lunedì 29 dicembre 2008

Completato il "puzzle" di Andrea Mantegna

Completato il "puzzle" di Andrea Mantegna
Alfredo Pescante
Il Gazzettino (Padova) 29/12/2008

Il Laboratorio Mantegna di via Dottori, diretto da Domenico Toniolo, sta completando il suo compito. Costituito alla fine del 2001, ha visto al lavoro studiosi come Massimo Fornasier, Camilla Zanuso e Rocco Cazzato e numerosi studenti universitari.
Sarà un vero peccato se quanto realizzato in questi anni non avrà seguito, perché l`equipe, che ha creato il programma dell`anastilosi informatica" e delle "armonie circolari", capaci di individuare con grande precisione nel mare di frammenti (ben 78.462) degli affreschi della cappella Ovetari agli Eremitani, il punto preciso dove andavano ricollocati, ha introdotto un metodo ormai riconosciuto a livello mondiale nel campo del restauro.
«Mi ero interessato del problema della ricostruzione degli affreschi di Mantegna già nel 1993 - dice l`ex docente di Fisica, Toniolo - e la ricerca è vissuta all`inizio grazie al supporto dell`Università di Padova. Poi è intervenuta la Fondazione Cariparo con due consistenti finanziamenti che ci hanno permesso il lavoro di recupero di molti frammenti della parete destra e ora di quella sinistra, la più disastrata.
Da un anno al Laboratorio Mantegna lavorano solo tre persone: Camilla Zanuso, studiosa d`arte, Rocco Cazzato, consulente informatico, ed io, puntando più sulla qualità, anche perché il finanziamento si sta esaurendo. C`è la sensazione che, terminato il recupero di quanto possibile nella parete sinistra, si esaurisca il progetto. Dispiace molto perché così va perduta l`esperienza di assoluto valore accumulata in questi anni da tante persone che potrebbero metterla a disposizione per altri interventi analoghi.
L`affitto dei locali dove lavoriamo scade il prossimo febbraio, e non ci sono segnali per un proseguimento dell`attività».
Toniolo, autentico volontario perché non ha percepito compensi per il suo lavoro, nonostante arrivi da Rossano Veneto ogni mattina in via Dottori, si dice soddisfatto del risultato.
«Via via abbiamo migliorato le fasi di ricerca che ci hanno consentito risultati insperati: abbiamo ricevuto i complimenti non solo degli addetti ai lavori. Il recupero dei frammenti della parete sinistra, in totale 4.541, consente agli storici dell`arte di individuare le varie fasi della formazione non solo compositiva, ma anche tecnica di Mantegna, autore delle sei scene». Camilla Zanuso commenta: «Abbiamo migliorato la situazione virtuale dagli inizi, offrendo ai restauratori una mappatura degli affreschi. Così sono riusciti a ricostruire i dipinti, grazie a una particolare sensibilità e conoscenza delle malte e dei pigmenti adoperati da Mantegna che hanno consentito di collocare i frammenti nel posto giusto.
Nelle zone in cui non ha avuto successo la ricerca informatica, lo stesso risultato lo hanno ottenuto anche i restauratori». «Ci sarebbe la possibilità - chiude Cazzato - di ricostruire anche gli affreschi dell`abside e della volta, importante perché vi operarono i veneziani Giovanni d`Alemagna e Antonio Vivarini e il padovano Nicolò Pizolo».
A dimostrare l`importante, continua evoluzione del metodo di Toniolo basti ricordare che dal 18 febbraio scorso, quando i frammenti complessivamente recuperati arrivavano a 3.200, con una media giornaliera di 2,61 pezzi, al 9 dicembre gli ulteriori frammenti sono aumentati di 1.341 unità, con una media giornaliera di 4,51. Tutte e sei le scene sono state arricchite di "tessere", con un picco in quella del "Giudizio di san Giacomo" che ha toccato quota duemila.

domenica 28 dicembre 2008

Valpolicella, la sfida del Parco

Valpolicella, la sfida del Parco
Domenica 28 Dicembre 2008 PROVINCIA Pagina 30 L'ARENA

Non è stata abrogata la disposizione ministeriale che definisce l’area «di notevole interesse paesaggistico»

Serego Alighieri: «L’edificazione continua penalizza anche prodotti come l’Amarone»

I provvedimenti di legge che tutelano la Valpolicella non sono stati aboliti. A darne notizia con soddisfazione è Pieralvise Serego Alighieri, presidente dell’associazione Salvalpolicella, che proprio in questi giorni ha ricevuto rassicurazioni da Roma. La scorsa estate il presidente dell’osservatorio aveva inviato una richiesta al ministro Sandro Bondi, chiedendo chiarimenti sul decreto legge del 25 giugno 2008 n. 112 sulla «semplificazione normativa» che prevede l’abrogazione di più di tremila leggi , tra le quali anche la 1497 del 29 giugno 1939 sulla protezione delle bellezze naturali, da cui derivava il famoso decreto del 1957, in cui il ministero della Pubblica istruzione di allora dichiarava la Valpolicella area di notevole interesse paesaggistico.
Nella risposta del ministero per i Beni e le attività culturali, arrivata dal servizio Pianificazione e qualità del paesaggio e firmata dal direttore generale Francesco Prosperetti, si dice che l’abrogazione della legge 1497/1939 non comporta alcuna decadenza dei provvedimenti di tutela tra i quali il decreto ministeriale 23 maggio 1957. «Come Salvalpolicella avevo scritto al ministro Bondi, chiedendo un suo intervento sulla questione anche in relazione alle recenti prese di posizione riguardo la situazione della Valpolicella e all’accordo firmato lo scorso 19 settembre con il governatore Galan, in cui si prevede la redazione congiunta del piano paesaggistico regionale», afferma Serego Alighieri, «il rischio che venisse abrogata la legge sulla tutela della Valpolicella era grosso e avrebbe dato un altro colpo alla nostra battaglia. Ora la risposta, pur nella sua brevità e freddezza burocratica, è importante perché ci dice che il decreto è ancora efficiente, in un momento in cui le cose stanno andando nella direzione opposta. Infatti, girando in Valpolicella, si vedono sempre più insediamenti, ed è urgente trovare un nuovo modo di pensare il territorio».
La Valpolicella continua a subire l’attacco dell’edilizia, ma questo penalizza, secondo Serego, anche il vino. «C’è una situazione di decadimento. Il suo prodotto più rinomato, l’Amarone, è a prezzi risibili e rischia di perdere in immagine e retrocedere di qualità. Sono molti i nemici da cui bisogna difendersi. Se sviliamo il prodotto e il territorio con nuove edificazioni, e molte sono quelle progettate, ci ritroveremo nel giro di pochi anni qualità. Coloro che hanno a cuore il futuro della Valpolicella, amministratori e produttori, si devono rendere conto di questo e devono impegnarsi a difendere un patrimonio che poche altre regioni italiane possono vantarsi di possedere».
Inevitabile il riferimento al Parco regionale della Valpolicella, che sta seguendo il suo iter burocratico; con l’inizio del nuovo anno dovrebbe anche cominciare la raccolta delle cinquemila firme necessarie a far decollare il progetto. «L’Ufficio legale regionale sta mettendo a punto la parte giuridica, relativa a come deve essere presentato il progetto», continua Serego Alighieri, «si tratta di un concetto allargato di parco, come avviene all’interno dei parchi agroalimentari, che darà la possibilità di crescita e di un vero sviluppo, mantenendo l’immagine della vallata, migliorando la qualità di quello che si produce. E’ necessario puntare sulla valorizzazione, in modo da evitare la massificazione».

