sabato 14 giugno 2008

La donna manager di duemila anni fa

La donna manager di duemila anni fa

La Repubblica — 21 ottobre 2001 pagina 29

ESTE - Era ricca, molto ricca, un' industriale del tessuto nella migliore tradizione veneta. Era potente, godeva di un prestigio indiscusso. E forse era single. Diversamente non si spiega quella sua tomba grande, bella e isolata. Non c' è uomo accanto a lei, non c' è tomba di famiglia a tramandare il prestigio di una stirpe. Chi ha mai detto che la donna veneta era tutta casa e chiesa? La tomba di Nerka Trostiaia, nobildonna vissuta a Este nel III secolo a.C., racconta una storia che sorprenderebbe anche noi oggi. Una storia che traspare, palpabile, da ogni particolare di questa sorta di casa in lastre di pietra fedelmente ricostruita al Museo archeologico di Este, il "tempio" indiscusso delle antiche genti venete. Dentro la "casa", le "stanze". Da un lato la camera da letto, con la situla in bronzo contenente le ossa della defunta, ricche stoffe e splendidi gioielli in oro, argento, ambra, osso. Poi l' angolo del banchetto con vasi, coppe, brocche, bicchieri. Al centro il simbolo della casa, il focolare, con gli alari, le pinze, e il coltello e l' ascia per macellare gli animali al banchetto. Infine la "bottega" con tutti gli attrezzi simbolici in bronzo per filare e tessere (quelli veri erano in legno) e persino il telaio in miniatura. Accanto, un bellissimo sedile in bronzo con decorati a sbalzo dei cavalli in corsa: i famosi cavalli veneti, ricercatissimi nel mondo antico. Non c' è tomba tra le migliaia scoperte a Este e Padova, le due "capitali" indiscusse dei Veneti antichi, che possa competere con quella di Nerka. Per farle spazio, il cimitero preesistente fu totalmente sventrato. I gioielli celtici, i vasi etruschi da banchetto e il cratere attico che campeggia all' esterno parlano della mentalità "internazionale" della nostra signora. E la sua importante bottega era forse un vero atelier. Chissà se la nostra Nerka era una "firma" dell' epoca. Dopotutto, le venete erano famose per le loro vesti ricche e raffinate. Vesti che venivano chiuse in vita da cinturoni in bronzo stretti, pesanti e decoratissimi. Esaltavano le forme. «Per essere bella devi soffrire», dicevano le nostre nonne. E pure le nostre antenate. Perché le Venete erano sì madri di famiglia e signore del focolare, ma seguivano da vicino il marito in tutti i suoi impegni pubblici. Delle perfette first ladies, che assolvevano appieno il compito di esibire il prestigio e la ricchezza della famiglia con un guardaroba sempre aggiornato e gioielli raffinati, all' ultima moda. Sapevano anche scrivere, scrivevano tantissimo. Basta immergersi nell' atmosfera ovattata della sala dei santuari al museo di Este, per vedere le migliaia di stili scrittori in bronzo dedicati alla dea Reitia, la signora del pantheon veneto (una donna~). Portano inciso il nome delle donatrici, tutte donne. E le tavolette con l' alfabeto dicono che al santuario c' era una vera e propria scuola di scrittura, forse per giovani sacerdotesse. Donne potenti, indipendenti, intraprendenti. Ma chi erano queste Venete così singolari? E chi erano i Veneti, popolo ricchissimo e anomalo nell' Italia antica? Erano "diversi" perché venivano dall' Oriente, si dice. Lo dicevano Livio e Virgilio, raccontando di quegli Enetoi della Paflagonia, terra sul Mar Nero, che giunsero in soccorso dei Troiani sotto le mura della città assediata e poi, sconfitti, seguirono Antenore fino a Padova. Un racconto che piace molto ai Veneti d' oggi, trasforma in ritorno alla origini sia l' espansione della Serenissima che la ricerca di mercati orientali degli industriali moderni. Non per niente l' estate corsa un gruppo di ciclisti padovani ha percorso a ritroso la via degli antenati. Bello il logo: guerrieri troiani marciano da est, moderni ciclisti vanno loro incontro. Ma sarà verità o leggenda? «Propenderei per la leggenda», commenta la direttrice del museo di Este Mariangela Ruta. «Noi archeologi partiamo sempre da ciò che troviamo sottoterra, e leggiamo miti e racconti alla luce delle nostre scoperte. Non c' è traccia, nei ritrovamenti del periodo di formazione della civiltà veneta (verso il 1000 a.C.), dell' arrivo di gente diversa. Mentre certe analogie tra i centri del Veneto esistevano già». Niente sogno orientale dunque, ma la storia forse ancor più affascinante di una terra ricca e di passaggio, attraversata da autostrade (vie dell' ambra e dei metalli) sin dalla preistoria. Storia di un popolo che ha saputo creare grandi porti e mercati, e una solidità non solo economica ma anche politica, sociale e culturale. Ha accolto un po' tutti, le genti del nord come i marinai micenei e poi greci, gli Etruschi e infine i Romani, ma rimanendo sempre forte e unito. Tanto che nel IV secolo a.C. ha saputo resistere sia all' assalto dei Celti (si sono stabiliti tutt' intorno, ma in Veneto no) che ai Greci dello spartano Cleonimo. Ha creato una regione i cui confini sono più o meno quelli del Veneto odierno, un caso di persistenza davvero unico nel panorama italiano. Ha creato una propria arte, l' arte delle situle, con un linguaggio figurativo e narrativo del tutto originale. E forse dell' altro. «La famosa situla Benvenuti, come anche uno splendido cinturone scoperto di recente a Padova, narrano per certo dei miti», spiega Ruta. «Che non sono però i grandi miti mediterranei, ma piuttosto miti di propaganda dell' aristocrazia locale, un' epica tutta veneta». Poi però subentrarono ragioni di marketing, che trovarono peraltro d' accordo Veneti e Romani. I primi volevano nobilitare le proprie origini agli occhi del mondo, gli altri ancorare a radici mitiche un' amicizia stretta e proficua. Antenore come Enea, Padova come Roma.
CINZIA DAL MASO

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