Corriere della Sera 11.3.09
Una mostra a Cà Foscari
I legami Già nel '400 la Serenissima aveva rapporti con il Corno d'Africa
L'influenza Uno sviluppo artistico segnato dai pittori inviati dai Dogi
Il tesoro d'Etiopia
Venezia riscopre l'Impero del Leone con l'arte della Chiesa delle Origini
di Martina Zambon
Esistono mostre atipiche. Come questa che sceglie un versetto del Cantico dei Cantici come titolo, «Nigra sum sed formosa» per invocare la maestosa figura della Regina di Saba, mostra nata e cresciuta all'interno di un ateneo con la collaborazione, però, di una banca. Un tema «di nicchia», l'arte sacra della cristiana Etiopia, presentato da un ologramma come guida, un iPod touch per orientarsi fra manoscritti, reportage filmati, antichi oggetti liturgici. Un viaggio possibile, forse, solo a Venezia, porta misteriosa fra Occidente e Oriente, fra Europa e Africa. Cinque secoli prima che Picasso «scoprisse» lo spigoloso carisma dell'arte africana dipingendo le sue «Demoiselles d'Avignon», il sodalizio commerciale e culturale fra Venezia e l'Etiopia scintillante di icone e croci astili era già consolidato. Ed ecco la prima grande mostra italiana dedicata all'arte millenaria dell'Etiopia. La scelta di ospitarla a Venezia è sembrata naturale, già nel '400 la Serenissima instaurò un rapporto molto solido con il regno che dominava il Corno d'Africa. Tanto da inviare laggiù i suoi pittori che avrebbero impresso un'impronta indelebile allo sviluppo artistico etiope.
L'Etiopia, in cui ancora oggi sussiste una sorta di chiesa delle Origini, degli Apostoli, costituisce un unicum visto che, rapidamente, l'impero del Leone si trovò circondato da popoli islamici. L'esposizione racconta questa storia affascinante a partire dai suoi protagonisti: la Regina di Saba; il re Lalibela (sec. XII-XIII), da cui prende nome la città santa costruita sulle montagne del Lasta, la «Nuova Gerusalemme». E poi ancora, il re Zar'a Yâ'qob che, nel XV secolo, aprì decisamente alle presenze occidentali; il pittore veneziano Nicolò Brancaleon, detto Marqorêwos (Mercurio), documentato alla corte dei re Eskender e Lebna Dengel fra XV e XVI secolo.
Ad accompagnare i visitatori nella mostra allestita a Ca' Foscari sarà il professor Stanislaw Chojnacki, patriarca degli studi moderni sull'arte etiopica, o meglio, sarà il suo ologramma a grandezza naturale. Il filo narrativo parte dal piano terra che avviluppa il visitatore con fotografie, filmati e colonna sonora per arrivare alle acqueforti di Lino Bianchi Barriviera sulle chiese rupestri fatte erigere dal re Lâlibalâ. Scorci e decorazioni di questi edifici sono proiettati sulle pareti delle sale adiacenti al salone d'ingresso, sul cui soffitto, invece, viene proiettato una sorta di rotolo magico. Nella sala di collegamento al piano superiore si incontrano le vetrine con croci astili di squisita fattura. Protagonista indiscusso del secondo salone è il Mappamondo di Fra Mauro, capolavoro cartografico della Biblioteca Marciana, concesso, per la prima volta in prestito esterno.
Dalla cartografia ai libri, il secondo salone si impreziosisce con codici miniati e rotoli magici. Quattro sale contigue allineano decine di icone, per lo più inedite, dal XV al XIX secolo. Un'intera sala è, invece, dedicata a Nikolaus Brancaleon, il pittore veneziano inviato dal doge in Etiopia nell'ultimo scorcio del '400. In mostra il bellissimo dittico del Museo etnologico di Zurigo attribuito alla sua bottega.
Prestiti internazionali prestigiosi resi possibili dalla curatela dei professori Giuseppe Barbieri dell'Università Ca' Foscari di Venezia, Gianfranco Fiaccadori della Statale di Milano, dell'architetto Mario Di Salvo, direttore della Fondazione Montandon di Sierre (Canton Vallese) per una mostra promossa da Università Ca' Foscari di Venezia, Regione Veneto e Banca Popolare FriulAdria-Crédit Agricole che, dopo eventi come Pordenonelegge e altre esposizioni d'arte, si propone come partner continuativo per la fruizione dell'arte secondo un taglio innovativo, quello della multimedialità d'avanguardia.
