PAESAGGISTICO, sia per problemi legati alla viabilità.

Ma due mesi dopo il geologo Enrico Nucci, lo stesso che aveva redatto il piano cave comunale dove era escluso ogni ampliamento, ha prodotto una relazione in base alla quale i vincoli da lui stesso individuati tre anni prima non erano poi così tassativi da dover escludere l’attività estrattiva.
È stato affidato al geologo Roberto Zorzin l’incarico di rilevare l’area di cava per verificare se quanto scavato corrispondesse all’autorizzazione. «Ho eseguito l’incarico trovando un solo cippo divelto, particolare non molto importante», ha riferito Zorzin in Consiglio, «valutando in 71.700 metri cubi il materiale già scavato».
La richiesta è di raddoppiare l’area di cava per complessivi 590 mila metri cubi in quattro lotti successivi, da terminare in dieci anni dal momento dell’autorizzazione, ricomponendo al termine di ogni lotto il prato e il bosco e eliminando la decina di gradoni prevista dal precedente progetto di ripristino per arrivare a realizzare piccole balze con pendenza massima del 30 per cento, riportando poi bosco e pascolo com’è ora: un progetto migliorativo, rispetto a quello di ripristino già approvato, secondo il sindaco e i geologi interpellati.
I vincoli posti dal Consiglio comunale per dare parere favorevole all’ampliamento, in deroga al piano cave esistente, riguardano lo smaltimento delle acque; l’introduzione di nuovi punti fissi per la misurazione; il mantenimento ottimale della strada comunale usata dal traffico da e per la cava; di non avviare un lotto se prima non viene ripristinato quello esaurito e di preservare la cengia naturale presente nel vajo.
«È una decisione molto grave», ha attaccato Andrea Bombieri, della minoranza, «perché contraddice il piano cave e scavalca il no della commissione edilizia e perché erano stati due gli estensori del piano ma solo uno è stato interpellato».
Dallo stesso gruppo Riccardo Fornalè ha aggiunto: «È una dimostrazione di scarsa sensibilità ambientale che non porta nessun vantaggio alle collettività, ma solo danni e favorisce solo una famiglia». Il riferimento era a Davide Scala, consigliere di maggioranza, uscito dall’aula durante la discussione, la cui famiglia ha presentato il progetto di ampliamento.
Il sindaco ha precisato che avrebbe seguito la stessa procedura se la richiesta fosse arrivata da qualsiasi altra persona e ricordato che alla collettività ritornerà un valore aggiunto dall’attività di scavo, oltre all’allargamento della strada. Soldi che Fornalé calcola sufficienti appena a sistemare la strada dissestata dal passaggio dei camion. L’ampliamento è stato adottato con i voti favorevoli della maggioranza, l’astensione di Giancarlo Mandarà della lista «Comitato nuovo Cerro» e i voti contrari dei consiglieri di «Vivere Cerro», Bombieri e Fornalè.

martedì 20 maggio 2008

Le terre di Bassano prima del Castello

Il Giornale di Vicenza, Martedì 20 Maggio 2008
INCONTRI /2. STASERA A SAN PIETRO DI ROSÀ
Le terre di Bassano prima del Castello
Pubblicati gli atti del convegno che mette a fuoco la storia del territorio prima del Mille

Che cosa c’era nel territorio di Bassano prima di quel fatidico 998 che segna la sua nascita ufficiale? Una chiave di risposta sta nella presenza dell’antichissima chiesa di San Pietro in Paderno/Paerno a San Pietro di Rosà dove stasera alle 20.30 saranno presentati gli atti di una tre giorni di studio del territorio, svoltasi nell’aprile 2006 nella stessa chiesa, con sette interventi di storici e studiosi. “Terra Baxani. Bassano prima del Castello” era il titolo del convegno ed è quello degli atti, a cura del “Comitato di paese di San Pietro in Paerno”.
I contributi fanno luce sul territorio bassanese prima dell’XI secolo, prima cioè della nascita di Bassano partendo dagli scavi archeologici che da qualche tempo stanno interessando l’area rosatese ed estendendo lo sguardo ad aree limitrofe gravitanti nell’ambito bassanese.
In particolare il volumetto riporta gli interventi di Stefano Zulian “Tra archeologia e medievistica. Bassano prima del castello”, del prof. Paolo Miotto su “I rapporti dell’Abbazia di S. Pietro e S. Eufemia di Villanova con il Bassanese”, del prof. Stefano Tonietto sui “Siti di interesse storico e archeologico a Rossano Veneto” ed infine del prof. Giordano Dellai, autore di un saggio su “Friola e la Destra Brenta dalle origini al XIII secolo”. Ricerca documentaristica e scavo archeologico in una pubblicazione che stabilisce che nei secoli centrali del Medioevo tra Cartigliano e Rossano c’era un territorio conosciuto come Bassano (mentre il castello aveva sede in Margnano) e la sua chiesa era quella di San Pietro in Paerno. Notevole l’indagine della toponomastica e della viabilità, con un raffronto con il tempo presente. Il libro offre indizi e pone interrogativi, tra i quali il perché della scomparsa dal quadro agiografico bassanese dell’antico patrono, rimasto a rappresentare l’antichissima frazione di Rosà inserita al centro del reticolato della centuriazione romana dell’area pedemontana di sinistra Brenta.

La mano di Palladio

Il Giornale di Vicenza, Martedì 20 Maggio 2008
INCONTRI /1. PRESENTAZIONE A PALAZZO THIENE DELLA POPOLARE
L’indagine su Palladio di Portoghesi e Capellini
L’originale prospettiva dell’architetto e del fotografo nel libro “La mano di Palladio”

“La mano di Palladio", ovvero Andrea Palladio raccontato da Paolo Portoghesi e Lorenzo Capellini. Un famoso architetto e un maestro della fotografia italiana firmano insieme un'opera impegnata a indagare i motivi profondi di una storia umana e artistica tra le cui pieghe è possibile cogliere il segno di un'inventiva originale e potente, esaltata da un'acuta capacità di analisi e da un'inesauribile curiosità intellettuale.
Pubblicato dall'editore Umberto Allemandi, il volume sarà presentato oggi alle 18 a Palazzo Thiene, in Contrà San Gaetano. All' incontro parteciperanno Gianni Zonin, presidente della Banca Popolare di Vicenza, Dino Menarin, commissario straordinario della Camera di Commercio, Lia Sartori, presidente del Centro Internazionale Studi di Architettura Andrea Palladio, l'architetto Antonio Foscari, studioso di storia dell'architettura, proprietario di Villa Foscari - detta “La Malcontenta" - a Mira, e lo stesso Paolo Portoghesi, professore di Progettazione alla Facoltà di architettura dell'Università La Sapienza di Roma. Avvincente racconto a due voci, il volume attraversa con agilità e finezza i temi che maggiormente hanno caratterizzato lo spirito creativo del grande artista veneto: le tipologie, i modelli, gli studi sugli ordini architettonici, la loggia, il ruolo della decorazione, il culto del numero e delle proporzioni, il nesso tra architettura e musica, la capacità di pensare e immaginare l'architettura in termini ideali, la tecnica dell'intersezione degli spazi, la pietra e il mattone intonacato (il marmorino), il paesaggio, la gioia del cantiere, le sconfitte e il grande successo.
Duecentoquarantasei fotografie, scelte fra oltre cinquemila scatti, ci consegnano un profilo fresco e inusuale dell'attività palladiana. Una spontaneità e freschezza che accompagna ogni pagina del volume, il cui contributo critico agli studi su Palladio nasce da una frequentazione diretta delle sue opere. Spiega Portoghesi: «Esser vissuto per dieci anni a Venezia ed essere diventato nell'ultimo decennio una sorta di "architetto veneto", aver visto una sintesi del mio lavoro ospitata nella Basilica di Vicenza, mi ha convinto a rendere omaggio a una delle figure più celebrate e imitate, ma anche più fraintese della storia dell'architettura». M.V.

Un playboy nella Venezia del '700

Il Gazzettino, 20/05/2008, pagina 17
Nella "Raccolta de proverbii" del nobile decaduto Francesco Zorzi Muazzo, uno sguardo curioso alla quotidianità nella Serenissima
Un playboy nella Venezia del '700
Dalle partite a carte sulle donne nude alle bettole che Goldoni non ebbe il coraggio di raccontare
di Chiara Pavan

Quel «gran zarlatan de Carlo Goldoni» lo irritava nel profondo: «se giama reformador», in realtà «lo diravve distruttor del teatro comico venezian». Molto meglio i conti Gozzi, «l'uno dei quali se giama Gasparo, e l'altro Carlo, fradelli, per altro omeni onesti tutti e do e molto letterati». Anche lui, in fondo, si sente onesto e letterato nello svelare «le parti essenziali della mia prima morosa che gavea nome Zanetta. La gavea un bel musetto tondo e le più belle fattezze, una bella testa de cavei biondi e fini...le ganasse tanto de sotto quanto de sora piene, do sguardi intel viso che pareva do pomi da riosa, bellissima carnagion, denti de latte, un senato stupendo e lussurioso...».

