domenica 25 maggio 2008

Bellotto & Canaletto, due veneziani a Torino

l’Unità 25.5.08
Zio e nipote, maestri nel genere delle vedute, per la prima volta faccia a faccia in una mostra
Bellotto & Canaletto, due veneziani a Torino
di Ibio Paolucci

Lo zio e il nipote: faccia a faccia, per la prima volta, in una mostra. Tutti e due vedutisti, tutti e due veneziani, tutti e due fra i maggiori artisti del Settecento europeo. Lo zio, Antonio Canal detto il Canaletto, nacque a Venezia il 28 ottobre 1697, figlio di Bernardo, pittore scenografo. Ma presto lasciò la guida del padre, dedicandosi al genere di pittura che gli avrebbe portato fortuna e che lo avrebbe fatto diventare un grande maestro e l’astro più luminoso del vedutismo veneziano.
Il nipote, Bernardo Bellotto, nato a Venezia il 20 maggio 1722, fregiatosi anch’esso del titolo di Canaletto, ebbe come primo maestro lo zio, dal quale ricevette preziosi insegnamenti e, da lui, all’inizio, apprese un eguale modo di dipingere, uno stesso stile, tanto che molti quadri vennero attribuiti, indifferentemente, sia all’uno che all’altro. Ben presto, tuttavia, il Bellotto seppe trovare una sua strada, molto personale e diversa da quella dello zio. Diversi anche i percorsi. Mentre il Canaletto, con l’eccezione di una parentesi londinese, rimase sempre nella sua citta natale, il Bellotto, ancora giovanissimo, poco più che adolescente, cominciò a girare per l’Italia e per l’Europa, facendo tappa a Roma, Firenze, Milano, Torino, Vienna, Dresda, Monaco, per poi fermarsi per una diecina di anni a Varsavia, dove cessò di vivere il 17 novembre del 1780.
A tutti e due è dedicata una magnifica rassegna in corso a Torino: centodue le opere fra dipinti e disegni prestate da collezionisti privati e da musei di tutto i mondo (ben 22 i pezzi provenienti da Londra, dalla Royal Collection). Quel genere di pittura, naturalmente, non è nato con loro anche se con loro e con Francesco Guardi è stato portato alla perfezione. Prima di loro Giuliano Briganti parlò di un disegno dell’olandese Gerard Ter Borch il Vecchio, la cui veduta della via di Santa Sofia, del 1609, rivela «un rigore ed un’obiettività che non esiterei a definire canalettiana». E dell’Olanda del Seicento è pure quella superlativa veduta di Delft firmata da Vermeer, considerata da André Gide il più bel quadro del mondo. Non molto prima di loro, per non parlare di altri, operò in Italia Gaspard van Wittel (1653-1736), le cui vedute godettero dell’ammirazione dello zio e del nipote. Epperò le stelle più brillanti furono loro. Charles de Brosses, nel 1799, scrisse nel suo libro sull’Italia che il Canaletto, nel genere delle vedute, «supera tutto ciò che è mai esistito», osservando, fra l’altro, «che gli inglesi hanno viziato a tal punto qesto artista offrendogli per i suoi quadri tre volte di più di quanto ne chiede egli stesso, che non è più possibile comprare nulla da lui». La Venezia dei due artisti, pur avviata sul viale del tramonto, poteva ancora fregiarsi del titolo di «Serenissima» e anche di «Dominante». Napoleone e il trattato di Campoformio, che tante lacrime fece versare a Ugo Foscolo, non erano alle porte. Venezia era ancora una grande potenza, il cui splendore era oggetto delle opere degli artisti. Ma del Bellotto sono pure famosissime le vedute di altre città italiane ed europee. E mentre nel Canaletto si trova una luminosità calda, armoniosa, quasi sensuale, per dirla con Rodolfo Pallucchini, nel Bellotto il segno è più concreto, soprattutto più vero, più portato a esaltare, con razionale verità, i dettagli della realtà. Più intensa e trasparente la luce, maggiore il gusto narrativo, al punto che Roberto Longhi, forzando un po’ la mano, allaccia il suo linguaggio a quello dei grandi scrittori russi dell’Ottocento. Più pertinente, forse, è il rapporto delle opere dei due veneziani con l’universo dell’Illuminismo, inteso come comprensione della realtà attraverso il lume della ragione, e, se si pensa alla musica, con le sublimi armonie di Mozart. Di entrambi, comunque, è la estrema cura dei particolari, sia pure illuminati con luce diversa. Bellotto, distaccatosi dallo zio già nelle giovanili vedute lombarde (splendide quelle della Gazzada del 1744, quando ha da poco compiuti i vent’anni) e in quelle piemontesi (superba la veduta sul Po della Sabauda del 1745), perverrà ai vertici della sua arte nelle vedute di Vienna, Dresda, Varsavia. Di Dresda, in particolare, colpita a morte nel febbraio del ‘45 da un barbaro e inutile bombardamento aereo inglese che provocò oltre centomila morti, non si cesserebbe mai di guardare le ammirevoli, affascinanti vedute della città di allora.

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