Dal cimiero alato ai Carraresi tutti i segreti delle Arche Scaligere
Camilla Bertoni
24 settembre 2009, corriere del Veneto
La città e i suoi monumenti Le rivelazioni sul significato di uno dei complessi monumentali più belli e rari di Verona
Ettore Napione ha svelato i misteri irrosolti affidandoli alle stampe
Il mistero del cimiero alato dal muso di cane, l’iconografia che si fa propaganda politica, i simboli che parlano di speranza e di successo oltre la morte.
Sono solo alcune delle tante preziose rivelazioni intorno al significato di uno dei complessi monumentali più belli e rari della città, quello delle Arche Scaligere, omaggiato dai turisti e dagli studiosi di tutto il mondo. Ma nonostante tanto riconoscimento mancava da più di cinquant’anni uno studio monografico approfondito e aggiornato. Ora il vuoto è stato colmato da Ettore Napione, storico dell’arte medievista e responsabile della biblioteca d’arte del museo di Castelvecchio, che ha appena dato alle stampe, per Allemandi insieme all’Istituto Veneto di Scienze ed Arti, un consistente volume di quasi seicento pagine, interamente dedicato alle Arche Scaligere.
Il racconto si fa affascinante man mano che passa di dettaglio in dettaglio, continuamente riportandosi al contesto storico e artistico locale e alle radici iconografiche che hanno fatto da matrice al magnifico monumento concepito tra il 1330 (data d’inizio per la realizzazione dell’arca di Cangrande) e il 1376 (data in cui la realizzazione dell’ultima arca, quella di Cansignorio, risulta completata). E sui temi iconografici il più imponente simbolo della famiglia, l’elmo- cimiero con il cane alato, è il primo a essere svelato. «Si tratta dell’emblema inventato per se stesso da Mastino II, che fa realizzare la tomba di Cangrande alla sua morte - spiega Napione - : il mastino con le ali. Ma perché far indossare all’effigie di Cangrande a cavallo un simbolo non suo, un cimiero che non aveva mai esibito? Sul suo piedistallo aereo il cavaliere di pietra alza la spada in segno di saluto: l’eroe si rivolge con benevolenza al successore, Mastino II, sorride al suo regno, e mostra il mastino con ali quale auspicio di fortuna, come se lo scopo delle imprese di Cangrande fosse stato quello di preludere alla grandezza del suo successore». E non solo: leggendo si scopre l’origine di questo simbolo, che non allude solo al nome di Mastino, ma anche al coraggio dei guerrieri longobardi, che per spaventare i nemici combattevano con il volto nascosto da una maschera canina, e al loro grande re Alboino, morto a Verona, e per di più sepolto nel palazzo che fu di Teodorico sotto una scala, cosa che venne ritenuta annuncio della stirpe dei della Scala, futura signora della città.
Altri segreti sono consegnati al tempo nei rilievi delle casse, dove ad esempio Cangrande è rappresentato nell’atto, come di fatto avvenne, di sconfiggere i padovani. Ma i padovani sono qui rappresentati con il simbolo della famiglia dei Carraresi, che si installò solo successivamente a tale sconfitta, e per disposizione di Cangrande. Ma poiché i Carraresi divennero nemici di Mastino II, fu lui, a indicarli come sconfitti, una scelta di propaganda politica per la quale, spiega ancora Napione, «la storia poteva essere mistificata: i nuovi avversari padovani erano i Carraresi, e Cangrande aveva così sconfitto virtualmente il nuovo nemico».
Mentre lavori di restauro (che Napione ritiene condotti in maniera «esemplare») ancora procedono sull’arca di Cansignorio e sulla cancellata (il complesso è in restauro a fasi alterne dal 2004), il volume sarà presentato a Castelvecchio il 22 ottobre, alle 17.30, con la partecipazione, accanto all’autore, di Maria Monica Donato (ordinario di storia dell’arte medievale alla scuola Normale superiore di Pisa) e Andrea De Marchi (università degli studi di Firenze), oltre all’assessore alla Cultura Erminia Perbellini e a Ugo Soragni, direttore per i beni culturali e paesaggistici del Veneto.
