lunedì 14 gennaio 2013

“Quella torre non s’ha da fare mai”

“Quella torre non s’ha da fare mai”
 Tomaso Montanari
“Il Fatto Quotidiano”, 5 dic. 2012

VINCOLO PAESAGGISTICO: IL PALAZZO DI 250 METRI CHE PIERRE CARDIN VUOLE ERIGERE DI FRONTE A VENEZIA È BOCCIATO DAI BENI CULTURALI

La notizia è clamorosa: la Torre Cardin non si farà. La direzione generale dei Beni culturali del Veneto ha comunicato al Comune di Venezia che la legge dice no al Palais Lumière. Dopo mesi di dibattito si scopre che il grattacielo da emiri alto due volte e mezzo il campanile di San Marco, il superfallo che voleva violare Venezia e la sua laguna è bloccato dal più ovvio e prevedibile degli ostacoli: un vincolo paesaggistico. Quasi tutti, in Veneto, si erano inchinati al mare di quattrini del compaesano Pierre Cardin – nato Pietro Cardin a Sant’Andrea di Barbarana (Treviso) nel 1922. Il Comune di Venezia si fregava già le mani all’idea dei 35 milioni di euro che avrebbe incassato dalla vendita (da effettuarsi entro il mese in corso) dei terreni pubblici di Marghera su cui sarebbe dovuto nascere il colosso. (E, sia detto per inciso, quei milioni non sarebbero andati a finanziare progetti di recupero ambientale, ma a zavorrare il bilancio ordinario, come era già accaduto con i 40 versati da Prada per l’acquisto di Ca’ Corner alla Regina). L’Enac aveva detto che i 250 metri dell’enorme abat-jour non avrebbero dato fastidio all’aeroporto Marco Polo, anche se il limite di altezza per gli edifici in questa zona (distante 8 chilometri da Tessèra) sarebbe di 145.
Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini aveva inaugurato (insieme al governatore del Veneto, al presidente della provincia e al sindaco di Venezia) la mostra dei progetti della Torre eseguiti dal poco noto Rodrigo Basilicati, nipote di Cardin e fresco di laurea padovana con tesi appunto sulla torre. E quando il più determinato avversario del birillo luminoso (il veneziano Franco Miracco, consigliere, peraltro assai inascoltato, del ministro Lorenzo Ornaghi) l’aveva criticato pubblicamente per questa così evidente sgrammaticatura istituzionale, Clini aveva replicato con una stizza che alla luce della notizia odierna appare non si sa se più comica o più arrogante.
Last but not least, il Consiglio regionale veneto: che proprio lunedì ha consegnato a Cardin, alla Fenice e in pompa magna, il ‘Leone del Veneto 2012’. Chissà se Cardin aveva potuto leggere la lettera che il direttore regionale dei Beni culturali del Veneto, Ugo Soragni, ha inviato al Comune già una settimana fa: una lettera sigillata nei cassetti del municipio, ma che ora filtra dal colabrodo romano del Mibac. E il contenuto è una bomba. Soragni aveva chiesto all’Ufficio legislativo del Ministero come interpretare la complessa normativa sul vincolo paesaggistico che grava sulla zona sulla quale dovrebbe sorgere il gigante. In realtà non c’erano molti dubbi: ma vista la mostruosa posta in gioco (ballano oltre due miliardi di euro, tutti messi dallo stilista), era meglio assicurarsi che il Mibac non cedesse anche questa volta. E invece l’ufficio guidato da Paolo Carpentieri ha tenuto duro, e la risposta è stata netta: non c’è dubbio che «la porzione territoriale inclusa nei trecento metri dalle sponde del Canale industriale ovest in località Marghera debba considerarsi sottoposta a tutela ai sensi dell'art. 112, comma 1, lettera a del Codice dei Beni culturali e del paesaggio». Dunque, chiarisce il direttore Soragni al sindaco Orsoni, “la scrivente Direzione regionale rappresenta come sull'area interessata dall'intervento edificatorio in oggetto debba ritenersi operante il vincolo paesaggistico ex lege”. Insomma: non si può costruire a meno di 300 metri dalla riva, ma il progetto non può arretrare, perché dietro c’è una strada (via Fratelli Bandiera: una seconda volta eroici). E dunque, niente da fare: la torre si dovrà fare in Cina, dove sbavano per averla. Se finirà così (e il condizionale è d’obbligo, vista la sensibilità di questo governo verso il potere economico), sarà una incredibile irruzione del normale (la legge!) in un paese dove sembra ovvio trattare Venezia come se fosse Dubai: e infatti quasi nessuno si era posto il problema del vincolo.
Ma alla fine di ottobre, Italia Nostra aveva elencato dieci durissime ragioni per dire no alla Torre. Oltre a quelle relative all’impatto ambientale della faraonica costruzione (fondazioni, infrastrutture, fognature), l’associazione ha rilevato come l’idea “non rappresenta un modello di crescita del territorio, ma fa leva sempre sullo sfruttamento turistico di Venezia. Pierre Cardin ha detto di voler vendere i suoi appartamenti a un prezzo altissimo, due milioni, ai super ricchi della terra: non è questo di cui ha bisogno Venezia, ma di abitanti e di normalità. È poi previsto un mega albergo e un mega ristorante: crescerà ancora la pressione turistica sulla città”. Ieri è stato reso pubblico un deciso appello in cui 60 intellettuali (da Settis a Ginzburg a Rodotà, da Gregotti a De Lucia a Cervellati, da Rumiz a Scarpa a Fo) chiedono al Presidente della Repubblica di fermare “lo sproposito edilizio alto più di 250 metri” voluto da Cardin, “perché a Venezia gli interessi privati e un malinteso culto del profitto non calpestino mortalmente la legalità costituzionale”.
Già, perché la mostruosa città verticale di Cardin è solo l’ultimo atto della presa di Venezia, ormai luogo simbolo della privatizzazione selvaggia perpetrata dai cosiddetti nuovi mecenati. Il rosario si allunga: Prada che compra Ca’ Corner dal Comune; Pinault che trasforma Punta della Dogana in una show-room della propria collezione; Benetton che acquista un teatro e lo trasforma in ristorante d’albergo, realizza un centro commerciale nella Stazione Santa Lucia e ora progetta di annullare l’identità architettonica e storica di un palazzo-simbolo come il Fondaco dei Tedeschi; l’albergo Santa Lucia che raddoppia in vetro e cemento sul Canal Grande, con un progetto firmato anche da uno degli autori della Torre Cardin. Premessa e condizione per l’affermazione dello strapotere privato è la compiacente irrilevanza delle istituzioni pubbliche che dovrebbero vegliare sul bene comune. Quelle stesse istituzioni lagunari che non sono state capaci di aprire un vero confronto pubblico sul recupero della zona industriale di Marghera, di pianificare un risanamento urbano attraverso la partecipazione popolare, si prostrano all’istante di fronte ad un singolo privato che presenta un progetto faraonico fatto in casa, che si basa sull’evidente desiderio di “oltraggiare Venezia” (Salvatore Settis), modificandone per sempre lo skyline con una gigantesca torre dall’impatto devastante. Immancabilmente il dibattito pubblico si è concentrato sulla forma della torre e sul suo valore estetico, sotterrando sotto il soggettivismo dell’archistar ogni idea di città, di sviluppo sociale, di comunità. È per questo che se a fermare l’acqua alta del grande capitale senza regole, fosse, una volta tanto, la paratoia di una ‘normalissima’ legge sarebbe una rivoluzione.

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