Difficile sfuggire alla verve e alla vis dissacratoria del venezianissimo Francesco Zorzi Muazzo (1732-1775), nobile curioso, vivace e appassionato sciupafemmine che dedicò tutta la sua breve vita (morì a soli 45 anni) ad una immensa "Raccolta di proverbii, detti, sentenze, parole e frasi veneziane, arricchita d'alcuni esempii ed istorielle". Più di mille pagine - molte delle quali davvero piccanti - dalle quali affiorano volti, sguardi, ragionamenti spiccioli e di buon senso, modi di dire, ma soprattutto usi e costumi di un città osservata dal basso. Un mondo che si mescola ai ricordi personali, ai pettegolezzi, a pittoresche e esilaranti descrizioni di incontri, eventi, ambienti e angoli di un universo che Muazzo sentiva profondamente suo.

Più di «mille fogli volanti» finiti per caso nell'Archivio Storico di Venezia e infine approdati nelle mani di Franco Crevatin, docente di Etnolinguistica all'università di Trieste, che per cinque anni ha studiato, analizzato e rivisto il manoscritto concludendo il lavoro avviato dall'amico e collega Paolo Zolli, l'italianista che per primo aveva analizzato il testo negli anni Settanta. Curata da Crevatin, la "Raccolta" - pubblicata adesso dalla Fondazione Cini, Regione Veneto e Angelo Colla editore (69 euro) - rappresenta un imperdibile viaggio nella Venezia che Goldoni non ha voluto raccontare, «diciamo l'altra faccia del '700 cui non siamo abituati» conferma lo studioso che regala anche un utilissimo indice conclusivo per aggirarsi con facilità tra i "nomi di persona", le "cose notevoli" e i luoghi di Venezia segnalati da Muazzo. «Goldoni raccontava i popolani che non dicevano mai parolacce, osservava cicisbei o cavalieri serventi estremamente servili e cortesi. Una Venezia, per quanto artisticamente ricca e innovativa, per certi versi anche un po' stucchevole. Invece Checco Muazzo osserva la sua città senza fronzoli», le case in cui piove dentro, i rifiuti gettati dalla finestra, l'igiene sempre "poco igienica", le malattie, i mestieri, le osterie, senza temere le parole forti o le situazioni spinte. Basta sfogliare la "Raccolta" per imbattersi nella schiena nuda di una prostituta usata da tre amici come tavolo da gioco, oppure osservare la moglie tradita che evira il marito «castigandolo in quella parte ove el peccava». Ecco una candela "sadomaso" per amanti focosi, il parente che si distingue «a far el magnamarroni, o sia el ruffian», il bell'«andamento» delle dame mentre camminano, «che bel visin, che bel sestin e grazietta, e che da quel che se pol ricavar dall'esterno, che bella cosetta mollesina che la gaverà in mezzo le so culattine».

Il piglio è divertito e irriverente, il linguaggio esplicito e diretto: Muazzo ama Venezia, ma non chiude gli occhi davanti a ciò che non funziona. Denuncia e irride gli speculatori, gli imbroglioni, i corrotti (una voce che occupa diverse pagine), ricolizza medici ciarlatani, gli avvocati azzeccarbugli, prende in giro gli ipocriti, il clero, i supponenti, spiega come aggirare le norme amministrative della Serenissima. Muazzo si rende conto che i nobili, pur rubando come matti, la fanno sempre franca, mentre i poveri diavoli vengono sempre frustati come niente. «La Raccolta aiuta a rileggere la storia di Venezia - osserva lo studioso nella sua illuminante introduzione al testo (arricchita dalla biografia di Erica Uliana e dalla una nota sulla grafia di Muazzo di Ivina Gorra Gusmani) - E ci conduce per la città, ci porta al mercato, consiglia le migliori "fritole", indica le bettole dove il vino è buono o annacquato, i negozianti che truffano. Si tratta di un testo ricchissimo, che rappresenta anche un grande omaggio al dialetto di Venezia». Ma non va neppure dimenticata «la lettura umana» della "Raccolta". Muazzo è un uomo che ama pericolosamente il vino, le belle donne e il gioco d'azzardo, un playboy del tempo «che in un certo senso vive già nel futuro, l'epoca della rivoluzione francese». E da gran bevitore e frequentatore di osterie, Muazzo si mette spesso nei guai: risse, sbornie, scoppi d'ira, comportamenti violenti si susseguono per tutta la sua esistenza, e queste «gravi intemperanze» lo portano ad entrare ed uscire dagli ospedali, Santo Spirito e San Servolo, dove gli Inquisitori di Stato lo spediscono sempre con maggior frequenza e con la benedizione dei familiari. Eppure, tra una reclusione e l'altra, tra le malattie che lo provano - malattie veneree, le piattole, fino alla "febbre maligna e infiammazione delle viscere" (probabilmente cirrosi epatica) che lo uccide - Checco Zorzi Muazzo non perde mai di vista la sua Raccolta. Un testo «che ci parla della fine di un uomo che si fonde e trascolora nel tramonto della Serenissima Repubblica di San Marco». E chi avrà la pazienza di addentrarsi tra queste coloratissime pagine, non potrà che divertirsi: «Avrò letto la Raccolta sei sette volte - assicura Creatin - la conosco quasi a memoria, ma ogni volta che la prendo in mano continuo a ridere. Spero che anche i veneziani possano divertirsi e apprezzarla, sentendo risuonare una voce soffocata a suo tempo».

Due anni fa la scoperta-rivelazione: l’originale ubicazione della reggia di re Teodorico.

Due anni fa la scoperta-rivelazione: l’originale ubicazione della reggia di re Teodorico.
Lunedì 19 Maggio 2008 L'ARENA

IL PASSATO RIAFFIORA. Un progetto per la sua valorizzazione
Rinasce la reggia di Re Teodorico
Lo scopritore propone di inserirla in una serie di itinerari. Il Comune: «C’è interesse»

Oggi, l’idea di valorizzare quanto acquisito, creando percorsi turistici ad hoc nei luoghi dove nel 500 d.C. presumibilmente si trovava il castello del re. Il primo di questi itinerari è stato presentato da Luigi Franchi, fautore della scoperta e presidente dell’associazione “Gruppo per Teoderico”. Luogo di ritrovo e partenza è stato piazzetta Martiri della libertà. È infatti nella cordonata di blocchi in pietra bianca antistante le case della piazzetta che Franchi individua il muro della facciata della reggia del nobile. Uno spazio, un quadrato, in realtà ben più ampio di quello della sola costruzione, che va da vicolo Borgo Tascherio a dove ora c’è la pizzeria Redentore per poi chiudere sul colle.

«Le parole reggia o palazzo facevano pensare a una costruzione corposa e compatta, mentre invece si trattava di un castello con una cinta murata tutta intorno, e al suo interno doveva esserci un solo torrione, sia pure munito di probabile cupola d’oro, posto a circa metà del crinale sud-ovest del colle di San Pietro», ha spiegato Luigi Franchi, amante della storia e dell’archeologia ma ingegnere di professione. Ed è stata l’abitudine a valutare i dettagli tecnici delle cartine e delle planimetrie che gli ha permesso, partendo dalla riproduzione di un sigillo reale e da alcune antiche carte topografiche, di individuare in una serie di dettagli a prima vista anacronistici l’ubicazione dell’antica reggia. Quello che si propongono ora Franchi e il Gruppo per Teoderico («questo il giusto nome del sovrano», precisa Franchi) è di ruiscire a rivalutare i luoghi del re, con varie iniziative tra cui un’illuminazione adeguata dei monumenti, l’apertura nelle vicinanze di un museo e persino la costruzione di un trenino monorotaia per le visite al comprensorio del colle.
«Mi sto impegnando per promuovere la figura e i luoghi di questo primo re d’Italia, che scelse come capitale proprio la nostra città, e ben venga chi vuole e può aiutarci in questo ambizioso progetto», commenta Franchi.
Un appello che l’amministrazione sembra aver già colto. «L’interesse e l’attenzione del Comune su iniziative del genere è sicuramente alta», ha spiegato Gianluca Fantoni, vicepresidente del consiglio comunale, che ha assistito alla presentazione e alle spiegazioni storiche di Franchi.I.N.