mercoledì 24 dicembre 2008

Padova - Quel rustico non s'ha da fare L'abbazia di Praglia vince al Tar

Padova - Quel rustico non s'ha da fare L'abbazia di Praglia vince al Tar
Enzo Borditi
Il Mattino di Padova, 24 dicembre 2008

Babbo Natale ha portato un regalo sontuoso ai frati dell'abbazia di Praglia, rappresentata dall'abate padre Bruno, al secolo Corrado Marin: la vittoria al Tar contro il comune di Teolo, l'Ente Parco Colli e il ministero per i Beni e le Attività culturali. Il Tribunale amministrativo del Veneto ha annullato sia la concessione edilizia rilasciata dal Comune, sia il presupposto nullaosta ambientale dell'Ente Parco relativo alla realizzazione di un nuovo rustico a ridosso della storica abbazia. Una vittoria «firmata» dagli avvocati Sergio Dal Prà e Fiqrenza Scagliotti.
La concessione edilizia «bocciata» dal Tar (3 maggio 2000, n. 61/20000) venne rilasciata al titolare dell'azienda agricola a conduzione familiare Gianni Sgarabottolo. Il progetto prevedeva la realizzazione di un rustico a due piani da adibire a cantina. In particolare, il piano terra sarebbe stato destinato alla lavorazione del vino, il primo piano alla vendita. Il tutto previa demolizione e ricomposizione di alcuni volumi già utilizzati come ricovero di animali e deposito attrezzi, precedentemente condonati.
Una lite giudiziaria snervante. L'abbazia di Praglia impugna la concessione edilizia, nonché il nullaosta ambientale dell'Ente Parco «tacitamente conferito dalla Soprintendenza per inutile decorso del termine». Sgarabottolo e il ministero dei Beni Culturali esibiscono
in via preliminare l'irricevibilità del ricorso per tardività e, comunque, l'inammissibilità per difetto d'interesse. Per giudici del Tar «va disattesa l'eccezione sulla irricevibilità del ricorso» in quanto la prova della piena ed effettiva conoscenza della concessione edilizia rilasciata ad un terzo (e quindi anche delle autorizzazioni paesaggistiche) deve intendersi concretata non con il mero inizio dei lavori ma solo con la loro ultimazione, o almeno quando i lavori stessi siano giunti ad uno stato di avanzamento tale che non si possa avere più alcun dubbio in ordine alla consistenza, all'entità e alla reale portata dell'intervento edilizio assentito».
Per il Tar risulta inoltre «analogamente infondata l'ulteriore eccezione d'inammissibilità del proposto gravame per difetto d'interesse a ricorrere». Ferma e incontrastata è invece «la legittimazione ad impugnare della ricorrente, derivante dalla vìcìnitas dei due fondi». Analogamente viziato anche il nullaosta dell'Ente Parco poiché l'area è all'interno del perimetro «dove sono inibite nuove edificazioni e gli ampliamenti delle costruzioni esistenti».
Comune di Teolo ed Ente Parco ricorreranno al Consiglio di Stato, ma intanto assieme al padrone del rustico dovranno rifondere all'abbazia le spese di giudizio fissate in 6 mila euro.

VENETO - «Cinque milioni alla Curia? Non se ne parla»

VENETO - «Cinque milioni alla Curia? Non se ne parla»
AldaVanzan
IL GAZZETTINO, 24 dicembre 2008

