Una colata di cemento in arrivo sul Veneto
Sebastiano Canetta, Ernesto Milanesi
il manifesto 22 ottobre 2009, p. 15
PIANO CASO ASSO PIGLIATUTTO
Lo ha varato il governo e lo realizzano le regioni. Nel nord est il piano casa aumenterà le cubature di cemento armato, già numerose. Bastano per garantire abitazioni a tutti fino al 2022. Il problema, semmai, è nel campo dell’edilizia popolare. Che resta indietro. E intanto peggiora l’orma ecologica
VENEZIA
Un piano casa perpetuo, che di fatto è operativo da oltre vent’anni. Il sacco edilizio di città e campagna perennemente appaltato al partito dei «calce-struzzi». Una colata continua di condomini, capannoni, magazzini e centri commerciali, che fa balzare il Veneto in cima alla classifica delle regioni più edificate. E’ la transizione dalla scintillante «locomotiva» del Nord Est alla partita doppia della betoniera.
Con l’implosione dell’impresa familiare e il default delle logistiche strozzate dalla stretta del credito, il cemento armato rimane l’unica «benzina». Fonte «naturale» di guadagni, rendite, favori e voti; strutturalmente al riparo dagli scossoni di ogni mercato. Funziona al di là della recessione e degli schieramenti politici.
Il Veneto gioca la partita della crisi puntando (ancora) sull’asso pigliatutto del mattone. Alimentando una bulimia edilizia patologica, che divora migliaia di ettari di territorio ogni anno. Oltre 290 milioni di metri cubi di edifici residenziali direzionali e commerciali costruiti dal 1983 al 2006 sono il bilancio dell’economia «impalcaturiera» del Nord Est imbullonata sulle gru. Cemento armato che si traduce in un giro di appalti milionario: più che vitale per enti locali preoccupati di raddrizzare bilanci votati al rosso. Ma anche per l’affollato giro d’affari di costruttori e immobiliaristi con l’acqua alla gola. Muove la cazzuola dell’edilizia «in chiaro» e stende anche la malta di quella «criptata». Politicamente è la «colla» dell’ unico vero «partito del Nord».
L’effetto collaterale è un territorio irrimediabilmente degradato, banalmente omologato dal Bellunese al Polesine, violentato nei tratti somatici dell’identità non solo paesaggistica. Sotto i metri cubi di calcestruzzo, acciaio e bitume spariscono per sempre campi, paludi e aree boschive. Insieme alla rete idrica, «stuprata» da passanti, bretelle, raccordi e direttissime.
Il piano casa regionale varato a luglio spara il colpo di grazia al precario equilibrio ecologico. Sulla carta, il provvedimento non serve. Il patrimonio immobiliare dei 581 comuni veneti copre il fabbisogno abitativo fino al 2022, immigrati compresi. «Nelle sole province di Padova e Treviso le aree urbane ormai corrispondono al 20% del territorio. Una quantità enorme che non ha eguali in nessun altra regione italiana» spiega Sergio Lironi, urbanista di Legambiente. Sul tavolo, i dati del Centro ricerche economiche sociali di mercato per l'edilizia e il territorio e gli studi della Cassa edile artigiana veneta: dal 1999 al 2008 quasi 340 mila nuove abitazioni. Sono 135 milioni di metri cubi di cemento armato.
«E’ il risultato della filosofia dell’urbanistica contrattata, del caso per caso e giorno per giorno. Una gestione dei piani caratterizzata da continue varianti e deroghe ha consentito l’arrogante prevalere degli interessi privati delle grandi società immobiliari dando via libera alle logiche speculative – denunciano gli ambientalisti - La città tentacolare si è sparpagliata nel territorio cancellando luoghi identitari, risorse ambientali e beni culturali. E degradando la qualità del vivere quotidiano».
Ma non c’è solo il lato B della mitologica polis diffusa: a puntellare l’ossatura edile c’è soprattutto la sconfinata melassa di capannoni, centri commerciali, attrezzature «di servizio» e «rurali» solo nei registri dei catasti.
