domenica 23 maggio 2010

Il maestro "contadino" che regnò sulla pittura veneta

Il maestro "contadino" che regnò sulla pittura veneta
SABATO, 22 MAGGIO 2010 LA REPUBBLICA - Cultura

A cinquecento anni dalla nascita la sua città dedica una grande mostra all´artista Una vita vissuta in provincia, ma Longhi lo mise alla pari di Tiziano e Tintoretto

Jacopo Da Ponte, detto Bassano ,si sa per certo che morì il 13 ottobre del 1592. L´anno di nascita, invece, è ancora incerto. Documenti e indizi discordi invitano a collocarlo fra il 1510 e il 1515, e perfino ´18: con più alta probabilità fra il ´10 e il ´13.
Tanto basta a far sì che le celebrazioni del suo quinto centenario si dilatino per l´intero quadriennio in corso. Si comincia con una mostra antologica, compendiosa ma eloquente, che la città di Bassano offre al suo maggior figlio «per regalo di compleanno» e premio a tutto quel che verrà in seguito, fino a sfociare nel 2013 in una rassegna maiuscola, di centocinquanta dipinti e cinquanta disegni, centrata sull´ultima stagione dell´artista e i suoi rapporti coi quattro figli - tutti pittori di merito e collaboratori in - più istanze ai capolavori della vecchiaia.
Quella già aperta al Museo Civico (Jacopo Bassano e lo stupendo inganno dell´occhio, fino al 13 giugno) comprende invece quaranta opere, di cui quindici sono tesori di importanti musei e raccolte di tutto il mondo, che inseriti in una trama delle opere di casa aiutano a delineare al meglio la figura dell´artista.
Gran pittore, il Bassano. Anzi, grandissimo: anche a stima dei più esigenti storici dell´arte, fra cui il Longhi, che lo chiama «il re contadino della pittura veneta del Cinquecento» e lo include, con Tiziano, il Tintoretto e il Veronese nella quaterna degli eccelsi. Con un tratto che lo distingue. Perché tutti gli altri grandi, dal Giorgione al Veronese (tranne il Tintoretto, veneziano di Castello), erano pittori di terraferma, venuti ad inurbarsi dove correvano denari. Ma lui no. Lui, figlio d´arte, nato a Bassano e formato nella bottega paterna, prossima al ponte da cui assumeva il nome la famiglia, la sua città non volle mai lasciarla; e dopo una breve rifinitura a Venezia presso il Bonifacio Veronese (dove conobbe, altro allievo, il coetaneo Tintoretto) vi ritornò e passò tutta la vita, contentandosi di restare un pittore «provinciale». E fu questo, non ultimo, un fattore della sua identità e grandezza, per tutto quel che il restare, anche nel sentimento, «contadino» aggiungeva alla sua arte e la distinse fino a farne un modello.
Arriva tardi alla sua forma ultima. Con protratta eleganza ed inventiva in ogni passaggio, ma tardi. E quando vi arriva è uno schianto, o meglio un´epifania. Perché quella forma è sostanza, e dentro c´è l´uomo intero com´è ed ha capito di essere; e dice cose che solo lui, per come si è capito, saprebbe dire. E piace, in questa mostra-regalo così raccolta ed amorevolmente curata da Alessandro Ballarin e Giuliana Ericani, seguire il nitido filo che porta dagli esordi agli ultimi fuochi.
C´è una sorpresa, fra le opere giovanili: una Cacciata dei mercanti dal tempio, di recente scoperta a Londra, che - dipinta fra il 1531 e il ´32 - si propone con le sue accattivanti ingenuità, come la più antica opera del Bassano finora conosciuta. Quanto alle altre in mostra, danno motivo di supporre che fino al 1539, vivendo il padre, Francesco, il talento del figlio non fosse del tutto libero, ma trattenuto, per amore di clientela, da novità di linguaggio.
E´ infatti dei primi anni Quaranta l´affrancarsi di Jacopo dai modi della bottega paterna per aderire con slancio al linguaggio del manierismo centro-italiano, con attenzione al Parmigianino e a Cecchino Salviati. Ed è su questa fase che convergono i dipinti ottenuti in prestito: un contributo che accompagna il percorso del Bassano per un ventennio, dai primi fervori manieristi, al loro progressivo esaurimento. Si è voluto anche, questa lunga fase intermedia, illustrarla a tutto campo, con un ampio ventaglio di soggetti e formati. C´è così, dal Louvre, la celebrata Coppia di cani legati a un albero (1548-50), dall´Ambrosiana, la Fuga in Egitto, dall´Università di Birmingham una Adorazione dei Magi, da una raccolta milanese, uno straziante Ecce Homo, dai musei di Budapest e Berlino, due splendidi esempi di un genere per il Bassano non consueto: rispettivamente i ritratti del Cardinale Pietro Bembo, e di un Senatore Veneziano (1558), già attribuito a Tiziano.
Il San Cristoforo dell´Avana, visto in Italia una sola volta, più di cinquant´anni fa, il San Girolamo in meditazione dell´Accademia di Venezia (attribuito anche al Greco), la Santa Giustina in trono (1560) della Parrocchiale di Enego, sono, col San Giovanni Battista nel deserto (1558) e la Pentecoste (1559) del Museo ospitante, ultimi sussulti della fase manierista, nel trapasso al "naturale" dell´ultima stagione. Un processo che appare già risolto nel bellissimo Annunzio ai pastori (1560) del duca di Rutland e l´Adorazione dei pastori (1564) del Museo di Houston, chiamati a confrontarsi col "Presepio di San Giuseppe", che a Bassano è di casa. Ed è qui, in queste "pastorali" ancor più che nelle celebrate grandi pale dell´età estrema, che l´artista arriva ad esprimersi nella sua più schietta e completa essenza.
Perché questo Bassano "contadino" strappa la Storia Sacra, la lettera del Vecchio e nuovo Testamento, la Sacra Famiglia, i Patriarchi, i Santi d´accompagno e tutto il resto, all´aura devozionale, le formule idealizzanti, gli atteggiamenti "da santi" dell´immaginario consueto, e porta il tutto a terra, la sua terra e campagna, sotto cieli meravigliosi e in paesaggi assurti a protagonisti, ad impastarsi, quasi, con l´umile ed affaticata realtà della nostra specie, tra fiati, ragli, e razzolare di bestie, arnesi di lavoro, afrori di stallatico e di ascelle.
Piacesse o no all´Inquisizione, (con cui c´era qualche problema), mai la Divinità, fino allora, ci era stata mostrata così vicina, ribaltata nella normalità quotidiana e connaturata alla nostra povera argilla.

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