"Dunque, sono cinquanta milioni in tutto: 35 ai Comuni di Venezia e della gronda, 10 alla Regione Veneto, 5 alla Curia veneziana". Il ministro Altero Matteoli presenta la ripartizione dei fondi e nella Sala Verde di Palazzo Chigi cala il gelo. Sguardi stupiti, occhi sgranati. Cinque milioni di euro alla Curia? Giancarlo Galan quasi sobbalza sulla seggiola. Massimo Cacciari non è da meno. Seduti uno accanto all'altro, proprio di fronte al sottosegretario della presidenza del Consiglio Gianni Letta che presiede la riunione e agli altri ministri, i due rivali in laguna a metà pomeriggio dell'antivigilia di Natale si alleano. Non è anticlericalismo. Non è nemmeno un tentativo di rinverdire l'antica volontà di autonomia della Serenissima dalla Chiesa di Roma. Anzi: la Regione in questi anni ha sostenuto parecchi interventi della Chiesa veneziana. Idem il Comune. Ma dare un finanziamento alla Curia in sede di Comitatone, con la Curia che del Comitatone non fa parte, non sembra appropriato. Fuori dai denti: "Non ha senso"! È così che Matteoli "cede" e la Regione Veneto alla fine porta a casa non 10 ma 15 milioni. Nella sostanza probabilmente non cambierà granché: facile che Palazzo Balbi, come in passato, eroghi ancora contributi alla Chiesa veneziana per altri interventi sugli immobili storici. Ma il dato di fatto è che gli "alleati" Galan e Cacciari su questo fronte la spuntano. Insieme.
Raccontano sia finita a sor-risoni e pacche sulle spalle. Cinquanta milioni tra tutti gli
enti non sono gli ottanta che inizialmente erano stati chiesti (solo Ca' Farsetti ne aveva domandati una sessantina), ma piuttosto che il niente è sempre meglio il piuttosto, specie se stiamo parlando di quasi 100 miliardi di vecchie lire. Per carità, non è che i rapporti tra Comune e Regione adesso siano idilliaci. Cacciari, ad esempio, non dice né a né ba quando Galan, davanti a Letta e ai ministri Matteoli, Brunetta e Prestigiacomo, lo contesta sul tema dei contributi ai privati per il restauro dei palazzi o per il proseguimento dei lavori della Cittadella della giustizia ("Già vi siete fatti piazza Ferretto con i fondi della Legge speciale"). E Cacciari non replica nemmeno quando il governatore, visto che il Mose ormai va avanti e nel 2014 dovrebbe essere finito, arriva a invocare una nuova Legge speciale per Venezia. Il sindaco tace anche quando - con Galan prima e Letta poi - viene auspicato un cambio di atteggiamento da parte del Comune in merito al ricorso in sede Ue sulla cosiddetta "Direttiva Uccelli". Ma Cacciari quel che doveva dire già l'aveva detto in apertura dei lavori e cioè che senza i fondi della Legge speciale la città si ferma. E, dopo un improvviso guasto del computer, ai presenti vengono mostrati i video sull'acqua alta del 1."dicembre e sui lavori compiuti da Insula. Si parla ovviamente anche del Mose ed è chiaro a tutti che, senza mai citarlo, sono rivolte al presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati (con vistoso cerotto alla tempia) le parole di elogio di Gianni Letta. La riunione è affollata. Tra i ministri anche Sandro Bondi, che a metà riunione però deve partire per Milano. Accanto a Galan e Cacciari i sindaci di Chioggia Romano Tiozzo e di Jesolo Francesco Calzavara. E poi il vicesindaco di Venezia Michele Vianello e, per la Regione, l'ingegner Casarin e il portavoce di Galan Franco Miracco. Il presidente del Magistrato alle acque Patrizio Cuc-cioletta da prassi svolge le funzioni di segretario verbalizzante. Ci sono anche la sovrintendente Renata Codello e Roberto Cecchi dei Beni culturali. Dura tutto un'ora e mezza. Ed è sul finire della riunione che i 5 milioni della Curia saltano. Almeno, formalmente.

lunedì 22 dicembre 2008

Mistero e fascino religioso delle gemme magiche

Mistero e fascino religioso delle gemme magiche
Sabato 20 Dicembre 2008 CULTURA Pagina 65 L'ARENA

RARITÀ. PRESENTATA UNA PREZIOSA PUBBLICAZIONE EDITA DALL’ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO

Alla pubblicazione curata da Attilio Mastrocinque ha collaborato anche l’Università di Verona

Gemme magiche, in un nuovo volume i risultati di lunghe e attente ricerche. Frutto di una collaborazione tra l’università di Verona e il ministero per i Beni culturali, il testo curato dal professor Attilio Mastrocinque raccoglie le gemme di molte collezioni museali italiane, tra cui quella dei Medici del Museo di Napoli e del Correr del Museo civico di Venezia, nonché di serie private.
Con questa seconda raccolta di disegni e descrizioni di gemme di ambiente gnostico dal titolo «Sylloge gemmarum gnosticarum parte II» edita dall’Istituto poligrafico e zecca dello Stato (328 pagine, 40 euro), si mette a disposizione della comunità scientifica una vasta scelta di gemme magiche di specifico interesse religioso. Particolare attenzione è stata posta alla storia delle singole collezioni, in quanto, il fatto che le gemme siano conservate in Italia non prova che siano state trovate sul territorio nazione come pure che vi siano state realizzate. Una singolarità delle gemme magiche è di avere raramente dati sulla loro scoperta. Si tratta quasi sempre, infatti, di reperti entrati nelle collezioni in seguito a rinvenimenti non controllati dagli archeologi. Di fatto, le gemme magiche o gnostiche sono una variegata categoria di intagli in pietra semipreziosa dedicati ad iconografie religiose non convenzionali.
«Molte di queste gemme sono degli amuleti contro varie malattie o demoni e gli antichi sceglievano con cura le pietre da usare, in base al patrimonio tradizionale della scienza dei caldei, dei magi e dei sacerdoti egiziani», spiega Mastrocinque. «Erano questi, infatti, che conoscevano le occulte proprietà di pietre, piante e animali. La svolta negli studi delle gemme gnostiche si ebbe con la pubblicazione dei papiri magici di Tebe, scoperti nell’Ottocento, che permisero nel secolo successivo l’interpretazione e la comprensione di queste pietre attraverso precisi confronti con le ricette di magia in greco o in copto».
Prosegue Mastrocinque: «Lo studio di questo genere di testimonianze richiede un difficile lavoro interdisciplinare e competenze di prim’ordine in molti campi del sapere: dall’astronomia alla storia delle religioni dei popoli orientali, dalla letteratura greca a quella egiziana e mesopotamica, dalla paleografia agli studi biblici, dall’iconologia alla mineralogia».
La più ricca collezione di gemme magiche è conservata al Museo Archeologico di Firenze seguita da quella del Museo nazionale romano, ma anche a Castelvecchio è custodita una collezione di pezzi davvero unici. Tra questi una gemma con la raffigurazione del dio più famoso di Tarso, Sadas, con il mostro che di norma lo accompagna. «La particolarità di questa gemma è che al rovescio compare con molta probabilità il nome della dea che accompagnava il dio, Yoyo, che nelle tavolette ittite suonava come Yaya, ma la pietra è del III secolo d.C.», chiarisce Mastrocinque.
«Il mostro di Sandas, grazie allo studio della gemma veronese, si è rivelato essere il prototipo della Chimera greca, essendo un leone-capra alato. Nel museo veronese vi è anche un altro pezzo considerato singolare: la testimonianza di una triade della città di Ascalona, in Palestina. Vi compaiono Afrodite che tiene la colomba, Perseo, vincitore di una delle Gorgoni, e un dio locale con corona egiziana accompagnato da tre leoni.
Tra i pezzi che si distinguono nella collezione di Castelvecchio, poi, se ne evidenzia uno per l’uso del tutto eccezionale del Turchese. La gemma raffigura una specifica iconografia di Horus, che prende il nome di Harpokrates. Abbiamo il grande dio egiziano Serapide abbinato con il dio dalle gambe di caprone Pan: dio venerato anche in Egitto e ritenuto, in epoca tarda, l’immagine della totalità».