Vicenza - Ville venete, detassare se sono prima casa

Vicenza - Ville venete, detassare se sono prima casa
IL GIORNALE DI VICENZA, 20 maggio 2008

«Se il governo ha davvero in programma di intervenire sull'lci, i soci hanno chiesto che anche le dimore storiche possano beneficiarne». Vicentina d'adozione, Diana Lorena Camerini, presidente delll'Associazione ville venete - una sessantina gli iscritti - conferma che dall'assemblea di Cavasagra di Vedelago, l'altro ieri, è emersa una forte attesa per i provvedimenti promessi in materia di detassazione se le ville sono usate come prima casa. «Il nostro fiscalista ci ha parlato di questa opportunità e ovviamente i soci sono risultati molto interessati - continua la duchessa Camerini, proprietaria di villa Montruglio a Mossano - Ora vedremo se sarà il caso, d'intesa con i proprietari delle dimore storiche di fare un documento insieme e di portarlo all'attenzione del governo». Perchè le cifre, in materia di lei, per le ville venete sono davvero importanti, date le loro vaste superfici. Ricche dimore di campagna ai tempi della Serenissima Repubblica, le ville sono diventate nel tempo un patrimonio anche pubblico, svincolato dalle proprietà terriere che le circondavano, e visitabili per il grande pubblico. I costi sostenuti ai proprietari sono onerosi in termini di manutenzione: molte ville sono oggi location di incontri, convegni, feste e matrimoni, musei, di riusi che in qualche modo continuino a farle vivere.
La presidente dell'Istituto regionale per le ville venete, la vicentina Nadia Qualarsa aggiunge che «tutte le agevolazioni possibili vanno nell'indirizzo di contribuire al mantenimento di uno straordinario patrimonio, per il quale abbiamo studiato misure anche recentissime sui contributi a fondo perduto, sull'innalzamento del tetto massimo dei mutui e sul credito edilizio». Qualarsa promette che si farà personalmente portavoce dei proprietari delle ville con il neoministro Bondi, «perché le ville sono uno dei volti più identificativi della nostra storia: un patrimonio comune, di fronte al quale i proprietari, che non sono più i patrizi di un tempo, fanno ciò che possono».

venerdì 16 maggio 2008

VERONA - Pantheon, ci sono i soldi del restauro

VERONA - Pantheon, ci sono i soldi del restauro
Elena Cardinali
Giovedì 15 Maggio 2008 L'ARENA

ANTICHITÀ. Una delegazione comunale in sopralluogo al monumento sotterraneo di Santa Maria in Stelle che conserva preziosi affreschi antichi e pregiati mosaici

Accordo tra Comune e parrocchia, proprietaria dell’ipogeo, per avviare il progetto di risanamento

I soldi per avviare il restauro dell’ipogeo romano di Santa Maria in Stelle ci sono. Sono 420.000 euro e li ha in cassaforte la Ragioneria del Comune. Lo ha assicurato l’architetto Costanzo Tovo che ieri, al termine del sopralluogo della delegazione comunale composta da diversi consiglieri e guidata dal consigliere Alberto Zelger presidente della commissione Lavori pubblici, ha spiegato la vicenda dei finanziamenti concessi e poi «spariti». In realtà, ha precisato l’architetto Tovo, «quando nel luglio del 2005 arrivò il decreto ministeriale che avvisava il Comune del finanziamento stanziato per l’ipogeo di Santa Maria in Stelle, sorse subito il problema legato alla proprietà del monumento, che appartiene alla parrocchia e non al Comune. Se avessimo rifatto l’iter per quei finanziamenti probabilmente li avremmo persi. Si decise così di impostare un progetto preliminare per l’intervento di restauro, d’accordo con la Soprintendenza, e di preparare le relativa delibera. Di questo ho parlato con l’assessore ai lavori pubblici Vittorio Di Dio».
Il passo successivo, che di fatto è già compiuto, è l’accordo con la parrocchia di Santa Maria In Stelle, l’ente proprietario del monumento, a cui spetterà il compito di elaborare il progetto definitivo di restauro, sempre d’accordo con la Soprintendenza, che sarà finanziato passo passo con i fondi ministeriali conservati in Comune.
Tuttavia questi soldi non basteranno a finanziare l’intero restauro ma, probabilmente, serviranno a coprire le spese per una serie di interventi preliminari, verifiche e studi voluti dalla Soprintendenza per poi procedere senza sorprese nel vero intervento conservativo e di recupero del manufatto e dei suoi preziosi affreschi minati in più punti dai danni del tempo e da passate infiltrazioni d’acqua. Il monumento, che nacque nel terzo secolo come acquedotto, solo successivamente venne adibito dai primi cristiani a luogo religioso, probabilmente per riunire i giovani e insegnare loro la dottrina cristiana in attesa di ricevere il battesimo. Ancora oggi l’acqua scorre poco sotto il pavimento dell’ipogeo ed è visibile percorrendo uno stretto cunicolo che mette in comunicazione con un pozzo.
«A dir la verità in passato c’era già stata la disponibilità della Fondazione Cariverona a finanziare le spese per il restauro dell’ipogeo», precisa l’ingegner Luigi Antolini, del Consiglio affari economici della parrocchia di Santa Maria in Stelle, che ieri ha guidato la delegazione nella visita al monumento sotterraneo e che seguirà il progetto di recupero. «Questa possibilità, tuttavia, venne meno quando l’onorevole Alberto Giorgetti, deputato di AN-Pdl, attuale sottosegretario all’Economia, riuscì a far avere a Verona l’attuale finanziamento». E se i soldi non basteranno bisognerà trovare nuovi gettiti, andando a cercare qualche sponsor o domandando a Roma ulteriori fondi per proseguire nell’opera.
All’incontro seguito al sopralluogo erano presenti anche don Paolo Dal Fior e don Tiziano Brusco, responsabile dei Beni culturali della diocesi. L’accordo tra parrocchia e Comune dovrebbe concretizzarsi con una delibera che sarà discussa in Giunta entro la settimana prossima e che darà di fatto il via libera all’iter per realizzare il progetto definitivo di restauro

giovedì 15 maggio 2008

Cortina, iniziato taglio alberi per il campo da golf

Cortina, iniziato taglio alberi per il campo da golf
siciliatravel.com

CRONACA
Gli operatori sperano che il campo servi a prolungare la stagione estiva
È iniziato a Cortina il taglio degli alberi per la costruzione di un campo da golf. L’inizio dei lavori è stato ritardato dalle polemiche degli ambientalista che ne avevano rallentato la realizzazione, anche se nel settembre 2006 il progetto del nuovo golf aveva registrato l'ok del Comune di Cortina, e in seguito quello del ministro Francesco Rutelli, attraverso il parere del Comitato tecnico scientifico del ministero dei beni culturali. Un via libera subordinato al rispetto delle prescrizioni che nel frattempo erano state poste dalla Sovrintendenza ai beni ambientali: cioé il rispetto dell'ambiente, il mantenimento di quinte arboree e la tutela dei biotopi. Gli operatori turistici sperano che il nuovo campo da golf serva a prolungare la stagione estiva, che solitamente chiude verso il 10 settembre

lunedì 12 maggio 2008

Verona, Rovigo e Vicenza - Nuovo stop al piano villette sui terreni di località Lova

Verona, Rovigo e Vicenza - Nuovo stop al piano villette sui terreni di località Lova
Emanuele Zanini
Domenica 11 Maggio 2008 l'arena

SONA. Il progetto delle ditte Panorama e Palazzolo fermato per mancanza di requisiti di tutela dell’ambiente

La Soprintendenza boccia pure il rondò di via Molina

La Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Verona, Rovigo e Vicenza ha bloccato di nuovo la lottizzazione Panorama, in località Lova a Sona.

L’ente del ministero dei Beni ambientali ha annullato il provvedimento del 25 gennaio scorso con cui il responsabile del settore gestione del territorio del Comune di Sona, dopo il parere favorevole della commissione edilizia comunale, aveva autorizzato le ditte "Panorama Sona" e "Palazzolo srl" a procedere con il progetto di realizzazione dell’opera, prevista nel relativo piano urbanistico attuativo.
La zona interessata dal piano di lottizzazione si trova all’interno di un’area sottoposta a vincolo paesaggistico e dall’alto valore storico tra le colline moreniche. Il progetto prevede la creazione di 22 lotti (per un volume di 16mila metri cubi su 30mila metri quadrati di estensione totale) su cui costruire una serie di villette. Inoltre, anche una rotatoria, in via Molina, approvata dalla commissione edilizia, contro la quale si era scagliato il Comitato difesa ambientale di Sona.
Per la Soprintendenza, che aveva già annullato il via libera a procedere il 23 gennaio 2007, l’autorizzazione alla realizzazione dell’opera è, ancora una volta, «non conforme» alle prescrizioni di tutela del paesaggio perché, secondo l’ente, in un anno il progetto presentato in sostanza non è cambiato. «L’impianto urbanistico», si legge nel decreto di annullamento, «non è stato variato, mantenendo inalterate, rispetto al precedente progetto cassato, l’inserimento delle tre strade di penetrazione, dell’ampia rotatoria e della suddivisione nei 22 lotti. Le opere di urbanizzazione, inoltre, non garantiscono la conservazione dei tratti di rilevante interesse paesaggistico».
Per la Soprintendenza non sono state fornite le motivazioni sufficienti che dimostrino come siano state sanate l’incompatibilità e le «non conformità» evidenziate nel decreto del gennaio 2007 sulla tutela e conservazione dei valori paesistici. E, è spiegato nel documento, lo scorso anno è stata allegata una relazione paesaggistica incompleta in cui è assente un’approfondita analisi dei caratteri paesaggistici e morfologici della zona.
L’inizio della vicenda risale a metà degli anni Novanta, quando, dopo la presentazione della domanda delle imprese di costruzione, la Regione aveva definito l’area poco adatta a diventare edificabile a causa della fragilità del terreno. Nonostante ciò il progetto è andato avanti nel suo iter. Gli iniziali 13mila metri quadrati previsti, grazie a una variante al piano regolatore del settembre 2002, sono stati portati a 16mila. Con delibera del Consiglio comunale del febbraio 2006, la lottizzazione è stata approvata e inserita nel piano urbanistico attuativo residenziale. Ma non sono mancate le critiche. Nel settembre 2006 il Comitato per la difesa ambientale di Sona, preoccupato per l’impatto che la lottizzazione avrebbe avuto sul territorio, ha inviato una lettera alla Provincia per contestare la realizzazione dell’opera. Quindi, nel gennaio dell’anno scorso, è arrivato il primo stop da parte della Soprintendenza. Ora la nuova bocciatura, in attesa di un eventuale ricorso al Tribunale amministrativo regionale, da parte delle ditte interessate

domenica 11 maggio 2008

"Chi salverà il Veneto dal cemento"