Camilla Bertoni
24 settembre 2009, corriere del Veneto
La città e i suoi monumenti Le rivelazioni sul significato di uno dei complessi monumentali più belli e rari di Verona
Ettore Napione ha svelato i misteri irrosolti affidandoli alle stampe
Il mistero del cimiero alato dal muso di cane, l’iconografia che si fa propaganda politica, i simboli che parlano di speranza e di successo oltre la morte.
Sono solo alcune delle tante preziose rivelazioni intorno al significato di uno dei complessi monumentali più belli e rari della città, quello delle Arche Scaligere, omaggiato dai turisti e dagli studiosi di tutto il mondo. Ma nonostante tanto riconoscimento mancava da più di cinquant’anni uno studio monografico approfondito e aggiornato. Ora il vuoto è stato colmato da Ettore Napione, storico dell’arte medievista e responsabile della biblioteca d’arte del museo di Castelvecchio, che ha appena dato alle stampe, per Allemandi insieme all’Istituto Veneto di Scienze ed Arti, un consistente volume di quasi seicento pagine, interamente dedicato alle Arche Scaligere.
Il racconto si fa affascinante man mano che passa di dettaglio in dettaglio, continuamente riportandosi al contesto storico e artistico locale e alle radici iconografiche che hanno fatto da matrice al magnifico monumento concepito tra il 1330 (data d’inizio per la realizzazione dell’arca di Cangrande) e il 1376 (data in cui la realizzazione dell’ultima arca, quella di Cansignorio, risulta completata). E sui temi iconografici il più imponente simbolo della famiglia, l’elmo- cimiero con il cane alato, è il primo a essere svelato. «Si tratta dell’emblema inventato per se stesso da Mastino II, che fa realizzare la tomba di Cangrande alla sua morte - spiega Napione - : il mastino con le ali. Ma perché far indossare all’effigie di Cangrande a cavallo un simbolo non suo, un cimiero che non aveva mai esibito? Sul suo piedistallo aereo il cavaliere di pietra alza la spada in segno di saluto: l’eroe si rivolge con benevolenza al successore, Mastino II, sorride al suo regno, e mostra il mastino con ali quale auspicio di fortuna, come se lo scopo delle imprese di Cangrande fosse stato quello di preludere alla grandezza del suo successore». E non solo: leggendo si scopre l’origine di questo simbolo, che non allude solo al nome di Mastino, ma anche al coraggio dei guerrieri longobardi, che per spaventare i nemici combattevano con il volto nascosto da una maschera canina, e al loro grande re Alboino, morto a Verona, e per di più sepolto nel palazzo che fu di Teodorico sotto una scala, cosa che venne ritenuta annuncio della stirpe dei della Scala, futura signora della città.
Altri segreti sono consegnati al tempo nei rilievi delle casse, dove ad esempio Cangrande è rappresentato nell’atto, come di fatto avvenne, di sconfiggere i padovani. Ma i padovani sono qui rappresentati con il simbolo della famiglia dei Carraresi, che si installò solo successivamente a tale sconfitta, e per disposizione di Cangrande. Ma poiché i Carraresi divennero nemici di Mastino II, fu lui, a indicarli come sconfitti, una scelta di propaganda politica per la quale, spiega ancora Napione, «la storia poteva essere mistificata: i nuovi avversari padovani erano i Carraresi, e Cangrande aveva così sconfitto virtualmente il nuovo nemico».
Mentre lavori di restauro (che Napione ritiene condotti in maniera «esemplare») ancora procedono sull’arca di Cansignorio e sulla cancellata (il complesso è in restauro a fasi alterne dal 2004), il volume sarà presentato a Castelvecchio il 22 ottobre, alle 17.30, con la partecipazione, accanto all’autore, di Maria Monica Donato (ordinario di storia dell’arte medievale alla scuola Normale superiore di Pisa) e Andrea De Marchi (università degli studi di Firenze), oltre all’assessore alla Cultura Erminia Perbellini e a Ugo Soragni, direttore per i beni culturali e paesaggistici del Veneto.
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