mercoledì 17 dicembre 2008

Il ritorno di Canova: duecento capolavori e due scoperte

Corriere della Sera 17.12.08
Una grande mostra dedicata al padre del neoclassicismo italiano si aprirà a Forlì il 25 gennaio
Il ritorno di Canova: duecento capolavori e due scoperte

Una delle contestazioni mosse alla «mostramania» che dilaga nel nostro sistema museale è la mancanza di una ragione scientifica che giustifichi una rassegna. E che non sia, ovviamente, la legge degli incassi. Non sarà, per fortuna, questo il caso della grande mostra «Canova - L'ideale classico tra scultura e pittura» che si aprirà nei Musei di San Domenico a Forlì il 25 gennaio 2009 per chiudere il 21 giugno. Per il semplice fatto che i curatori (Fernando Mazzocca e Sergéj Androsov ma il comitato scientifico è presieduto da Antonio Paolucci, attuale direttore dei Musei Vaticani dov'è stato presentato ieri l'appuntamento) proporranno tanto agli studiosi quanto al pubblico due inediti di Antonio Canova.
Un piccolo olio su tela, una «Mezza figura di fanciullo in atto di guardare un uccello », in realtà un ritratto del giovane principe polacco Henryk Lubomirski come San Giovannino: una «stesura veloce» come scrive Fernando Mazzocca, al punto che si intravvede ancora la trama della tela «come spesso nei dipinti canoviani». E una seconda versione del famoso ritratto di Domenico Cimarosa, qui in forma di erma.
Forlì e l'intera area romagnola furono luoghi fondamentali non solo per Canova ma per tutto il momento neoclassico. Puntare su questo sfondo geografico e culturale per ora non inserito nei grandi circuiti turistici è la interessante scommessa della mostra, organizzata in collaborazione con i Musei Vaticani, le Soprintendenze di Firenze, Roma e di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini, i musei Civici veneziani e il museo Correr, ovviamente la straordinaria Gipsoteca canoviana di Possagno. Ci sarà tutto Canova: sculture, disegni, pitture. Duecento capolavori ricostruiranno il suo itinerario creativo.
Soddisfatto Antonio Paolucci: «Come Raffaello, Antonio Canova regalò al mondo la consolazione della Bellezza».

lunedì 15 dicembre 2008

10 dicembre 1508, un anniversario passato quasi sotto silenzio

Il Gazzettino, 15 dicembre 2998

10 dicembre 1508, un anniversario passato quasi sotto silenzio
10 dicembre 1508, un anniversario passato quasi sotto silenzio: eppure cinquecento anni fa, contro la Serenissima Repubblica di Venezia, accusata di voler diventare lo stato egemone della penisola, di aspirare alla monarchia d'Italia, si formava la Lega di Cambrai, un vero e proprio trattato di aggressione sotto gli auspici del papa Giulio II (l'artefice della Basilica di San Pietro) per riportare l'orologio della storia veneziana in terraferma indietro di un secolo.

Nel corso del Quattrocento, temendo di essere accerchiata dalla parte di terra e di dover sottostare alle imposizioni dei vicini, Venezia aveva abbandonato il tradizionale imperativo di coltivar el mar e lassar star la tera', dando appunto origine al suo Stato da terra.

Poi, all'alba del Cinquecento, morto il papa Alessandro VI Borgia (1503) e crollato l'effimero stato del figlio Cesare, i veneziani avevano cercato d'ingrandirsi, sottraendo Ravenna e la Romagna alla Santa Sede. «Armerò contro di loro tutti i prìncipi della cristianità», furono le prime parole del nuovo papa Giulio II che si proponeva così di «far cessare le perdite, le ingiurie, le rapine, i danni che i Veneziani hanno arrecato non solo alla Santa Sede Apostolica, ma al Santo Romano Imperio, alla Casa d'Austria, ai Duchi di Milano, ai re di Napoli ed a molti altri principi occupando e tirannicamente usurpando i loro beni, i loro possedimenti, le loro città e castella».

Si formava la Lega di Cambrai tra l'imperatore Massimiliano I d'Austria, il re di Francia Luigi XII, lo spagnolo Ferdinando il Cattolico e altri piccoli stati; il papa, completando la coalizione che intendeva spogliare Venezia di tutti i suoi possedimenti e spingerla dentro la laguna per poi spartirsi i suoi domini, vi aderì all'inizio del 1509 e lanciò subito l'interdetto, cioè la sospensione di tutte le funzioni religiose, che la Repubblica rese però nullo proibendone la pubblicazione sotto la minaccia di pene severissime.

