Manuzio depositato. In banca
Lorenzo Tomasin
Corriere del Veneto 21/05/2009
C’era una volta un tempo in cui le banche investivano in beni culturali. Stretti come sono nella morsa di una crisi che - dicono - impedirebbe loro di esporsi persino nella normale attività creditizia, gl’istituti di risparmio sono oggi assai meno propensi ad accumulare tesori d’arte. Ma, almeno in alcuni casi, si apprestano a promuovere e a far conoscere quelli collezionati negli anni del (vero o presunto) miracolo italiano. È il caso, ad esempio, della Cassa di Risparmio di Venezia. Quando le fusioni bancarie che l’hanno fatta confluire nel gruppo Sanpaolo erano ancora di là da venire (correvano i tardi anni Cinquanta del secolo scorso), alcuni membri del suo consiglio d’amministrazione pensarono che il minuscolo fondo librario posseduto dalla banca - e frutto, perlopiù, di donazioni o di circostanze occasionali - si sarebbe potuto trasformare in una vera e propria biblioteca dedicata a Venezia e alla sua storia attraverso una sistematica campagna di acquisti presso i librai antiquari della città. I quali, all’epoca, erano spesso rivenduglioli senza troppi scrupoli, pronti a straziare antichi volumi per cavarne le pagine illustrate e venderle separatamente, a qualche decina di lire il foglio. Acquistare copie preziose di testi relativi alla storia, alle tradizioni, alla letteratura e all’arte della Serenissima, salvandole dalla dispersione di un mercato più incolto di quello odierno parve addirittura un’opera di impegno sociale e culturale nei confronti della città. Una benemerenza. Dopo alcuni anni di assaggi e di esplorazione, la biblioteca veneziana della Cassa di Risparmio nacque nel 1962: iniziò così un piano d’acquisti che dai piccoli librai antiquari si estese presto alle grandi aste internazionali. Allargandosi dai libri alle incisioni, e poi anche alle monete antiche. Purché, s’intende, veneziane.
In una elegante sala della Presidenza dell’istituto, in Campo Manin, si accumularono uno dopo l’altro i più antichi libri stampati a Venezia: da quelli del mitico Vindelino da Spira, il tipografo tedesco che col fratello aveva portato in laguna la tecnologia inventata da Gutenberg (una copia, preziosamente decorata, del suo De civitate Dei è uno dei pezzi più suggestivi della collezione), a quelli di Aldo Manuzio, la cui bottega, vedi caso, si trovava proprio nell’area oggi occupata dall’edificio eretto negli anni Settanta fra Campo San Luca e Campo Manin. Ecco l’Hypnerotomachia Poliphili, feticcio del collezionismo librario moderno: è il celeberrimo libro illustrato uscito dai torchi manuziani nel 1499 (e poi ristampato ancora nel secolo successivo), di cui la CaRiVe possiede sia la prima edizione, sia quella del 1545; ed ecco la Storia veneziana di Pietro Bembo, prodotta - in latino - dagli stessi torchi.
Ma la parte, forse, più preziosa dei quasi tremila volumi che compongono la collezione non riguarda i grandi nomi e i volumi fin troppo noti (e riprodotti) nell’ambiente degli studi e del collezionismo. Né riguarda i «pezzi da novanta » di una serie di album d’incisioni di Canaletto e del Tiepolo. No: ciò che rende davvero pregiata una collezione come questa sono le cento e cento e cento rarità bibliografiche che compongono una completa galleria di storia culturale veneta. Sono i Garzoni, i Coronelli, i Morosini, i Nani; sono gli anonimi raccoglitori di leggi, decreti e atti della Repubblica.
Sono gli autori di un piccolo fondo di manoscritti, che spazia da una raccolta quattrocentesca di tariffe e di regolamenti commerciali relativi a Padova fino ad alcuni memoriali sulla vicenda dell’Interdetto. Troppo, davvero troppo per essere tenuto sotto chiave in una sala sconosciuta al pubblico: la Cassa di Risparmio di Venezia, assicura oggi il suo presidente Giovanni Sammartini, intende aprire le porte agli studiosi di cose veneziane e far conoscere, anche con esposizioni e mostre, il proprio patrimonio librario. Bussate e vi sarà aperto, dice Sammartini, il cui unico rammarico è di non poter trasformare la «sua» biblioteca in una vera sala di consultazione, visitabile in modo diverso che per appuntamento (bisogna rivolgersi alla sua segreteria).
Poco male: grazie a un lavoro pluriennale, è intanto pronto un catalogo, che presto verrà messo on-line. E che forse farà tornare, a questa e ad altre banche, la voglia di protagonismo in un campo ben più ameno di quello fatto di numeri e di resoconti finanziari.