Un boom mai regolato nemmeno dal «libero» mercato, volontariamente sordo al paradigma domanda-offerta. Nel lustro 2002-2007 sono stati costruiti oltre 114 milioni di metri cubi in depositi e magazzini poi svuotati dalla crisi. Si è edificato troppo (oltre 275 metri cubi per ogni nuovo abitante) e male: «La dispersione insediativa ha distrutto risorse naturalistiche, agronomiche e paesaggistiche fondamentali, con tipologie e costi che non corrispondono alla domanda reale, usando tecnologie obsolete non adeguate agli standard energetici e di comfort ambientale stabiliti dall’Unione europea» puntualizzano a Legambiente. Con un lassismo «colposo» da parte di enti locali pronti a incamerare Ici e oneri di urbanizzazione barattando pezzi del territorio.
L’incredibile numero di varianti urbanistiche presentate nel solo 2005 rende l’idea di una morbosa frenesia costruttiva: 1.276 richieste di scostamento dai piani comunali (+ 220% rispetto alla media degli anni precedenti) fanno impressione. Si appoggiano a 389 Piruea (piani di riqualificazione urbanistica e ambientale) attuati nel biennio 2005-2006: la soluzione più semplice per accontentare la voglia di «villettopoli» dei veneti.
Chilometri di bifamiliari a schiera, versioni economiche di Milano2 e residence metropolitani diventano però un miraggio per chi vive sulla soglia della povertà. Immigrati, giovani coppie e pensionati affollano le graduatorie degli alloggi popolari.
Domande sostanzialmente inevase. Le cifre della Direzione regionale per l’edilizia abitativa registrano un migliaio di assegnazioni a fronte di 16.500 richieste. Nei comuni schiacciati dalla tensione abitativa è una lotteria: il 99% di chi chiede una casa ad affitto calmierato non riceve risposta. Per ora, gli enti locali riescono ad arginare l’esercito di poveri ufficialmente conclamati: 20 mila potenziali morosi schivano lo sfratto grazie ai contributi pubblici.
Dal 2002 al 2007, le volumetrie ultimate hanno superato gli 89 milioni di metri cubi. Uno stock di tutto rispetto: dovrebbe bastare ad accomodare circa 600 mila nuovi abitanti, compresi i 78 mila immigrati del Trevigiano. Senza contare lottizzazioni già approvate e concessioni da tempo operative.
Cinque anni fa la deregulation edilizia era parsa un’enormità perfino a palazzo Ferro-Fini, tanto che la legge urbanistica regionale del 2004 limitava le aree agricole trasformabili in terreni con altra destinazione d’uso. «Uno stop praticamente inutile: perché consentirà comunque di sottrarre all’agricoltura altri 93 milioni di metri quadrati nei prossimi 10 anni» osservano gli ambientalisti.
L’impatto della valanga di lottizzazioni si rileva calcolando l’impronta ecologica rilasciata da 4,9 milioni di veneti. La misura del territorio biologicamente attivo per equilibrare produzione, consumo, assorbimento dei rifuti ed emissioni inquinanti è un’efficace cartina di tornasole. Ne risulta un’«orma» abbondantemente oversize: 6,43 ettari equivalenti per abitante fanno impallidire la media nazionale ferma a quota 4,3.
E poi c’è l’impatto atmosferico della «betoniera» a ciclo continuo: 1,9 milioni di abitazioni emettono 7,2 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Basterebbe mettere a norma i fabbricati per risparmiare all’ambiente 4, 4 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Ma a Nord Est non si cambia rotta. Per Legambiente «Il piano casa si rivela un sistema di regole diverso in ogni regione. Spiccano la Toscana e la Provincia di Bolzano, che hanno praticamente bloccato l’attuazione, e il Veneto con la Sicilia, da subito paladine di un’applicazione generosa, con premi in cubatura dispensabili a qualsiasi tipo di edificio dovunque e comunque collocato. In pratica il piano casa regionale diventa una scorciatoia per risollevare le sorti del mercato edilizio, senza un’idea capace di muovere il settore fuori da una crisi che non è congiunturale».
Preoccupa anche la troppo generica indicazione energetica per ottenere l’ambito «premio» di volume. Molte regioni hanno stabilito un tetto massimo di mille metri cubi per gli ampliamenti. In Veneto, invece, non c’è mai limite.