Eamos ad bonos venetos (andiamo con i buoni veneti) era stato nel 1416 il grido dei cadorini, che stanchi delle continue lotte tra il sacro romano imperatore e i vari signori per il possesso del castello di Pieve di Cadore e del territorio circostante proclamavano l'annessione alla Repubblica. E qui bisogna riconoscere, una volta per tutte, come scrive Charles Diehl, che Venezia governò bene i suoi nuovi possedimenti: nelle città di terraferma rispettò con cura le istituzioni locali, confermò gli statuti municipali, le magistrature, i consigli, confermò alle famiglie nobili gli antichi diritti di cui godevano, limitandosi ad inviare in ogni città un podestà per le cose civili e un capitano per le cose militari, assicurò un regime di giustizia e di protezione, sviluppò il benessere materiale, impose soltanto imposte moderate, si applicò in tutti i modi per soddisfare le popolazioni.

Eamos ad bonos venetos: fidando nell'eco di quel grido, segno di appartenenza e di fedeltà, fidando nella lealtà delle città che formavano lo Stato da terra, la Serenissima si preparò a dare battaglia sul piano diplomatico e su quello militare.

Mentre gli spagnoli ricevevano spontaneamente dalla Serenissima i porti della Puglia, i francesi iniziavano le ostilità sulla linea dell'Adda; l'esercito pontificio occupava Faenza, Ravenna, Cervia e Rimini; i vassalli di Massimiliano confinanti con la Serenissima calavano da Nord conquistando Feltre, Belluno, Trieste ed altre città; Alfonso d'Este si prendeva Rovigo, Este, Montagnana e Monselice; Gianfranco III Gonzaga si appropriava di Asola e Lonato.

Venezia, pesantemente sconfitta ad Agnadello (maggio 1509) vedeva i propri nemici arrivare fino ai bordi della laguna, mentre il malcontento dei nobili di terraferma di varie città del Veneto contro il governo della Repubblica, da cui erano stati sempre esclusi, faceva sì che parecchie città come Verona, Vicenza e Padova si concedessero ai tedeschi. Tutto il dominio sembrava crollare quando a Treviso cominciò la riscossa filoveneziana dei ceti popolari e dei contadini al grido di Viva San Marco! (10 giugno 1509). Padova veniva riconquistata, mentre il papa, soddisfatto nelle sue richieste, toglieva l'interdetto. L'abile lavoro diplomatico impostato sulle gelosie che attraversano la Lega cominciava a dare i suoi frutti. Rimanevano in campo il re di Francia, l'imperatore Massimiliano e Alfonso d'Este. I primi erano costretti a ritirarsi dall'Italia dopo sanguinosissime battaglie. Massimiliano si diceva disposto a cedere le province venete dietro il pagamento di un tributo annuo per l'investitura. Venezia rifiutava e cominciavano i rovesciamenti di alleanze. Il papa faceva lega con Massimiliano, ma poco dopo moriva (21 febbraio 1513). Gli succedeva Leone X. Venezia si alleava con la Francia contro Massimiliano.

Alla fine dei giochi, al Congresso di Bologna (1530), la Repubblica riottenne il suo Stato da terra fino all'Adda. Fu un capolavoro politico. Di fatto, il dominio di terraferma assumeva la sua forma iniziale attraverso i patti di dedizione, che vedevano territori e città contrattare (in modo effettivo) la loro aggregazione a Venezia. Si scopriva così che la città-stato era amata soprattutto dai sudditi più umili: fu proprio nei giorni tremendi seguiti alla sconfitta di Agnadello che si palesò l'attaccamento dei ceti popolari e dei contadini alla Repubblica in aperto contrasto con i vecchi padroni, con la nobiltà legata alle tramontate Signorie: «Fu una lotta furiosa, incredibile partigiana la quale basterebbe a dimostrare che, fra i vecchi padroni feudali e i nuovi, i contadini avevano decisamente scelto Venezia» (Giuseppe Fiocco).

Data per morta, la Serenissima risorge e si appresta a dimostrare di avere ancora una vita opulenta, di essere ancora la città più ricca e più lussuosa del mondo, capace di celebrare se stessa: affida il compito a grandi artisti del tempo, alcuni dei quali erano affluiti in laguna dopo il sacco di Roma (1527), perpetrato dai lanzichenecchi. Erano arrivati Codussi, Palladio, Sansovino, Sanmicheli, Scamozzi e altri. L'arte diventava così lo strumento di propaganda politica: Venezia voleva diventare la nuova Roma. Nasceva il mito di Venezia, la Repubblica ideale, la sede della libertà e della giustizia.

Giovanni Distefano

giovedì 11 dicembre 2008

Acqua alta e onde, la riva in pezzi

Acqua alta e onde, la riva in pezzi
Corriere del Veneto, 9 dicembre 2008

Riva dei Sette Martiri a pezzi. A crollare questa volta sono stati i gradoni della riva d'acqua di una delle passeggiate più belle di Venezia Un dissesto improvviso segnalato almeno tre giorni fa con le fettuccine bianche e rosse dai vigili urbani che continua però a rimanere in bella vista. Ma non è l'unico «buco». La riva dei Sette Martiri si è trasformata in una gruviera con cedimenti vari e crolli di pietre. Un allarme questo lanciato dall'Osservatorio Trasformazioni Territoriali e Sociali dell'Associazione Ambiente Venezia che ha immortalato i crolli. «La città cade a pezzi ma i soldi vanno solo al Mose alle lobby d'imprese del Consorzio Venezia Nuova. L'ultimo esempio arriva dai crolli di riva dei Sette Martiri nel tratto che va dal Museo Navale al pontile dei giardini della Biennale — ha commentato Luciano Mazzolin, portavoce dell'Associazione Ambiente Venezia — e dimostrano che i danni documentati da oltre un anno dalla mostra Multimediale Venezia Crepa stanno aumentando e peggiorando sempre di più con una velocità paurosa». Le scene sono inequivocabili: ai piedi del ponte sono crollati i gradoni che portano dalla riva all'acqua
Stessa situazione poco più in là. Basta infatti spostarsi dieci metri per incappare in un crollo di masegni e alla caduta in acqua di un pezzo di riva. Non solo, da lunedì scorso la riva ospita pezzi di mattoni e di masegni portati dall'alta marea Nessuno li ha sposati o tanto meno rimossi. «Chi pagherà i lavori di ripristino? Perchè gli enti preposti alla tutela e difesa della città restano immobili ed inadempienti?». Interrogativi questi che Ambiente Venezia gira a Comune, soprintendenza, Magistrato alle acque, Regione e ministeri sperando di avere presto delle risposte concrete.