Una mostra a Cà Foscari
I legami Già nel '400 la Serenissima aveva rapporti con il Corno d'Africa
L'influenza Uno sviluppo artistico segnato dai pittori inviati dai Dogi
Il tesoro d'Etiopia
Venezia riscopre l'Impero del Leone con l'arte della Chiesa delle Origini
di Martina Zambon
Esistono mostre atipiche. Come questa che sceglie un versetto del Cantico dei Cantici come titolo, «Nigra sum sed formosa» per invocare la maestosa figura della Regina di Saba, mostra nata e cresciuta all'interno di un ateneo con la collaborazione, però, di una banca. Un tema «di nicchia», l'arte sacra della cristiana Etiopia, presentato da un ologramma come guida, un iPod touch per orientarsi fra manoscritti, reportage filmati, antichi oggetti liturgici. Un viaggio possibile, forse, solo a Venezia, porta misteriosa fra Occidente e Oriente, fra Europa e Africa. Cinque secoli prima che Picasso «scoprisse» lo spigoloso carisma dell'arte africana dipingendo le sue «Demoiselles d'Avignon», il sodalizio commerciale e culturale fra Venezia e l'Etiopia scintillante di icone e croci astili era già consolidato. Ed ecco la prima grande mostra italiana dedicata all'arte millenaria dell'Etiopia. La scelta di ospitarla a Venezia è sembrata naturale, già nel '400 la Serenissima instaurò un rapporto molto solido con il regno che dominava il Corno d'Africa. Tanto da inviare laggiù i suoi pittori che avrebbero impresso un'impronta indelebile allo sviluppo artistico etiope.
L'Etiopia, in cui ancora oggi sussiste una sorta di chiesa delle Origini, degli Apostoli, costituisce un unicum visto che, rapidamente, l'impero del Leone si trovò circondato da popoli islamici. L'esposizione racconta questa storia affascinante a partire dai suoi protagonisti: la Regina di Saba; il re Lalibela (sec. XII-XIII), da cui prende nome la città santa costruita sulle montagne del Lasta, la «Nuova Gerusalemme». E poi ancora, il re Zar'a Yâ'qob che, nel XV secolo, aprì decisamente alle presenze occidentali; il pittore veneziano Nicolò Brancaleon, detto Marqorêwos (Mercurio), documentato alla corte dei re Eskender e Lebna Dengel fra XV e XVI secolo.
Ad accompagnare i visitatori nella mostra allestita a Ca' Foscari sarà il professor Stanislaw Chojnacki, patriarca degli studi moderni sull'arte etiopica, o meglio, sarà il suo ologramma a grandezza naturale. Il filo narrativo parte dal piano terra che avviluppa il visitatore con fotografie, filmati e colonna sonora per arrivare alle acqueforti di Lino Bianchi Barriviera sulle chiese rupestri fatte erigere dal re Lâlibalâ. Scorci e decorazioni di questi edifici sono proiettati sulle pareti delle sale adiacenti al salone d'ingresso, sul cui soffitto, invece, viene proiettato una sorta di rotolo magico. Nella sala di collegamento al piano superiore si incontrano le vetrine con croci astili di squisita fattura. Protagonista indiscusso del secondo salone è il Mappamondo di Fra Mauro, capolavoro cartografico della Biblioteca Marciana, concesso, per la prima volta in prestito esterno.
Dalla cartografia ai libri, il secondo salone si impreziosisce con codici miniati e rotoli magici. Quattro sale contigue allineano decine di icone, per lo più inedite, dal XV al XIX secolo. Un'intera sala è, invece, dedicata a Nikolaus Brancaleon, il pittore veneziano inviato dal doge in Etiopia nell'ultimo scorcio del '400. In mostra il bellissimo dittico del Museo etnologico di Zurigo attribuito alla sua bottega.
Prestiti internazionali prestigiosi resi possibili dalla curatela dei professori Giuseppe Barbieri dell'Università Ca' Foscari di Venezia, Gianfranco Fiaccadori della Statale di Milano, dell'architetto Mario Di Salvo, direttore della Fondazione Montandon di Sierre (Canton Vallese) per una mostra promossa da Università Ca' Foscari di Venezia, Regione Veneto e Banca Popolare FriulAdria-Crédit Agricole che, dopo eventi come Pordenonelegge e altre esposizioni d'arte, si propone come partner continuativo per la fruizione dell'arte secondo un taglio innovativo, quello della multimedialità d'avanguardia.
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