Sebastiano Canetta, Ernesto Milanesi
il manifesto 22 ottobre 2009, p. 15
PIANO CASO ASSO PIGLIATUTTO
Lo ha varato il governo e lo realizzano le regioni. Nel nord est il piano casa aumenterà le cubature di cemento armato, già numerose. Bastano per garantire abitazioni a tutti fino al 2022. Il problema, semmai, è nel campo dell’edilizia popolare. Che resta indietro. E intanto peggiora l’orma ecologica
VENEZIA
Un piano casa perpetuo, che di fatto è operativo da oltre vent’anni. Il sacco edilizio di città e campagna perennemente appaltato al partito dei «calce-struzzi». Una colata continua di condomini, capannoni, magazzini e centri commerciali, che fa balzare il Veneto in cima alla classifica delle regioni più edificate. E’ la transizione dalla scintillante «locomotiva» del Nord Est alla partita doppia della betoniera.
Con l’implosione dell’impresa familiare e il default delle logistiche strozzate dalla stretta del credito, il cemento armato rimane l’unica «benzina». Fonte «naturale» di guadagni, rendite, favori e voti; strutturalmente al riparo dagli scossoni di ogni mercato. Funziona al di là della recessione e degli schieramenti politici.
Il Veneto gioca la partita della crisi puntando (ancora) sull’asso pigliatutto del mattone. Alimentando una bulimia edilizia patologica, che divora migliaia di ettari di territorio ogni anno. Oltre 290 milioni di metri cubi di edifici residenziali direzionali e commerciali costruiti dal 1983 al 2006 sono il bilancio dell’economia «impalcaturiera» del Nord Est imbullonata sulle gru. Cemento armato che si traduce in un giro di appalti milionario: più che vitale per enti locali preoccupati di raddrizzare bilanci votati al rosso. Ma anche per l’affollato giro d’affari di costruttori e immobiliaristi con l’acqua alla gola. Muove la cazzuola dell’edilizia «in chiaro» e stende anche la malta di quella «criptata». Politicamente è la «colla» dell’ unico vero «partito del Nord».
L’effetto collaterale è un territorio irrimediabilmente degradato, banalmente omologato dal Bellunese al Polesine, violentato nei tratti somatici dell’identità non solo paesaggistica. Sotto i metri cubi di calcestruzzo, acciaio e bitume spariscono per sempre campi, paludi e aree boschive. Insieme alla rete idrica, «stuprata» da passanti, bretelle, raccordi e direttissime.
Il piano casa regionale varato a luglio spara il colpo di grazia al precario equilibrio ecologico. Sulla carta, il provvedimento non serve. Il patrimonio immobiliare dei 581 comuni veneti copre il fabbisogno abitativo fino al 2022, immigrati compresi. «Nelle sole province di Padova e Treviso le aree urbane ormai corrispondono al 20% del territorio. Una quantità enorme che non ha eguali in nessun altra regione italiana» spiega Sergio Lironi, urbanista di Legambiente. Sul tavolo, i dati del Centro ricerche economiche sociali di mercato per l'edilizia e il territorio e gli studi della Cassa edile artigiana veneta: dal 1999 al 2008 quasi 340 mila nuove abitazioni. Sono 135 milioni di metri cubi di cemento armato.
«E’ il risultato della filosofia dell’urbanistica contrattata, del caso per caso e giorno per giorno. Una gestione dei piani caratterizzata da continue varianti e deroghe ha consentito l’arrogante prevalere degli interessi privati delle grandi società immobiliari dando via libera alle logiche speculative – denunciano gli ambientalisti - La città tentacolare si è sparpagliata nel territorio cancellando luoghi identitari, risorse ambientali e beni culturali. E degradando la qualità del vivere quotidiano».
Ma non c’è solo il lato B della mitologica polis diffusa: a puntellare l’ossatura edile c’è soprattutto la sconfinata melassa di capannoni, centri commerciali, attrezzature «di servizio» e «rurali» solo nei registri dei catasti.