Andrea ZANZOTTO: "Chi salverà il Veneto dal cemento"

"Da Pieve di Soligo, dove si alzano le Prealpi Trevigiane, lo sguardo di Zanzotto si allunga oltre il paesaggio veneto, scavalca la laguna e l'inferno di Marghera e arriva fino in Cina, 'il paese in cui lo sconquasso ambientale corre al ritmo di un capitalismo vorace, perché viaggia con i metodi autoritari del partito comunista', dice il poeta. Ma è la pedemontana, sono l'altopiano di Asiago, il Montello e il Piave la ragnatela alla quale restano avvinghiati i suoi versi. E anche le sue battaglie perché non tutto di queste colline venga devastato dal cemento degli stabilimenti industriali e delle villette. [...] Dopo la guerra si costruiva perché c'era bisogno, continua Zanzotto. Le case erano distrutte. C'erano i soldi del Piano Marshall. Disordinatamente, ma si raggiunsero 'gradini sopportabili di decenza'. 'Poi questo slancio si affievolì'. E come siamo arrivati ad oggi? 'Si è voluto ottenere il massimo con il minimo costo, ma poi il costo è stato altissimo. Il mito della ricchezza facile è un febbrone che ha il potere di distruggere l'organismo. E questo territorio è stato incrostato di stabilimenti che ora sono vuoti perché è più conveniente produrre all'estero, di centri commerciali dove - è accaduto un po' di tempo fa - un operaio è morto schiacciato e il suo corpo è rimasto coperto da un lenzuolo, mentre la gente entrava a far compere'. E il paesaggio che lei ricorda? 'Se potessi vederlo da un aereo non riconoscerei più nulla, ma passeggiando si può ancora scorgere qualche angolo che alimenta la facoltà dell'immaginazione. Prenda il Piave. Era un fiume torrentizio. Ora è asciutto in tanti tratti, eppure quelle linee d'argento che attraversano il suo letto continuano a nutrire la creazione mitica.'" (da F. Erbani, Andrea Zanzotto. Chi salverà il Veneto dal cemento, "La Repubblica", 07/12/'07)

L'"acquagranda" che sconvolse Venezia

L'"acquagranda" che sconvolse Venezia
Roberto Bianchin
La Repubblica, 02-NOV-2006

Il 4 novembre 1966 due metri di mare sulla città. E ogni anno torna l’emergenza
Ancora oggi quando soffia lo scirocco c'è chi scruta con timore l'orizzonte: "Il disastro può riaccadere" Il sindaco Cacciari lo esclude, ma il consorzio del Mose polemizza: solo una barriera salverà la laguna

Me li sogno ancora quei flutti oltre i bastioni di Pellestrina e dentro la mia casa
Quella mattina onde alte metri spazzarono via le difese secolari della città lagunare

VENEZIA — Certe notti di scirocco, quando non riesce a dormire e va fuori a vedere quel mare scuro che si gonfia, Ernesto ha ancora paura. Come quarantanni fa. Quando l'acqua gli entrò in casa, salì le scale e arrivò fino al tetto. «Me le sogno ancora quelle onde alte come palazzi di tre piani», racconta. Figlio di pescatori, Ernesto Ballarin aveva venticinque anni quel 4 novembre del 1966 quando l'alluvione sommerse Venezia con un'"acqua granda" di 1 metro e 94 centimetri. La sua casa a Portosecco, sull'isoletta di Pellestrina, stava nel punto in cui la furia del
mare spezzo i murazzi alle sette del mattino, aprendo la prima breccia nei grandi bastioni eretti due secoli prima dalla Serenissima. Si salvò per miracolo. Fosse successo cinque ore prima, dice il Cnr, nel momento del massimo picco di marea, ci sarebbero stati due metri e mezzo d'acqua. E oggi, ammoniscono i tecnici, il pericolo non è passato.
«È vero che fatti del genere avvengono in media ogni cento anni — dice Luigi Cavaleri, direttore dell'Ismar, il centro ricerche del Cnr, ma con l'innalzamento del livello del mare, che cresce 3 millimetri l'anno, eventi come quello del '66 rischiano di essere sempre meno un fenomeno unico».
Negli ultimi quarant'anni, dall'alluvione a oggi, la frequenza delle acque alte superiori al metro e 10 centimetri, cioè quelle sostenute che creano danni e disagi, è raddoppiata: 22 volte nel decennio 1956-1965, 31 volte in quello successivo, 53 volte tra il 1996 e il 2005. E il mare è più alto di un tempo: 23 centimetri in più rispetto ai primi del '900. Questo a causa, secondo le rilevazioni del Cnr, di due effetti combinati: l'innalzamento di 11 centimetri del livello del mare, che i tecnici chiamano "eustatismo", e lo sprofondamento per 12 centimetri del suolo della città (subsidenza) sia per cause naturali, 4 centimetri, che per il prelievo di acque dal sottosuolo per usi industriali, altri 8 centimetri. Due fenomeni che hanno un effetto "fondamentale" sull'aumento della frequenza delle acque alte. Lo si vede anche a occhio nudo quanto sia più alto il mare: in alcuni punti della città, come in Rio dell'Orso, le lettere "C" scolpite dalla Serenissima sugli edifici lungo i canali per indicare il "comune marino", cioè il livello medio delle alte maree, oggi sono completamente sommerse.
Una situazione, questa, che fa dire ai tecnici del Consorzio Venezia Nuova, che stanno costruendo il Mose, il sistema di paratoie mobili contro le acque alte, che il rischio di una nuova alluvione «è fortissimo». Per il sindaco Massimo Cacciari, invece, l'eventualità che un simile evento si ripeta, «è impensabile». «La minaccia è ben presente e concreta - dice il consorzio - con l'unica incertezza del momento in cui potrà accadere. Più volte infatti un evento analogo, o addirittura più drammatico, è stato evitato solo per il fortunoso e improvviso miglioramento delle condi-zioni meteorologiche».«Dal 1966 — sostiene invece il sindaco — Venezia è molto cambiata, e in meglio, specie sul fronte delle difese a mare e interne alla città. È molto più sicura e più attrezzata, tanto che un altro 4 novembre non potrebbe ripetersi». Due tesi, quelle del sindaco e del consorzio, che si scontrano anche sul Mose, la grande opera costruita al 28%, che dovrà essere ultimata nel 2012 e verrà a costare 4.271 milioni di euro. L'8 novembre il comitato interministeriale per Venezia dovrà decidere se far continuare l'opera o se preferirle qualcuno degli 11 progetti alternativi, meno giganteschi e più economici, proposti dal Comune.
In questi giorni Venezia, divisa tra il recupero della memoria e le polemiche sul suo futuro, ricorda l'alluvione con mostre, convegni, spettacoli, pubblicazioni. La città, che quarantanni fa aveva il doppio dei suoi abitanti attuali (121mila nel '66, 62mila oggi), ebbe 14mila alluvionati, 1.200 sfollati, 4 morti e 40 miliardi di danni: 2mila aziende su 2.700 furono gravemente danneggiate. Anche la provincia, e tutto il Nord Est, da Venezia a Belluno, da Udine a Trento, furono duramente colpiti: 78 morti, 180mila sinistrati, 3mila senzatetto, 400 miliardi di danni. Fu una data spartiacque per Venezia. L'inizio della sua decadenza, del suo spopolamento, implacabile, continuo, mai cessato, della scomparsa delle industrie, del suo consegnarsi mani e piedi a un unico nuovo dio, quello del turismo mordi e fuggi, venti milioni l’anno di pendolari della vacanza, che l'hanno stravolta e ne hanno cambiato i connotati. Il principio di una mutazione: sempre meno città, sempre più Disneyland. Amara è l'analisi di un'illustre veneziana come la contessa Teresa Foscari Foscolo, per decenni anima e bandiera di Italia Nostra: «Venezia ha un suo 4 novembre permanente, dove il disastro diventa abitudine. A me pare che subito dopo il 1966, al preoccupato e preoccupante silenzio delle autorità responsabili, abbia corrisposto, nei veneziani, un'angoscia oscura: quella di considerare la fine come inevitabile. O, addirittura, come necessaria.”