Attorno all'ultima acquisizione artistica della Banca Popolare di Vicenza si sviluppa una mostra che ha per tema il trionfo.

Attorno all'ultima acquisizione artistica della Banca Popolare di Vicenza si sviluppa una mostra che ha per tema il trionfo.
Edizione del 10/12/2008, IL GAZZETTINO ONLINE

Vicenza
Attorno all'ultima acquisizione artistica della Banca Popolare di Vicenza si sviluppa una mostra che ha per tema il trionfo. Ieri sera a Palazzo Thiene, sede storica dell'istituto di credito berico, alla presenza tra gli altri del presidente Gianni Zonin, del Soprintendente Fabrizio Magani e del curatore Fernando Rigon, è stata inaugurata la tradizionale esposizione Capolavori che ritornano, che rimarrà aperta sino all'8 febbraio. E l'ultimo capolavoro ritrovato nei mercati d'arte nordamericani dalla banca vicentina che da dieci anni è impegnata nel recupero del patrimonio d'arte del territorio veneto, è proprio il Trionfo di Alessandro in Babilonia di Antonio Zanchi, uno dei protagonisti dell'arte veneta del secondo Seicento.

Con Vicenza, il maestro veneziano ebbe a che fare specialmente negli anni tra il 1672 e il 1700, qualificandosi come figura chiave nel rinnovamento dell'arte locale.

Il dipinto, realizzato intorno al 1674, immortala il trionfo dei trionfi cioè l'episodio storico, datato 331 ac, in cui Alessandro Magno entrò vittorioso nella mitica Babilonia che si consegnò ammirata dalla grandiosità del condottiero.Partendo dall'opera di Zanchi, la mostra rende omaggio al mito di Alessandro Magno e affronta il tema del trionfo nella storia nelle sue espressioni (militare, religiosa, allegorica) attraverso un percorso espositivo composto da dipinti e stampe di importanti autori soprattutto veneti.

Accanto al capolavoro di Zanchi vi sono esposti nell'occasione altri due importanti opere raffiguranti lo stesso episodio storico, dipinte da Gaspare Diziani e da Gian Battista Pittoni, che in epoca successiva raccontarono l'avvenimento da differenti angolazioni cronologiche.

«Prosegue con successo commenta Zonin - il nostro progetto di recuperare le opere d'arte venete in giro per il mondo. Con dei primati. Abbiamo infatti la più grande collezione al mondo di oselle veneziane».

A partire dall'11 gennaio via alle Conferenze della domenica, ciclo di incontri a ingresso libero sulla figura di Alessandro Magno, Antonio Zanchi e sul tema del trionfo.Laura Pilastro

Epigrafi romane: a San Giorgio c’è un vero tesoro

Epigrafi romane: a San Giorgio c’è un vero tesoro
Mercoledì 10 Dicembre 2008 PROVINCIA Pagina 24 L'ARENA

Il premio «Policante» - Le iscrizioni sono nella tesi di Riccardo Bertolazzi

Il Centro di documentazione per la storia della Valpolicella ha premiato, alla Società Letteraria di Verona, il giovane ambrosiano Riccardo Bertolazzi. Il riconoscimento, intitolato allo scomparso giornalista de «L’Arena», nonché segretario del Centro, Gianfranco Policante, consiste in una borsa di studio sponsorizzata dalla Banca Valpolicella Credito di Marano. Ogni anno viene premiata una tesi di laurea dedicata ad aspetti storici ed economici della Valpolicella.
Riccardo Bertolazzi si è laureato alla facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Verona con un lavoro di epigrafia romana dal titolo «San Giorgio di Valpolicella: le iscrizioni romane», relatore il professor Alfredo Buonopane. «San Giorgio è senza dubbio il luogo più ricco di epigrafi romane non solo della Valpolicella, ma forse dell’intera provincia», spiega Bertolazzi. «Ne sono infatti attestate finora ben cinquantuno. Nonostante in anni recenti non siano mancati studi specifici sull’argomento, molti dei quali pubblicati peraltro nell’Annuario storico della Valpolicella, l’ultima raccolta complessiva delle iscrizioni di San Giorgio risale alla seconda metà dell’800. Fu Theodor Mommsen, il noto studioso tedesco premio Nobel nel 1902, a schedarle e pubblicarle».
Negli ultimi 130 anni il numero delle epigrafi di epoca romana ritrovate è aumentato considerevolmente. «La mia tesi riporta la raccolta completa», spiega Bertolazzi. «Molte iscrizioni hanno nel frattempo cambiato sede e sono confluite nelle collezioni del Museo archeologico e del Giardino Giusti di Verona e parecchie sono andate disperse o lette in maniera errata. Ho ritenuto opportuno corredare ciascuna scheda di una fotografia dell’originale, dove invece l’epigrafe risultava irreperibile sono ricorso ai disegni di Giuseppe Razzetti, pittore mantovano che, su incarico di un erudito veronese della prima metà dell’800, Girolamo Orti Manara, riprodusse in un album numerose iscrizioni che all’epoca poté vedere di persona».
Molte epigrafi sono però ancora presenti in loco, murate all’interno della chiesa, del chiostro o conservate nel piccolo museo della pieve. «Per questo», aggiunge, «nella prima parte della tesi ho inserito un capitolo dedicato alla storia del chiostro e del tempio. Le iscrizioni testimoniano l’importanza che San Giorgio ebbe come centro di culto già in epoca preromana».
Un capitolo della tesi analizza «il monumento romano più caratteristico di San Giorgio, ovvero un particolare tipo di ara quadrangolare che, con ogni probabilità, veniva prodotta in serie da una bottega di lapicidi per poi essere venduto alla clientela, la quale a sua volta commissionava il testo da incidere e gli eventuali rilievi ornamentali da aggiungere al manufatto grezzo. A San Giorgio questa produzione è proseguita per secoli, visto che è iniziata nel I secolo a.C.».
M.F.

