mercoledì 9 dicembre 2009

La filanda, le cave: «Piazza San Marco costruita qui»

La filanda, le cave: «Piazza San Marco costruita qui»
8 dicembre 2009, CORRIERE DEL VENETO

L’intervista Il futuro? Con Este, Montagnana e le Terme

Lo storico Valandro: culla di anarcosocialisti

«Nel 1200 Monselice era un centro vivace, aveva circa cinquemila abitanti, contro i ventimila di Padova. Poi venne la Serenissima e la cittadina visse un periodo di sonnolenza. Con la prima filanda riprese quota, fu centro di irradiazione del movimento anarco-socialista. Vennero le guerre, l’emigrazione, gli operai, la ferrovia, le industrie delle cave, del cemento. Ora, dopo il declino della grande industria, vedo un futuro turistico integrato con Este, Montagnana e l’area termale. Monselice offre il monte sacro, la Rocca medievale che domina la pianura e si vede da lontano. E il suo bell’ambiente collinare».

La sintesi storica è del professor Roberto Valandro, 67 anni, per definire il quale bastano le dimensioni di una delle sue fatiche letterarie: tre volumi dedicati interamente a Monselice, quasi ottocento pagine dense di storia. Un viaggio nei secoli, anzi, nei millenni di Monselice, dall’età del bronzo all’epoca del cemento, con il dichiarato intento di salvarne il patrimonio orale.

Professore, cos’è Monselice?

«Prima di iniziare volevo annunciare che proprio di recente è stata scoperta una stazione dell’età del rame, cioè 4-5mila anni avanti Cristo. Il mio libro partiva invece dall’età del bronzo, duemila anni dopo. Sono stati ritrovati frammenti ceramici, reperti archeologici che retrodatano l’origine di questi luoghi. Monselice? Monselice è una città aperta, crocevia di flussi commerciali, lavorativi e migratori. Questo è diventata ma per capirne di più bisognerebbe raccontare le sue origini».

Da dove partiamo considerando lo spazio di un articolo?

«Facciamo dalla prima industria della metà dell’800, ricordando però che la repubblica Serenissima ha lasciato un’eredità architettonica di pregio, con ville in stile veneziano. Fra gli attori principali del rapporto di Monselice con Venezia, la famiglia Cini. Vittorio, padre di Giorgio della Fondazione Cini di Venezia, aveva le cave. Fu lui a iniziare. Sposò una donna di Monselice. Le cave hanno avuto nel tempo una grande importanza per il Veneto. Con il materiale estratto dal monte Ricco si sono fatti gli argini del Polesine e l’autostrada Padova-Bologna. La pietra è stata usata anche per piazza San Marco».

E la filanda?

«La prima venne impiantata nel 1846, primo e unico insediamento industriale nella Bassa Padovana fino agli anni ’70. Si chiamava Trieste come i suoi fondatori, Maso e Giacobbe, che a Padova avevano creato un potentato economico: Maso fu fondatore della Banca Popolare nel 1866. Alla filanda Trieste lavoravano 187 operai: 7 maschi, 144 femmine sopra i 18 anni, 20 femmine sotto i 18, 6 sotto i 14, 10 sotto i 10. Particolarità: le filandiere venivano quasi tutte da fuori, soprattutto da Valdobbiadene e da su».

Perché?

«Perché erano più forti delle nostre, più montanare, più abituate alla fatica delle 14 ore lavorative al giorno. Il primo sciopero della Bassa lo fecero proprio loro e naturalmente rappresentò un atto rivoluzionario».

Perché Monselice ha radici anarcosocialiste?

«Fu la reazione ottocentesca alle classe padronale. Guidarono quel movimento Carlo Monticelli e Angelo Galeno. Monticelli rappresentava l’ala estremista, quella che oggi potrebbe essere il circolo Varalli, il centro sociale. Era per la rivoluzione. Galeno, che fu anche onorevole, rappresentò invece il fermento socialisteggiante più istituzionale. Da lì nacquero le società operaie che garantivano la mutualità».

Altre tappe fondamentali della storia di Monselice?

«Sicuramente la realizzazione della ferrovia, che ne fece un importante snodo commerciale. Cini aveva un treno speciale per trasportare la trachite a Venezia. La vaporiera veniva chiamata Vacca mora perché trainava i vagoni come il bue con il carro. Altro periodo importante, il dopoguerra, con l’emigrazione nel triangolo industriale Milano-Torino-Genova che venne in parte compensata dall’immigrazione dal meridione. Questi movimenti fecero di Monselice una città aperta, molto più di Este e Montagnana, che era esclusa da questi passaggi ».

Politicamente?

«Dal dopoguerra è stato un feudo della democrazia cristiana, poi ci fu una parentesi comunista, ora è riemersa l’anima liberale».

Filanda e cave non esistono più. Resiste il cemento. Quale sarà la futura Vacca mora di Monselice?

«Io penso che l’industria del futuro potrebbe essere quella turistica, integrata con Montagnana, Este e le terme. Montagnana ha mura strepitose, Este uno splendido museo nazionale atestino, a Monselice si respira invece un’atmosfera medievale e veneziana. E per chiudere, un bagno caldo qualche chilometro più su».

A.P.

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