194 cm LA MAREA
Arriva a 194 cm, il livello storicamente più alto mai raggiunto. Nel 1979 arriva ad un massimo di 166 cm

Da 7 a 53 GLI EVENTI
La frequenza delle acque alte a Venezia, dal 1925 al 2005, passa dai 7 ai 53 eventi per decennio

121 mia ABITANTI
Venezia 40 anni fa aveva il doppio dei suoi abitanti attuali, passando dai 121mila del '66 ai 62mila di oggi

40 miliardi I DANNI
II disastro provoca 40 miliardi di lire di danni, 14 mila alluvionati, 1.200 sfollati e causa la morte di 4 persone

sabato 10 maggio 2008

Montebelluna - Scoperto un tesoro romano nella cava

Montebelluna - Scoperto un tesoro romano nella cava
Laura Bon
Venerdì, 24 Novembre 2006 Il Gazzettino online

IMPORTANTI RITROVAMENTI DI UNA CENTURIAZIONE

Potrebbero essere bloccate le attività estrattive. In un’area di 2500 metri quadrati sono venuti alla luce resti dell’età imperiale

Un tesoro romano nella cava "Campilonghi". L'enorme cava approvata dalla Regione nella parte sud della città, alla base di una battaglia anche legale dell'amministrazione Puppato, sta svelando in questi giorni scoperte inattese (ma solo per chi non conosce l'origine di Montebelluna) ed emozionanti. Che, forse, potrebbero anche essere determinanti (e questo aspetto è tutt'altro che trascurabile) nel bloccare l'attività estrattiva anche se, al momento, nessuno è in grado di dire se sarà così.

Nell'area, sono partiti infatti di recente i sondaggi che vengono effettuati per legge dalla ditta escavatrice con l'assistenza di un archeologo: si tratta di un'attività svolta per prassi in chiave preliminare all'attività estrattiva, trattandosi di zona di potenziale interesse archeologico.
Proprio in tale fase è arrivata la sorpresa più bella. Dopo che la ditta escavatrice ha eliminato semplicemente lo strato di arativo, in un'ampia area di 2500 metri quadrati sono venuti alla luce resti romani di età imperiale. Scoperte tanto ghiotte da chiedere l'intervento della Sovrintendenza che, prontamente intervenuta, ha provveduto a fermare i lavori nella fascia interessata. Qui continueranno invece gli scavi archeologici, condotti da una ditta specializzata per conto della Sovrintendenza stessa.M
a di che cosa si tratta? "Si tratta -spiega l'assessore alla cultura Lucio De Bortoli- di una zona di centuriazione romana, con fondazioni di case, tombe, manufatti vari". Potranno contribuire a bloccare la cava? "E' presto per dirlo -continua De Bortoli- Tutto dipenderà infatti dall'entità dell'insediamento e dalle scelte della Sovrintendenza. E' indubbio, però, che anche questi ritrovamenti contribuiscono a spiegare e motivare quanto abbiamo fatto finora sul fronte archeologico e il progetto "Archeogeo" in particolare. La città ha un passato molto significativo che la pone come punto di riferimento non solo comprensoriale e provinciale ma regionale e nazionale". Secondo le prime voci sembra comunque che se i ritrovamenti si limiteranno a tombe o muri isolati che possano essere asportati non è detto che siano in grado di fermare per sempre la cava. Ciò accadrà più probabilmente, invece, in caso di resti "strutturali" sul modello di quelli rinvenuti nell'area di Cima Mandria oggetto di una recente campagna di scavo nell'ambito di "Archeogeo": qui infatti il sottosuolo ha rivelato i resti di un opificio di età romana. Intanto, a proposito dell'attività estrattiva il sindaco Laura Puppato precisa: "non è certo partita anche perché non ci sono ancora gli accordi relativi alla viabilità".

ESTE - Torna alle luce un tratto di strada preromana

ESTE - Torna alle luce un tratto di strada preromana
Mercoledì, 6 Dicembre 2006, Il Gazzettino

La sensazionale scoperta archeologica è stata fatta durante i lavori di adeguamento alla normativa antincendio nel cortile dell’Istituto d’Arte Corradini

I tecnici della Soprintendenza sono al lavoro: potrebbe trattarsi di una via di comunicazione importante. Domani arriva l’assessore Salvò

Este
(F.G.) Il sottosuolo di Este continua a regalare sorprese di natura archeologica: solo qualche giorno fa, nel corso dei lavori per l'adeguamento dell'istituto d'arte Corradini alle nuove norme antincendio, sono stati trovati i resti di un tratto di strada antica: addirittura preromana.

Il ritrovamento eccezionale è stato fatto a poche decine di centimetri di profondità dal piano stradale. Ora bisognerà attendere i risultati delle ricerche in corso, per stabilire il tipo di materiale utilizzato e la composizione del fondo.

È una notizia di rilievo, perché questo genere di scoperte è molto raro, pure in un'area ricchissima di testimonianze dell'antichità come quella estense. Attorno allo scavo è stato subito creato un cordone di sicurezza, per evitare che gli agenti atmosferici o l'intervento di curiosi possano rovinare la scoperta. Come tutto fa supporre potrebbe trattarsi di una strada di comunicazione importante o il percorso all'interno di un piccolo insediamento abitativo. Da tre giorni la Sovrintendenza è all'opera con un'équipe di archeologi, per ottenere altre informazioni da quelle pietre antiche ritornate alla luce.

Da pochi mesi i lavori di sistemazione dell'edificio che ospita l'istituto d'arte sono stati portati a termine e il cantiere si è trasferito all'aperto, nell'ampio spazio del parcheggio e del parco. Proprio quell'area era stata vincolata dalla Sovrintendenza, che aveva posto il veto a vari progetti di palestre o tensostrutture dedicate all'attività sportiva della scuola. L'ultimo ritrovamento in città era avvenuto appena due mesi fa, all'inizio di ottobre, quando erano stati scoperti all'interno di un cantiere, fra largo Tiepolo e via Zanchi, un muro di una casa probabilmente romana e di un teschio umano, forse di epoca posteriore.

Basta raschiare appena la superficie del centro abitato attuale per scovare tombe, strade, interi quartieri dall'epoca paleoveneta in poi. Domani alle 12.30 arriverà ad Este anche l'assessore provinciale all'Edilizia scolastica, Luciano Salvò, per effettuare un sopralluogo.

ESTE Beffa della Soprintendenza, già sepolta la strada

ESTE Beffa della Soprintendenza, già sepolta la strada
Ferdinando Garavello
Venerdì, 8 Dicembre 2006, Il Gazzettino online

Ieri all’Istituto d’arte "Corradini" si erano presentati sindaco e assessore provinciale per un sopralluogo, ma hanno trovato solo la cisterna

Stizziti Giancarlo Piva e Luciano Salvò. Il professor Gambarin: «Forse eravamo di fronte a un insediamento abitativo»

EsteSono state brutalmente deluse le aspettative di quanti si sono recati ieri mattina nel cortile del "Corradini", in mezzo al fango e all'erba bagnata, per vedere quel meraviglioso e millenario tratto di strada preromana: l'assessore provinciale all'edilizia scolastica Luciano Salvò, il sindaco di Este, Giancarlo Piva, l'assessore cittadino all'urbanistica Pierantonio Capodoglio ed il consigliere provinciale Gianfranco Fornasiero si sono ritrovati ad ammirare una buca con una semplice cisterna antincendio. Bella quanto si vuole, ma sempre cisterna rimane. A giocare lo scherzo alle autorità, che avevano annunciato ufficialmente la visita qualche giorno fa, è stata la Soprintendenza, che una volta conclusi gli studi sul materiale scoperto durante lo scavo ha dato il via libera per la posa della cisterna, con i dovuti accorgimenti per non rovinare i reperti sottostanti. Peccato che nessuno si sia preoccupato di avvertire sindaco e assessore provinciale, ai quali non è rimasto che prendere atto dell'avvenuto ritrovamento archeologico e del successivo interramento.
Tutto a norma di legge, naturalmente, ma visto che è la Provincia a finanziare i lavori nella scuola e che il Comune è il padrone di casa, sarebbe bastato avvertire chi di dovere per evitare un viaggio a vuoto. Anche solo per rapporti di buon vicinato. «L'importante taglia corto Salvò è che siamo arrivati al termine dei lavori al "Corradini", che sono costati alla Provincia 2 milioni di euro fra adeguamento e rinnovo dei locali e messa a norma delle parti esterne. Dopo i rilievi e gli accertamenti del caso l'antica via è stata di nuovo coperta e la sua memoria, carica di storia, tornerà a riposare sotto il prato del cortile di villa Contarini».

«Abbiamo almeno avuto la conferma che la presenza preromana è diffusa in tutta la città dice il sindaco Piva per quanto riguarda lo scavo potrebbe diventare una sorta di palestra per gli studenti di Este, che in un futuro potranno eventualmente lavorarci su per approfondire le scoperte fatte in questi giorni».