giovedì 4 dicembre 2008

«Un errore per la collettività la vendita di Palazzo Forti»

«Un errore per la collettività la vendita di Palazzo Forti»
Giovedì 04 Dicembre 2008 CRONACA Pagina 10 L'ARENA

ARTE E BILANCI PUBBLICI. Secondo l’International council of Museum

Prestigioso intervento a sostegno della battaglia condotta dal comitato «Per l’amata Verona»

Sulla vendita di Palazzo Forti arriva un parere dal consiglio direttivo di Icom Italia, la sezione italiana dell'International Council of Museums, cioè l'organismo mondiale dei musei, che si rivolge con una «raccomandazione» alla collettività, per appoggiare il comitato «Per l'amata Verona».
Nel dettagliato documento che Icom ha approntato in proposito, viene espressa «perplessità in ordine alla liceità di procedere all'alienazione», ma soprattutto «grave preoccupazione per questa scelta, viste le conseguenze potenzialmente negative che può avere sull'opinione pubblica. Al di là delle contingenza, essa rischia infatti di incrinare quella fiducia nella pubblica amministrazione che ha portato e porta tanti cittadini ad affidare i propri beni agli enti pubblici nel loro complesso, nell’assoluta certezza che quanto ad essi donato sia non soltanto conservato nel pubblico interesse, ma anche trasmesso alle future generazioni».
Osserva Giambattista Ruffo, tra i sostenitori del comitato «Per l'amata Verona»: «Icom si preoccupa nello specifico del caso palazzo Forti, ma mette in luce anche il grave significato che questo gesto avrebbe e la ricaduta negativa: chi si azzarderebbe più a fare donazioni a Verona visto come vanno a finire? I potenziali mecenati preferiranno lasciare la loro eredità ad altre città, più sensibili. E poi Icom tocca un altro punto essenziale, sul legame tra palazzo Forti e la galleria d'arte moderna di Verona».
Icom invita infatti ad «una più approfondita considerazione delle perdite di valore sul piano simbolico per la città e per l'utenza che l'alienazione stessa e il trasferimento delle sedi museali può comportare» e si impegna ad offrire il proprio contributo a collaborare con il Comune per trovare soluzioni adeguate. Un ammonimento che si affianca a quello giunto al comitato «Per l'amata Verona» dal vicepresidente della commissione europea Federico Mayor, che, in qualità di direttore generale dell'Unesco, si era adoperato per conferire alla nostra città il titolo di città patrimonio dell'umanità.
Mayor afferma: «Mi auguro che vi sia un ripensamento nel rispetto dei principi etici e della cultura della quale Verona è e dovrà essere anche in futuro ambasciatrice nel mondo intero, in nome delle responsabilità che si è assunta accettando, la prestigiosa qualifica». A.G.

mercoledì 3 dicembre 2008

Venezia. Marciana, Archivio e palazzo Ducale «Siamo arrivati al limite»

Venezia. Marciana, Archivio e palazzo Ducale «Siamo arrivati al limite»
Edizione del 2/12/2008, il gazzettino online

Rischi anche per la Marciana La soprintendente Codello: «Siamo arrivati al limite sopportabile»

Nessuno dei monumenti veneziani è stato danneggiato dall'acqua alta eccezionale di ieri, ma la soprintendente Renata Codello lancia l'allarme: «Per la Marciana, l'Archivio di Stato e palazzo Ducale siamo arrivati al limite sopportabile. A preoccupare di più è stato il lento deflusso dell'acqua dopo il massimo».


«Siamo arrivati al limite sopportabile». Così la soprintendente Renata Codello sintetizza i rischi corsi dai monumenti veneziani a causa dell'acqua alta eccezionale di ieri, che ha sfiorato i 160 centimetri e che ha minacciato molto da vicino il patrimonio storico della città.

«Le situazioni più critiche - ha spiegato Codello - hanno riguardato l'Archivio di Stato ai Frari, la Biblioteca Marciana e Palazzo Ducale, dove l'acqua ha lambito l'entrata o il gradino di protezione o, nei casi peggiori, pur entrata, non ha comunque causato danni evidenti. La Marciana è una delle più grandi biblioteche d'Italia e contiene una delle più preziose raccolte di manoscritti greci, latini e orientali del mondo».

A preoccupare la Soprintendente, è anche la frequenza di queste alte maree, che un tempo avevano un ciclo di 20-25 anni.

«Ci ha preoccupato - ha sottolineato - la lentezza con cui la marea calava. Speriamo che non accada anche nelle prossime ore».

Sull'emergenza provocata ieri mattina da una marea che saliva a vista d'occhio sulla spinta di un vento che non voleva calare d'intensità, è anche l'associazione 40 x Venezia. Lungi dal lanciare accuse, come in questi frangenti è facile, i "quarantenni" pongono invece sul piatto una serie di questioni. Prima tra tutte, quella dello sciopero Actv che non è stato bloccato in alcun modo nonostante la previsione, se non di una marea eccezionale, di un sicuro disagio.