Un boom mai regolato nemmeno dal «libero» mercato, volontariamente sordo al paradigma domanda-offerta. Nel lustro 2002-2007 sono stati costruiti oltre 114 milioni di metri cubi in depositi e magazzini poi svuotati dalla crisi. Si è edificato troppo (oltre 275 metri cubi per ogni nuovo abitante) e male: «La dispersione insediativa ha distrutto risorse naturalistiche, agronomiche e paesaggistiche fondamentali, con tipologie e costi che non corrispondono alla domanda reale, usando tecnologie obsolete non adeguate agli standard energetici e di comfort ambientale stabiliti dall’Unione europea» puntualizzano a Legambiente. Con un lassismo «colposo» da parte di enti locali pronti a incamerare Ici e oneri di urbanizzazione barattando pezzi del territorio.
L’incredibile numero di varianti urbanistiche presentate nel solo 2005 rende l’idea di una morbosa frenesia costruttiva: 1.276 richieste di scostamento dai piani comunali (+ 220% rispetto alla media degli anni precedenti) fanno impressione. Si appoggiano a 389 Piruea (piani di riqualificazione urbanistica e ambientale) attuati nel biennio 2005-2006: la soluzione più semplice per accontentare la voglia di «villettopoli» dei veneti.
Chilometri di bifamiliari a schiera, versioni economiche di Milano2 e residence metropolitani diventano però un miraggio per chi vive sulla soglia della povertà. Immigrati, giovani coppie e pensionati affollano le graduatorie degli alloggi popolari.
Domande sostanzialmente inevase. Le cifre della Direzione regionale per l’edilizia abitativa registrano un migliaio di assegnazioni a fronte di 16.500 richieste. Nei comuni schiacciati dalla tensione abitativa è una lotteria: il 99% di chi chiede una casa ad affitto calmierato non riceve risposta. Per ora, gli enti locali riescono ad arginare l’esercito di poveri ufficialmente conclamati: 20 mila potenziali morosi schivano lo sfratto grazie ai contributi pubblici.
Dal 2002 al 2007, le volumetrie ultimate hanno superato gli 89 milioni di metri cubi. Uno stock di tutto rispetto: dovrebbe bastare ad accomodare circa 600 mila nuovi abitanti, compresi i 78 mila immigrati del Trevigiano. Senza contare lottizzazioni già approvate e concessioni da tempo operative.
Cinque anni fa la deregulation edilizia era parsa un’enormità perfino a palazzo Ferro-Fini, tanto che la legge urbanistica regionale del 2004 limitava le aree agricole trasformabili in terreni con altra destinazione d’uso. «Uno stop praticamente inutile: perché consentirà comunque di sottrarre all’agricoltura altri 93 milioni di metri quadrati nei prossimi 10 anni» osservano gli ambientalisti.
L’impatto della valanga di lottizzazioni si rileva calcolando l’impronta ecologica rilasciata da 4,9 milioni di veneti. La misura del territorio biologicamente attivo per equilibrare produzione, consumo, assorbimento dei rifuti ed emissioni inquinanti è un’efficace cartina di tornasole. Ne risulta un’«orma» abbondantemente oversize: 6,43 ettari equivalenti per abitante fanno impallidire la media nazionale ferma a quota 4,3.
E poi c’è l’impatto atmosferico della «betoniera» a ciclo continuo: 1,9 milioni di abitazioni emettono 7,2 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Basterebbe mettere a norma i fabbricati per risparmiare all’ambiente 4, 4 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Ma a Nord Est non si cambia rotta. Per Legambiente «Il piano casa si rivela un sistema di regole diverso in ogni regione. Spiccano la Toscana e la Provincia di Bolzano, che hanno praticamente bloccato l’attuazione, e il Veneto con la Sicilia, da subito paladine di un’applicazione generosa, con premi in cubatura dispensabili a qualsiasi tipo di edificio dovunque e comunque collocato. In pratica il piano casa regionale diventa una scorciatoia per risollevare le sorti del mercato edilizio, senza un’idea capace di muovere il settore fuori da una crisi che non è congiunturale».
Preoccupa anche la troppo generica indicazione energetica per ottenere l’ambito «premio» di volume. Molte regioni hanno stabilito un tetto massimo di mille metri cubi per gli ampliamenti. In Veneto, invece, non c’è mai limite.
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