Rimangono alcuni dubbi: a sollevarli è il professor Felice Gambarin, insegnante al "Corradini" e profondo conoscitore della storia locale. «Non dovrebbe trattarsi solo di una strada ammette - da quanto ho visto durante gli scavi potremmo essere di fronte ad un insediamento abitativo precedente all'arrivo dei romani, con una strada che porta in direzione dell'attuale ghiacciaia».

I curiosi si mettano l'anima in pace, non c'è modo di veder più nulla e non sono previsti ulteriori scavi nell'area del "Corradini": anche gli amministratori beffati dalla Soprintendenza dovranno accontentarsi di vedere la strada e i reperti in fotografia.

ESTE: Una via paleoveneta larga tre metri

ESTE: Una via paleoveneta larga tre metri
Venerdì, 8 Dicembre 2006, Il Gazzettino online

COSA SI SONO PERSI GLI AMANTI DELLA STORIA

Este
(F.G.) Il sistema viario romano, rimasto quasi invariato fino ad oggi, era stato forse preceduto da una sorta di rete locale costruita dalle popolazioni venete: le vestigia di queste strade non emergono molto spesso alla luce, ma a Este basta raschiare appena un po' la superficie, appena mezzo metro, per trovare sorprese di natura archeologica che vanno dai Paleoveneti fino al medioevo

Quella scoperta nel cortile dell'Istituto d'Arte "Corradini" è una strada di circa tre metri di larghezza, lastricata con grandi pietre piatte e cordonata da sassi più piccoli, orientata fra nord e sud. Dalle operazioni di pulizia effettuate dagli archeologi è apparsa molto rimaneggiata e sistemata nel corso dei millenni, segno che si trattava di una via molto importante. Este era infatti uno dei principali centri paleoveneti, situata a quel tempo sulle rive dell'Adige, da cui deriva anche il toponimo Atheste.

Il ritrovamento è avvenuto come sempre per caso, quando i lavori di messa a norma dell'Istituto d'arte Corradini sono arrivati nell'area erbosa dietro la scuola, una decina di giorni fa. Si doveva interrare la cisterna prevista dal piano antincendio: gli operai hanno scavato una fossa profonda alcuni metri, alla presenza costante degli uomini della Soprintendenza e ad appena 50 centimetri dal piano stradale attuale sono state rinvenute pietre e lastre disposte troppo geometricamente per appartenere a formazioni naturali. Dopo i rilievi del caso e una volta conclusi gli accertamenti degli archeologi, si è deciso di cambiare la disposizione della cisterna del sistema antincendio, che è stata ruotata di 90 gradi, quindi sulle antiche lastre sono stati posati alcuni strati di tessuto ed un cuscinetto di sabbia. La strada è tornata a riposare sottoterra, ben documentata e intatta, ma è chiaro che qualunque scavo nei dintorni porterà alla luce altri tratti e forse qualche altra sorpresa.

Reperti minacciati da asfalto e cemento

Reperti minacciati da asfalto e cemento
Domenica, 17 Dicembre 2006 Il Gazzettino online

L’allarme dopo la scoperta di testimonianze dell’Età del Bronzo nell’area del centro "13"

Stiamo camminando su un gigantesco giacimento archeologico. L'area mediopolesana in un raggio di una quindicina di chilometri intorno a Rovigo verso Pontecchio, Gavello e Crespino, a sud est verso Grignano, Arquà e Fratta e ad est tra San Martino e Pettorazza raccoglie un estesissimo - forse uno dei più vasti d'Europa - bacino di reperti archeologici dell'Età del Bronzo e del Ferro, di epoche etrusca, romana e altomedioevale. Un "forziere" di conoscenza sotto metri e secoli di sedimenti e che, per uno strano destino della modernità, rischia di andare perduto a causa della stessa "forza" che lo sta involontariamente portando alla luce. Già, perché il galoppante sviluppo economico e l'incombente infrastrutturazione del territorio, da una parte con scavi e movimentazione di terreno contribuiscono a localizzare e svelare nuovi siti, peraltro già in gran parte teorizzati dagli studiosi locali, dall'altra, sordi alla necessità di regolari e tempestivi interventi di bonifica archeologica chiesti dalla Soprintendenza e dal mondo scientifico, potrebbero far seppellire sotto colate di cemento e asfalto una delle fette più antiche del Polesine delle origini.
Un'emergenza, come l'ha chiamata Alessandro Grigato, vicepresidente del Gruppo archeologico di Villadose diretto da Enrico Maragno, che sta facendo accorrere gli "Indiana Jones" locali da una parte all'altra del Mediopolesine. L'ultimo allarme nell'area intorno alla Transpolesana nei pressi del centro "13" dove recenti lavori di spostamento terra e un radicale intervento agricolo hanno portato alla luce diverse testimonianze protostoriche dell'Età del Bronzo. Il punto sulle nuove scoperte archeologiche intorno alla città lo si è fatto ieri al museo dei Grandi fiumi, dove il direttore Raffaele Peretto ha invitato esperti e ricercatori per illustrare le ultime tappe dell'intenso lavoro di studio e catalogazione. Basti pensare che si sta parlando di un'area estesa su 18.400 ettari con non meno di 740 siti già localizzati.

«La collaborazione con la Soprintendenza, il gruppo archeologico di Villadose, il Centro di studi archeologici e etnografici, l'associazione "Barbujani" e l'università di Ferrara è fondamentale - ha sottolineato Peretto - I siti di Zanforlina a Pontecchio, Larda a Gavello e Saline a San Martino confermano che la presenza etrusca nell'entroterra adriese era molto consistente. La città aveva i suoi attracchi marittimi a San Basilio e Contarina, ma la campagna ad ovest fino a Balone (Arquà) forniva il sostentamento con coltivazioni di cereali, armenti e zone di caccia».

Il problema ora è bonificare i siti che potrebbero essere interessati da ampliamenti di aree produttive e tracciati di nuove strade come per esempio la futura autostrada Nogara-mare. «La Soprintendenza impone le bonifiche a spese di chi realizza le opere - ha risposto Peretto - Con interventi rapidi e tempestivi si recupera tutto e i lavori non registrano intralci». Insomma non deve accadere come con la Transpolesana, che tra Arquà e Fratta ha "coperto" almeno sette od otto tombe etrusche.

RIVIERA DEL BRENTA «A rischio il futuro delle ville»

RIVIERA DEL BRENTA «A rischio il futuro delle ville»
Gianluigi Dal Corso
Il Gazzettino (Venezia) Sabato, 6 Gennaio 2007

L’allarme viene dall’associazione che gestisce sei delle tredici dimore storiche visitabili

L’anno scorso c’è stato un calo nelle visite e la manutenzione è sempre più onerosa

Riviera del Brenta
Il 2007 non sarà sicuramente un anno facile per l'associazione "Nelle ville del Brenta", che gestisce 6 delle 13 ville storiche visitabili in Riviera del Brenta.Soprattutto a fronte delle critiche avanzate da alcune parti relative al minor numero di visitatori rispetto quanto preventivato.Un calo che, però, come tengono a sottolineare gli stessi aderenti all'associazione, non ha compromesso il bilancio, che anzi in controtendenza rispetto alle gestioni passate è andato in attivo."E' purtroppo vero, come sottolineato dal signor Ceccangeli - dicono - che abbiamo riscontrato un numero minore di presenze nelle ville da noi gestite rispetto alle aspettative e probabilmente questo è dovuto ad una scarsa campagna promozionale.Il punto sta proprio qui: da soli, finanziariamente, non siamo in grado di promuoverci. I comuni di Mira e Dolo, nei limiti consentiti dai loro bilanci, ci hanno fornito piccoli aiuti che ci hanno consentito di organizzare eventi come Ville al chiaro di luna, Note in viola, Emozioni in tango, Concerti dolesi, Biciclettata in villa ed altri ancora ma tutto il resto è rimasto sulle nostre spalle".Un aggravio non indifferente, che però non spaventa gli organizzatori, anzi li spinge a trovare nuove vie per la riscoperta di tesori storico architettonici che hanno fatto grande la Riviera del Brenta nel mondo.E lanciano una proposta: "Si è spesso parlato di creare una card per le ville, ebbene per le ville del nostro circuito il biglietto unico è una realtà ben consolidata. Grazie a noi oggi con 30,00 euro si possono effettuare visite accompagnate da un operatore nelle nostre 6 dimore scegliendo anche giornate diverse in cui potervi accedere. Tuttavia sono proprio le ville pubbliche che non hanno voluto aderire alla nostra iniziativa".Sottolineando come servano investimenti importanti per un rilancio dell'intero patrimonio artistico rivierasco, non solo da parte di Apt, ma soprattutto dalle associazioni di categoria che beneficiano della presenza turistica: "E' un bene che ci si preoccupi del recupero di quelle realtà che hanno gravi carenze strutturali, oramai per i proprietari i costi sono divenuti insostenibili.Basti pensare che con quello che si spende per ripassare il tetto si potrebbe comprare un appartamento in centro a Padova. I vincoli, oltre ai costi, scoraggiano le nuove generazioni dal farsi carico della manutenzione di dimore divenute ormai troppo onerose da finanziare, per non parlare dei furti che sono oramai all'ordine del giorno e scoraggiano anche i più coraggiosi mecenati".