Lorenzo Tomasin
Corriere del Veneto 21/05/2009
C’era una volta un tempo in cui le banche investivano in beni culturali. Stretti come sono nella morsa di una crisi che - dicono - impedirebbe loro di esporsi persino nella normale attività creditizia, gl’istituti di risparmio sono oggi assai meno propensi ad accumulare tesori d’arte. Ma, almeno in alcuni casi, si apprestano a promuovere e a far conoscere quelli collezionati negli anni del (vero o presunto) miracolo italiano. È il caso, ad esempio, della Cassa di Risparmio di Venezia. Quando le fusioni bancarie che l’hanno fatta confluire nel gruppo Sanpaolo erano ancora di là da venire (correvano i tardi anni Cinquanta del secolo scorso), alcuni membri del suo consiglio d’amministrazione pensarono che il minuscolo fondo librario posseduto dalla banca - e frutto, perlopiù, di donazioni o di circostanze occasionali - si sarebbe potuto trasformare in una vera e propria biblioteca dedicata a Venezia e alla sua storia attraverso una sistematica campagna di acquisti presso i librai antiquari della città. I quali, all’epoca, erano spesso rivenduglioli senza troppi scrupoli, pronti a straziare antichi volumi per cavarne le pagine illustrate e venderle separatamente, a qualche decina di lire il foglio. Acquistare copie preziose di testi relativi alla storia, alle tradizioni, alla letteratura e all’arte della Serenissima, salvandole dalla dispersione di un mercato più incolto di quello odierno parve addirittura un’opera di impegno sociale e culturale nei confronti della città. Una benemerenza. Dopo alcuni anni di assaggi e di esplorazione, la biblioteca veneziana della Cassa di Risparmio nacque nel 1962: iniziò così un piano d’acquisti che dai piccoli librai antiquari si estese presto alle grandi aste internazionali. Allargandosi dai libri alle incisioni, e poi anche alle monete antiche. Purché, s’intende, veneziane.
In una elegante sala della Presidenza dell’istituto, in Campo Manin, si accumularono uno dopo l’altro i più antichi libri stampati a Venezia: da quelli del mitico Vindelino da Spira, il tipografo tedesco che col fratello aveva portato in laguna la tecnologia inventata da Gutenberg (una copia, preziosamente decorata, del suo De civitate Dei è uno dei pezzi più suggestivi della collezione), a quelli di Aldo Manuzio, la cui bottega, vedi caso, si trovava proprio nell’area oggi occupata dall’edificio eretto negli anni Settanta fra Campo San Luca e Campo Manin. Ecco l’Hypnerotomachia Poliphili, feticcio del collezionismo librario moderno: è il celeberrimo libro illustrato uscito dai torchi manuziani nel 1499 (e poi ristampato ancora nel secolo successivo), di cui la CaRiVe possiede sia la prima edizione, sia quella del 1545; ed ecco la Storia veneziana di Pietro Bembo, prodotta - in latino - dagli stessi torchi.
Ma la parte, forse, più preziosa dei quasi tremila volumi che compongono la collezione non riguarda i grandi nomi e i volumi fin troppo noti (e riprodotti) nell’ambiente degli studi e del collezionismo. Né riguarda i «pezzi da novanta » di una serie di album d’incisioni di Canaletto e del Tiepolo. No: ciò che rende davvero pregiata una collezione come questa sono le cento e cento e cento rarità bibliografiche che compongono una completa galleria di storia culturale veneta. Sono i Garzoni, i Coronelli, i Morosini, i Nani; sono gli anonimi raccoglitori di leggi, decreti e atti della Repubblica.
Sono gli autori di un piccolo fondo di manoscritti, che spazia da una raccolta quattrocentesca di tariffe e di regolamenti commerciali relativi a Padova fino ad alcuni memoriali sulla vicenda dell’Interdetto. Troppo, davvero troppo per essere tenuto sotto chiave in una sala sconosciuta al pubblico: la Cassa di Risparmio di Venezia, assicura oggi il suo presidente Giovanni Sammartini, intende aprire le porte agli studiosi di cose veneziane e far conoscere, anche con esposizioni e mostre, il proprio patrimonio librario. Bussate e vi sarà aperto, dice Sammartini, il cui unico rammarico è di non poter trasformare la «sua» biblioteca in una vera sala di consultazione, visitabile in modo diverso che per appuntamento (bisogna rivolgersi alla sua segreteria).
Poco male: grazie a un lavoro pluriennale, è intanto pronto un catalogo, che presto verrà messo on-line. E che forse farà tornare, a questa e ad altre banche, la voglia di protagonismo in un campo ben più ameno di quello fatto di numeri e di resoconti finanziari.
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