martedì 12 febbraio 2013

«Le nostre ville come i castelli della Loira»

«Le nostre ville come i castelli della Loira»
Elisa Pasetto
L'Arena, 23/11/2012
I proprietari: «I palazzi francesi fatturano un miliardo di euro In Italia rischiano l'abbandono perché non sono valorizzate»

È la più alta concentrazione di dimore storico-artistiche del mondo e, «confezionata» come pacchetto turistico, potrebbe diventare un circuito sul modello della trentina di castelli della Loira: un patrimonio che, da solo, genera 7,5 milioni di presenze l'anno e regala alla Francia, in termini di fatturato, oltre un miliardo di euro. Il sistema delle Ville Venete, 3.477 edifici monumentali sparsi su tutto il territorio regionale dal Garda all’Isonzo (di cui 657 nel Veronese, stando ai dati del catalogo dell'Istituto regionale Ville Venete) potrebbe giocare un ruolo analogo, se non superiore. Invece, ad oggi, questo inestimabile patrimonio, frutto del benessere economico conseguente al lungo periodo di pace e prosperità garantito dal governo della Serenissima, rischia di diventare una palla al piede peri proprietari, che si sentono lasciati soli dalle istituzioni e costretti a sobbarcarsi tasse sempre più alte e costi di gestione impossibili. Tanto che la soluzione, invece che valorizzarle e aprirle al pubblico, è sempre più spesso abbandonarle al degrado o, peggio, venderle al più ricco offerente, che al giorno d'oggi viene dalla Russia e le trasforma in pied-à-terre (privatissimo) nel Belpaese. Ecco perché 136 di queste ville (di cui 19 nel territorio scaligero) hanno deciso di unire le proprie forze e aprirsi al turismo mondiale, aderendo a una proposta realizzata d'intesa tra la Regione Veneto e le associazioni dei proprietari. Farle diventare nuove mete del turismo «slow», quello che ricerca le eccellenze artistiche, architettoniche e paesaggistiche normalmente escluse dalle proposte turistiche tradizionali. «Noi lavoriamo già con gli europei, soprattutto inglesi e tedeschi che vengono a sposarsi da noi», spiega Omar Gastaldelli, responsabile della società che gestisce Villa Pellegrini Cipolla di Castion, di poprietà dell'omonima famiglia. «La speranza, entrando in questo circuito, è quella di avere un riscontro sui grandi numeri e riuscire ad affacciarsi sugli altri mercati internazionali, come Stati Uniti e Russia. Oggi l'unica leva su cui puntare per riuscire a pagare l'Imu è il marketing, che dopo qualche anno permette di ottenere, come nel nostro caso, una crescita importante: ospitiamo oltre 150 eventi in 12 mesi, con un indotto importante per il territorio, dalle cantine agli hotel». Ed è solo con i grandi numeri che, in effetti, si riescono a ripagare gli altissimi costi di manutenzione visto che, in tempi di crisi, se crescono le richieste di informazioni per affittare la villa per organizzare un evento (dalle nozze alle cene aziendali), le conferme diminuiscono notevolmente. «Noi abbiamo 30mila metri quadri di parco, può immaginare che cosa ci costi solo il giardiniere», continua Gasteldelli, «senza contare che, anche se la villa è chiusa, va comunque riscaldata nei mesi più freddi perché non si rovinino gli affreschi. Il difficile è far capire agli interessati che una dimora storica non è come un altro stabile: presenta dei costi fissi alti in partenza, sia che venga utilizzata che no». Costi fissi che, tra l'altro, non si possono far pesare sull'affitto, se non si vogliono perdere clienti. Lo sa bene Paolo Arvedi, proprietario dell'omonima villa di Cuzzano di Grezzana. «Si va dalla cura quotidiana del giardino all'italiana all'illuminazione notturna, fino ai sistemi di vigilanza. Uscite che difficilmente vengono controbilanciate solo dalle entrate legate agli eventi o dal biglietto di ingresso per chi visita la villa. Anche perché, da noi, arrivano gruppi anche dall'Australia, ma dalla città niente da fare: secondo le guide turistiche i 12 chilometri che ci separano da Verona sono troppi. E così cerchiamo di aprirci a tutto quanto è possibile», racconta, «tanto che, oltre ai matrimoni, abbiamo ospitato le riprese del film «Letters to Juliet», di una puntata di «America's next top model», un servizio fotografico per un catalogo di Calzedonia: insomma, cerchiamo di adattarci alle esigenze del cliente. Molto difficile, comunque, che una dimora storica riesca a mantenersi da sola». «Gli unici aiuti che dispensa lo stato sarebbero quelli per la parziale copertura della manutenzione straordinaria, peccato che non ci siano fondi disponibili», commenta sconsolato. «Del resto, la rendita dell'investimento per la ristrutturazione e la manutenzione arriva solo al 2 per cento, per niente attrattivo per chi volesse investire, che cerca rendite dal 4 al 7 per cento». E così tutto è lasciato alla libera iniziativa dei privati, quasi tutti ormai demoralizzati. Solo una minima parte, non fosse che ha dei mutui da pagare, prova ancora a rimboccarsi le maniche per tentare di trasformare il suo gioiello da proprietà inespressa in attività commerciale. «lo stesso ho dei mutui aperti sulle spalle mie e dei miei figli», ammette Iseppi, «ecco perché, per pura iniziativa personale, ho provato a fare di quello che era un rudere un business in grado di automantenersi: una struttura ricettiva, aperta agli eventi, alle visite e ai laboratori scolastici». Ecco perché alcuni, allora, si giocano anche la carta di questa promozione messa in campo dalla Regione. «In realtà è un'idea che ha 15 anni e ne ho già viste tante, simili, che poi si sono arenate perché non ci sono fondi», continua Iseppi. «Prendiamo l'initerario tra borghi e castelli dal Padovano al Veronese: non si può investire per questo 35mila euro all'anno, quando solo per il mio ne spendo quattro volte tanto in pubblicità». E infatti uno dei problemi principali, secondo il proprietario del castello di Bevilacqua, è proprio la frammentazione dei contributi, gestiti in maniera non coordinata da troppi soggetti diversi, dal Gal (Gruppo di azione locale, ndr) alla Coldiretti per gli edifici rustici, dai Consorzi di promozione turistica, all'Istituto per le Ville venete, ai miniconsorzi locali. «Il risultato è che si creano dei doppioni e che le azioni, purtroppo, risultano inefficaci. La soluzione? Un piano nazionale che metta nero su bianco gli obiettivi turistici di qui a cinque-dieci anni, con il relativo budget dedicato. Perché non si può delegare al privato la gestione del ruolo culturale e sociale che questi beni hanno per tutto il Paese».

Nessun commento: