Andiamo a caccia dei monumenti "invisibili", occultati o sommersi
di Gianfranco Ellero
Martedì 4 Agosto 2009, il gazzettino online
L’estate può essere la stagione adatta per allenarci a vedere, nel paesaggio e nel nostro habitat, i monumenti "invisibili", tali essendo quelli che non rivelano la loro vera natura per un nostro difetto culturale.
L’occhio, infatti, è un organo selettivo, che tutto guarda ma vede soltanto ciò che rientra nel quadro culturale del cervello. L’esempio tipico è quello dell’indiano che, nei film western, sa leggere le impronte lasciate sul terreno dagli animali: tutti le guardano ma soltanto lui sa vederle.
Domandiamoci, innanzitutto, che cos’è un monumento, e se la parola stia a indicare soltanto la Piramide di Cheope, il Partenone, il Colosseo o la Tour Eiffel: un oggetto artistico, grande, visibile, al quale si affida la memoria di un uomo o di un evento eccezionale, ben visibile e riprodotto sui libri di storia e d’arte, giornali, cartoline, guide per turisti e memorie elettroniche.
Possono esistere monumenti invisibili? Sì, esistono, e sono molto importanti. Possiamo dire, infatti, che i monumenti visibili sono quelli eretti dalla macrostoria, mentre quelli invisibili appartengono spesso alla microstoria. Stiamo pensando alle piccole lingue o dialetti di tradizione soltanto o prevalentemente orale; agli stagni che fino a non molti anni fa stavano al centro dei nostri paesi; alle strade armentaresse, che consentivano ai pastori comunali di portare ogni giorno gli animali grossi e minuti al pascolo sulle comugne, cioé sulle praterie del pubblico demanio comunale; ai percorsi delle rogazioni; alla toponomastica campestre; al paesaggio storico (pensate alla visione dal Castello di Udine che emozionò Chateaubriand e oggi è per sempre "lesionata" dai grattacieli); alle tradizioni popolari; alle villotte; al rito aquileiese, abolito nel 1596... Possiamo definirli monumenti perché in realtà contengono il ricordo di microciviltà, e qualificarli come invisibili perché possiamo "vederli" soltanto attraverso lo studio della microstoria.
Ma spesso non li vediamo perché sono materialmente occultati o sommersi. L’armentaressa di Basaldella del Cormôr si chiama oggi via Verdi; quella di Ronchis di Latisana, via Garibaldi! Se anziché dagli armenti e dai pastori viene percorsa dalle automobili e dai trattori, diventa una strada asfaltata come le altre, e diventa un monumento invisibile.
Se il Comune di Casarsa autorizzasse la lottizzazione o l’industrializzazione di una campagna denominata "Li Miris-cis", e gli speculatori ci costruissero sopra il "Villaggio della Luna", perderemmo non soltanto uno storico paesaggio agrario, sede delle leggende locali, ma anche un toponimo di antica tradizione: avremmo perso, qundi non uno ma due monumenti della microstoria. E dopo lo scempio nessuno capirebbe più il senso delle parole del Poeta: "Oh ciamps lontans, Miris-cis".
di Gianfranco Ellero
Martedì 4 Agosto 2009, il gazzettino online
L’estate può essere la stagione adatta per allenarci a vedere, nel paesaggio e nel nostro habitat, i monumenti "invisibili", tali essendo quelli che non rivelano la loro vera natura per un nostro difetto culturale.
L’occhio, infatti, è un organo selettivo, che tutto guarda ma vede soltanto ciò che rientra nel quadro culturale del cervello. L’esempio tipico è quello dell’indiano che, nei film western, sa leggere le impronte lasciate sul terreno dagli animali: tutti le guardano ma soltanto lui sa vederle.
Domandiamoci, innanzitutto, che cos’è un monumento, e se la parola stia a indicare soltanto la Piramide di Cheope, il Partenone, il Colosseo o la Tour Eiffel: un oggetto artistico, grande, visibile, al quale si affida la memoria di un uomo o di un evento eccezionale, ben visibile e riprodotto sui libri di storia e d’arte, giornali, cartoline, guide per turisti e memorie elettroniche.
Possono esistere monumenti invisibili? Sì, esistono, e sono molto importanti. Possiamo dire, infatti, che i monumenti visibili sono quelli eretti dalla macrostoria, mentre quelli invisibili appartengono spesso alla microstoria. Stiamo pensando alle piccole lingue o dialetti di tradizione soltanto o prevalentemente orale; agli stagni che fino a non molti anni fa stavano al centro dei nostri paesi; alle strade armentaresse, che consentivano ai pastori comunali di portare ogni giorno gli animali grossi e minuti al pascolo sulle comugne, cioé sulle praterie del pubblico demanio comunale; ai percorsi delle rogazioni; alla toponomastica campestre; al paesaggio storico (pensate alla visione dal Castello di Udine che emozionò Chateaubriand e oggi è per sempre "lesionata" dai grattacieli); alle tradizioni popolari; alle villotte; al rito aquileiese, abolito nel 1596... Possiamo definirli monumenti perché in realtà contengono il ricordo di microciviltà, e qualificarli come invisibili perché possiamo "vederli" soltanto attraverso lo studio della microstoria.
Ma spesso non li vediamo perché sono materialmente occultati o sommersi. L’armentaressa di Basaldella del Cormôr si chiama oggi via Verdi; quella di Ronchis di Latisana, via Garibaldi! Se anziché dagli armenti e dai pastori viene percorsa dalle automobili e dai trattori, diventa una strada asfaltata come le altre, e diventa un monumento invisibile.
Se il Comune di Casarsa autorizzasse la lottizzazione o l’industrializzazione di una campagna denominata "Li Miris-cis", e gli speculatori ci costruissero sopra il "Villaggio della Luna", perderemmo non soltanto uno storico paesaggio agrario, sede delle leggende locali, ma anche un toponimo di antica tradizione: avremmo perso, qundi non uno ma due monumenti della microstoria. E dopo lo scempio nessuno capirebbe più il senso delle parole del Poeta: "Oh ciamps lontans, Miris-cis".
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