Un messaggio chiaro, che spera di trovare le giuste corrispondenze per dare ancora un futuro alle ville della Riviera del Brenta.

ARCHIVIO DI STATO Nuovi documenti sul Mantegna

ARCHIVIO DI STATO Nuovi documenti sul Mantegna
Sabato, 6 Gennaio 2007 , Il Gazzettino online

Cinque i nuovi ritrovamenti tra i 39 documenti pubblicati, portati alla luce da Francesca Fantini D'Onofrio nel suo "Omaggio ad Andrea Mantegna pittore padovano". Un volumetto edito da Canova per conto dell'Archivio di Stato di Padova, di cui la Fantini è direttore, grazie anche al sostegno di Inner Wheel Sibilla de Cetto, UniCredit e Regione Veneto, che conta un centinaio di pagine e ha il merito di riprodurre la foto di tutte le pergamene, quasi un invito a decifrarne gli angoli nascosti per aggiungere novità alle vicende del sommo artista d'Isola di Carturo. Un monito anche a prestare maggior attenzione ai documenti, tramite un accurato restauro, utili a rivelare la vita di Padova quattrocentesca, in gran parte da scoprire. Anzitutto quello che parla (28 novembre 1438) della dote della montebellunese Vendramina, domestica di Antonio Ovetari e consorte, nel 1440, di Tommaso, fratello di Andrea Mantegna. Ammontava a circa 100 ducati d'oro in cose e beni immobili. Curioso che tra i testimoni ci fosse il notaio Sicco Polentone, umanista e grande storico di Padova. Il secondo, datato 20 febbraio 1440, parla della riconsegna della dote da parte di Biagio Mantegna alla nuora Vendramina che va ad abitare in via San Fermo, accanto agli Ovetari. Il terzo descrive il testamento, l'11 luglio 1456, di Tommaso, languente di lebbra nell'ospedale di San Francesco, che dona cento lire ai poveri infermi e istituisce sue eredi le figlie minorenni Caterina e Isabella, nominandone tutore e curatore il fratello Andrea. C'è poi quello del 26 maggio 1472, il più "imbarazzante" per gli storici, in cui Antonio Brugnara afferma di conoscere Tommaso e Andrea e di ritenerli fratelli, figli del fu Biagio che vendeva "panes in plateis et faciebat bolzonos". Vocabolo quest'ultimo che farà scrivere fiumi d'inchiostro.
Infine il testamento, stilato il 9 ottobre 1447, di Bartolomeo da San Biagio fu Gregorio, che nomina sua erede la fraglia di Sant'Antonio e ordina sia completata la pala d'altare che stava facendo eseguire, da porre sopra l'altare maggiore della chiesa di Santa Sofia. Da ognuno però dei documenti, tutti iconograficamente inediti, si possono trarre notizie che la Fantini sbocconcella, stuzzicando l'appetito degli amanti delle vicende padovane. Si può così capire che è perlomeno inesatto parlare di "fame" e di "deep country" nel caso di Biagio, Tommaso e Andrea Mantegna. Il capofamiglia era «marangone», artista, quindi; Tommaso era «sarto e ricamatore» e Andrea enfant prodige, che presto fece soldi. Le pecore Andrea l'avrà solo viste, mai pascolate! Papà e figlio primogenito lavoravano a servizio degli Ovetari e risulta probabile che il marangone abbia preparato al figlio anche le cornici delle prime sue pale. Una famiglia, quella Mantegna, che non ha mai patito la fame, che anzi, da numerosi documenti, ha possessi su campi e case. Interessante l'ultimo documento del 14 ottobre 1458 in cui appare il tredicenne Giovanni Battista fu Michele da San Clemente, che, tramite il fratello Martino, chiede ad Andrea Mantegna d'imparare l'arte, con un apprendistato di sei anni, pagando annualmente 15 lire, per divenirne così l'unico discepolo storicamente noto. Avverando quanto afferma lo Scardeone circa la permanenza di Andrea presso Squarcione e del modo di agire dei maestri, non certo "sfruttatori".

Al.Pe.

giovedì 8 maggio 2008

La lingua veneta cade nella Rete

Nasce sito dell’Atov, l’Archivio delle tradizioni orali
La lingua veneta cade nella Rete
DANIELA FERRO Àsolo - Le tradizioni orali del Veneto vanno in archivio. E diventano patrimonio di tutti. È nato l’Atov, ossia - con parole fuori da acronimo - l’Archivio delle Tradizioni Orali del Veneto, consultabile da tutti gli internauti all’indirizzo web www.venetrad.it.
L’archivio on line raccoglie circa ottomila schede: una sorta di enciclopedia in rete che cataloga tutto quanto abbia a che fare col patrimonio di tradizioni orali di matrice veneta, dai proverbi ai riti, dalle favole alle filastrocche, dai giochi ai cibi, passando per riti e canti popolari. Un bagaglio nutrito e variegato, dunque, arricchito inoltre da materiali e documenti provenienti dal mondo degli emigrati in ogni parte del globo, dunque dalle comunità venete all’estero (in particolare dalle Americhe).
Il progetto è stato realizzato dall’Associazione Soraimar di Asolo (Tv) ed è dedicato a quanti siano interessati a un approccio autentico con il patrimonio verace delle più antiche tradizioni venete. Il repertorio è sconfinato, la modalità di accesso (grazie a internet) facile e veloce, in un felice connubio che mette l’innovazione (il mezzo) al servizio della tradizione (il contenuto).
La banca dati dell’Atov è il frutto di un lavoro itinerante che si è protratto per circa vent’anni: Gianluigi Secco, presidente dell’Associazione, ha reperito il materiale girovagando per il mondo. Un girovagare fertile, dal momento che nel database è possibile trovare elementi e “reperti” dai supporti eterogenei: oltre ai testi e alle foto, sono presenti filmati e file audio, il tutto per rappresentare nel modo più fedele possibile i diversi contenuti delle tradizioni orali, con la massima adesione alla loro specificità.
L’archivio, oltre a fornire a chi ne fosse interessato spunti per conoscere e approfondire, è allo stesso tempo un forziere del tempo contro il tempo stesso: racchiude e gelosamente conserva secoli di tradizione e di cultura veneta, per salvaguardare l’identità di un territorio e della sua gente dal vorace oblio della modernità.
Diamo un occhio al sito. Il motore di ricerca interno all’archivio delle tradizioni consente di affinare un primo criterio di scelta mettendo a disposizione tre macrocategorie: tradizione orale, usanze ed eventi, cultura materiale. Ciascuna, poi, suddivisa a sua volta in un pluralità di tipi. Alla sezione “Tradizione orale”, ad esempio, la nostra ricerca può spaziare dai blasoni popolari ai canti (d’autore e popolari) ai miti e alle leggende, dalle formule (augurali e magiche) a indovinelli e imbonimenti. Il menù “Usanze ed eventi” propone un gaio repertorio di giochi, rappresentazioni e varie espressioni della vita quotidiana. Altrettanto ricca e variegata la proposta alla voce “Cultura materiale”: si spazia dall’abbigliamento alle abitazioni, dai lavori e mestieri agli utensili della vita domestica, dalle piante medicinali alla zoologia popolare.

La Padania, 07/05/2008

mercoledì 7 maggio 2008

VERONA. I leoni dell’Adige sono romani

VERONA. I leoni dell’Adige sono romani
Bartolo Fracaroli
23 febbraio 2007, L'ARENA

Per gli studiosi le statue ritrovate nel fiume fra i ponti di Castelvecchio e Risorgimento risalgono al primo secolo dopo Cristo

Cavalieri Manasse: «Facevano parte di un grande monumento funebre»
Sono del classico marmo giallo di Sant’Ambrogio di Valpolicella