«Lo sciopero dei mezzi pubblici - annotano i 40 x - annunciato da Actv è stato messo in atto senza alcun "contrordine" nonostante il sempre maggiore aggravarsi della situazione in centro storico (e nonostante quanto previsto dalla Legge 146/1990). Non si capisce perché nonostante sindaco e prefetto siano investiti dei pieni poteri in sede di pubblica sicurezza (il Prefetto ha, in certi casi, la totale facoltà di precettazione), lo sciopero è proseguito fino alle 13 quando è stato sospeso direttamente dalle forze sindacali. Inutile sottolineare quanto utile sia il potersi spostare con i vaporetti quando una marea superiore ai 120 cm rende per lo più inutilizzabili le passerelle, al limite del galleggiamento. O di come sia importante poter garantire le partenze degli autobus verso la terraferma a chi arriva a Piazzale Roma con i piedi fradici e al limite dell'ipotermia».

I quarantenni, insomma si chiedono come mai il sindaco non abbia sentito la necessità di chiedere tempestivamente al prefetto di intervenire con la precettazione. «Tale domanda richiede una risposta chiara ed inequivocabile, che porti ad un'immediata assunzione di responsabilità».

Basilica di San Marco, cripta allagata tengono le paratie all'Archivio di Stato

Basilica di San Marco, cripta allagata tengono le paratie all'Archivio di Stato
La Nuova di Venezia 02/12/2008

VENEZIA. L’acqua, visto il livello eccezionale raggiunto, è entrata in chiese, musei e biblioteche, ma dopo un primo bilancio è stato segnalato che non ha provocato danni gravi o ingenti. La lezione del 1966 è servita anche per chi gestisce l’inestimabile patrimonio artistico e culturale veneziano così «Non vi è stata nessuna situazione di particolare emergenza» ha dichiarato a fine mattinava Renata Codello, soprintendente ai Beni architettonici. Da anni non accadeva che l’acqua entrasse nella basilica di San Marco, ieri è arrivata sia in cripta sia in chiesa: nella prima attraverso una finestra, nella seconda dalla porta della Nicopeia. «La situazione - ha detto l’avvocato Giorgio Orsoni, primo procuratore di San Marco, che ha compiuto un sopralluogo - non è piacevole, ma certo non è il 66, quando Venezia fu travolta da una marea che raggiunse i 194 centimetri». Alla Biblioteca Marciana, una delle più importanti d’Italia per i suoi manoscritti e libri antichi anche greci, latini e orientali, sono entrati 20 centimetri d’acqua, che è arrivata nella grande sala di lettura. I pochi dipendenti che ieri sono riusciti a raggiungere l’istituto hanno spostato i libri in consultazione dagli scaffali aperti ai tavoli. All’Archivio di Stato le paratie che chiudono la bella sala di studio, un tempo ospitava il refettorio d’estate del convento, hanno tenuto, l’acqua è penetrata a piano terra, ma i dipendenti si sono dati da fare e hanno sollevato anche gli arredi, naturalmente tutti i documenti sono in salvo perchè nei piani superiori. Se la marea fosse salita nella notte non sarebbe andata così bene perchè il ministero dei Beni culturali ha tagliato i fondi e il presidio notturno, utile soprattutto in caso d’incendio, è stato abolito.

MESTRE MUSEI - Che cosa ne pensate? Potete dirlo sul blog

MESTRE MUSEI - Che cosa ne pensate? Potete dirlo sul blog
La Nuova di Venezia 02/12/2008

Ditelo sul blog. È l’invito della Fondazione Pellicani sul progetto del museo del Novecento. Da ieri sera è attivo il sito www.fondazionepellicaniblog.it dove è possibile intervenire sui temi della città contemporanea partendo dal progetto M9. Il blog, on-line da ieri, mira a divenire il punto di riferimento di una community intellettuale che gravita attorno al territorio veneziano, aperto a chiunque voglia contribuire alla produzione di contenuti in forma di riflessioni, commenti e approfondimenti. Il polo culturale M9, di cui il museo è il cuore, è uno dei progetti della nuova città a cui sono dedicati i convegni «Idee per Mestre» della Fondazione Pellicani: dopo «La metropoli del Passante» si parlerà del «Waterfront da Porto Marghera a Tessera» e di «Abitare Mestre: città e società in trasformazione».

martedì 2 dicembre 2008

VERONA - Dagli scavi emergono maschere romane

VERONA - Dagli scavi emergono maschere romane
L'ARENA Martedì 02 Dicembre 2008 CULTURA Pagina 57

Da Via Roma al chiostro di San Silvestro fino a nord di Via Marconi: in epoca romana questa zona doveva essere particolarmente attiva nella produzione di ceramiche. Si sapeva dell’esistenza di una fornace in via Roma, venuta alla luce nel 1960, ma si era ben lontani dall’immaginare che ci fosse un vero e proprio quartiere con impianti artigianali per tali produzioni. Questa la recente scoperta, fatta nel cantiere in Piazza Arditi, di cui parla l’assessore Perbellini e che ci viene illustrata dalla soprintendente ai Beni archeologici di Verona, Giuliana Cavalieri Manasse: «Oltre a vasi, pignatte, salvadanai, sono state ritrovate delle maschere di diversi tipi. Sono più piccole del viso, forse le tenevano in mano. Ma saranno gli studi futuri a rispondere a tante nostre domande e curiosità».
I ritrovamenti, oltre ad essere in buono stato, ci mostrano tecniche differenti di lavorazione: «Sembra che quest’area sia stata abbandonata verso la seconda metà del Trecento quando Gallieno rafforzò le mura municipali e la città si racchiude all’interno di esse».
Si tratta di una zona pluristratificata. Al di sopra, infatti, vi è un’importante necropoli post medioevale di cui si hanno notizie documentate, un cimitero connesso alla Chiesa di San Silvestro, con oltre 750 tombe di gente comune.
«Negli ultimi cantieri sta venendo sempre più alla luce la Verona produttiva nell’antichità», precisa la Soprintendente. «Questa scoperta si lega a quella fatta recentemente nella zona del Seminario, un’area dedita alla lavorazione dei metalli. Sicuramente gli studi futuri ci permetteranno di saperne di più su queste pagine importanti di storia della nostra città».
M.T.F.