Ma quante belle congetture e fieri propositi dislocativi per i due splendidi leoni marmorei affiorati in Adige dai lavori del Genio Civile, nella tratta fra i ponti di Castelvecchio e del Risorgimento sul lato verso la Campagnola. Bastava sentire d’insieme un geologo, un archeologo e un paio di storici. Magari anche un archeologo subacqueo.
Romani, sono romani del I secolo dopo Cristo i due leoni. E autentici. Il marmo è il classico giallo di Sant’Ambrogio di Valpolicella, dove la cave erano anche allora attivissime (basta guardarsi in giro per la città). Poi lo trasportavano al fiume, lo imbarcavano su grandi scafi da trasporto e lo portavano in tutta l’Alta Italia, per fiumi e mari e paludi e lagune. Si trova tutto nei libri sui marmi veronesi di Pier Paolo Brugnoli, dai secoli romani a quelli romanici e, per Brugnoli, possono benissimo essere stati scolpiti in riva al fiume in Valpolicella e poi trasportati su acqua, come è accaduto più volte: il naviglio naufragò, perdendoli. «Ci sono state addirittura barche che si sono incendiate e poi sono affondate», dice lo studioso.
Poi si scomoda Giuliana Cavalieri Manasse, responsabile del Nucleo Operativo della Soprintendenza Archeologica del Veneto (per l’età romana) che dichiara: «Facevano parte di una grande erma funeraria, una plastica architettura verticale, che li poneva sopra due figure umane sul cui capo poggiavano simmetricamente la zampa sollevata. Ecco perché a entrambi mancano le zampe: la destra all’uno e la sinistra all’altro. Sono state spezzate al momento dello smembramento del mausoleo. I romani avevano una estesissima area cimiteriale, una grande necropoli, fuori porta San Giorgio che si estendeva sulla Campagnola. Evidentemente sono reperti di spoglio, di riuso. Ve ne sono anche in Emilia e ad Aquileia».
«La Campagnola era costruita. Solo nel Cinquecento fu spianata dai Veneziani dopo la lega di Cambray del 1516. Prima vi erano, a Castelvecchio, la chiesa di San Martino in Aquaro e fra i coltivi l’importantissima San Giovanni in Sacco fatta erigere da Leonetta Malaspina, dignitario dei Della Scala nel XVI secolo, con un ospizio per nobili decaduti. Lui morirà nel 1352 e verrà collocato nella navata il monumento funebre ora al Victoria and Albert Museum di Londra. Un capolavoro di scultura gotica - dice lo storico docente universitario a Trento Gian Maria Varanini -. Ma i leoni non vengono certo dalle chiese, non sono stilofori, possono esservi stati reimpiegati, occorrerebbero analisi petrografiche». Non certo il Carbonio 14 come si è letto, dato che funziona solo su sostanze e resti organici, vegetali e animali, non minerali.
«Il fiume prima scava a monte e poi deposita a valle - espone il dottor Roberto Zorzin, conservatore di Geopaleontologia al Civico Museo di Storia Naturale - quindi anche qui il letto si è abbassato evidenziando i reperti, bisogna anche tenere conto di tutte le vicissitudini che l’area ha subito nei secoli, non solo dai muraglioni in poi».
Altri leoni marmorei romani «veronesi» sono al museo Maffeiano e dietro l’erma di Umberto I al ponte Navi, il coperchio di un sarcofago che, un tempo, era vicino alla Porta dei Leoni nella via omonima.
Mentre adesso il fiume è considerato solo un corpo estraneo ingombrante della città, un tempo ne era parte vitalissima. Per questo non sorprende che vi siano ancora affioranti testimonianze delle passate civiltà. Adesso sono dentro l’ex caserma austriaca a lato di San Tommaso Cantauriense, affidati per competenza al Servizio di Archeologia Subacquea Alta Italia del gruppo «Nausicaa».

VERONA. I leoni romani? Forse guardiani dell’Adige

VERONA. I leoni romani? Forse guardiani dell’Adige
di Enrico Giardini
Martedì 27 Febbraio 2007 L'ADIGE, VERONA

Dal 23 al 29 settembre l’edizione 59 del prestigioso premio portato a Verona da Petruccioli e Meocci. Attesi inviati da tutto il mondo
Il Prix Italia andrà in onda in città
Alla Gran Guardia la rassegna internazionale dedicata a programmi tv, radio e web
Le sculture di epoca imperiale ritrovate durante gli scavi nel fiume

Accertata l’autenticità. In arrivo esperti dal ministero

A Verona arriverà il meglio dei programmi radio, tivù e web. La nostra città ospiterà infatti dal 23 al 29 settembre l’edizione numero 59 di Prix Italia, festival internazionale che premia il meglio della produzione radiotelevisiva. Fondato dalla Rai nel 1948, già svoltosi a Verona nel 1962, Prix Italia comprende come soci attivi 92 organismi radiotelevisivi pubblici e privati, in rappresentanza di 43 Paesi di cinque continenti. Soltanto dai soci possono giungere i programmi in concorso, che verranno visti, ascoltati e giudicati da sette giurie internazionali composte da registi, produttori, dirigenti di organismi radiotelevisivi, studiosi e professionisti. Tutti inviati a proprie spese dagli organismi membri del premio, presieduto dal 2004 da Caroline Thomson, dirigente dell’emittente inglese Bbc.
I lavori della giurie si svolgeranno alla Gran Guardia a partire da domenica 23 settembre. Entro giovedì 27 i giurati esprimeranno una terna di finalisti per ciascuna delle categorie, vale a dire radio, televisione e web. Le giurie incontreranno poi gli altri delegati del Prix Italia per un dibattito sui criteri di qualità che hanno portato a scegliere i finalisti.
Ad annunciare la scelta di Verona come sede di Prix Italia — al traguardo hanno lavorato il presidente della Rai Claudio Petruccioli e soprattutto, quand’era direttore generale Rai, Alfredo Meocci — sono stati il sindaco, Paolo Zanotto e il direttore dei Servizi istituzionali Rai Pierluigi Malesani, con il presidente della Provincia Elio Mosele, il sovrintendente della Fondazione Arena Claudio Orazi e il dirigente regionale Cultura Angelo Tabaro. «Con grande soddisfazione Verona accoglie l’edizione 2007 di Prix Italia», ha detto Zanotto, «che ha sempre creato un forte legame con la città ospitante. Sono certo che sapremo cogliere questa occasione per promuovere e valorizzare il nostro territorio, anche grazie al contributo di Provincia e Regione, nostri partner nell’iniziativa».
Malesani ha sottolineato il coinvolgimento della città: «Oltre a uno spettacolo in Arena, nei giorni finali della manifestazione ci saranno seminari sui temi più rilevanti della produzione audiovisiva, convegni professionali, anteprime di programmi Rai, collegamenti con l’Università che esprimerà la giuria giovani. La Rai trasmetterà ogni giorno un servizio di un quarto d’ora sulla rassegna, insieme a immagini di Verona». Il sovrintendente Orazi accosta invece le stagione lirica areniana, «che quasi 100 anni fa ha saputo reinventare l’opera e farne uno spettacolo popolare», con la televisione e la radio, «che pure hanno un grande impatto popolare».
La Rai incrocia ancora Verona, dunque, e a questo proposito Mosele, presidente della Provincia che ha concesso in affitto un suo stabile per la sede Rai, ha auspicato però che «l’antenna Rai di Verona, già installata nella sede in centro città, possa essere utilizzata di più, anche per coprire il lago di Garda». Mosele si augura poi che nel Prix Italia quest’anno si assegni il premio al documentario musica e arte, non dato nel 2006. «La giuria non ritenne di avere prodotti di qualità tale da meritare un premio», ha detto Malesani. «Ci auguriamo che quest’anno venga assegnato, perché sarebbe la prova di programmi di qualità».


La città, da pochi giorni, ha un nuovo tesoro: i due leoni romani trovati durante i lavori effettuati dal Genio Civile nel letto dell’Adige a monte del ponte di Castelvecchio, dal lato della Campagnola, a trenta metri dalla sponda. Sono lunghi 125 centimetri, larghi 65, alti 90.
Possenti e mansueti, ricchi di dettaglio: accurate le zampe e le criniere aperte a raggiera (di entrambi, anche se uno è femmina con cinque grosse mammelle), definite le orecchie, accennata la coda, a bocca aperta, adirittura con la chiostra inferiore dei denti in evidenza (solo uno, l’altro ha perso parte della mandibola), la muscolatura armoniosa. Non sono stilofori, cioé non reggevano colonne.
Erano simmetrici, parte probabilmente di un mausoleo romano del primo secolo, un monumento funebre grandioso che ne prevedeva la collocazione sopra due figure umane marmoree intere. «Per questo entrambi hanno la zampa sinistra mutilata, perchè era solidale con il testa scolpita dell’erma rappresentata, ed è stata staccata di netto al momento della vandalizzazione», spiega Giuliana Cavaliere Manasse, responsabile della Soprintendenza Archeologica di Verona.
Nel letto del fiume sono stati recuperati altri grandi blocchi dello stesso marmo Biancone (tra il giallino ed il bianco) che rimandano a soglie o a basi di pilastri, viste le incassature centrali che hanno per i cardini di metallo.
Il capotecnico Sergio Bombieri del Nucleo Operativo Archeologico controllerà anche tutti gli altri blocchi squadrati emersi dalle ghiaie e preservati del Genio civile. Dal ministero arriveranno archeologi specialisti in leoni romani a studiarli, l’autenticità è certa. Ma perchè erano li? Forse per difendere la città dal fiume. Sotto la Campagnola c’era un estesissimo cimitero romano, addirittura sotto l’ospedale maggiore, c’è un luogo chiamato Arca Rotta che pure ha dato reperti. Causa l’emergenza fluviale o le prime invasioni barbariche si dovette costruire in fretta una barriera, con tutto quanto di solido si aveva sottomano. L’imperatore Gallieno nel 265 ne ha dato ampia prova nelle sue mura urbane. In via Leoncino, angolo via San Cosimo due busti romani sono murati rovesci. In via Amanti ci sono paraste e lapidi inserite di taglio e coricate.
Serviva fare muro, per le mura, con i marmi ma anche con le sculture, gli stipiti, le soglie, i sarcofagi. Ed i leoni. Una straordinaria scoperta. Una ricchezza ritrovata.
Bartolo Fracaroli