sabato 10 maggio 2008

ARCHIVIO DI STATO Nuovi documenti sul Mantegna

ARCHIVIO DI STATO Nuovi documenti sul Mantegna
Sabato, 6 Gennaio 2007 , Il Gazzettino online

Cinque i nuovi ritrovamenti tra i 39 documenti pubblicati, portati alla luce da Francesca Fantini D'Onofrio nel suo "Omaggio ad Andrea Mantegna pittore padovano". Un volumetto edito da Canova per conto dell'Archivio di Stato di Padova, di cui la Fantini è direttore, grazie anche al sostegno di Inner Wheel Sibilla de Cetto, UniCredit e Regione Veneto, che conta un centinaio di pagine e ha il merito di riprodurre la foto di tutte le pergamene, quasi un invito a decifrarne gli angoli nascosti per aggiungere novità alle vicende del sommo artista d'Isola di Carturo. Un monito anche a prestare maggior attenzione ai documenti, tramite un accurato restauro, utili a rivelare la vita di Padova quattrocentesca, in gran parte da scoprire. Anzitutto quello che parla (28 novembre 1438) della dote della montebellunese Vendramina, domestica di Antonio Ovetari e consorte, nel 1440, di Tommaso, fratello di Andrea Mantegna. Ammontava a circa 100 ducati d'oro in cose e beni immobili. Curioso che tra i testimoni ci fosse il notaio Sicco Polentone, umanista e grande storico di Padova. Il secondo, datato 20 febbraio 1440, parla della riconsegna della dote da parte di Biagio Mantegna alla nuora Vendramina che va ad abitare in via San Fermo, accanto agli Ovetari. Il terzo descrive il testamento, l'11 luglio 1456, di Tommaso, languente di lebbra nell'ospedale di San Francesco, che dona cento lire ai poveri infermi e istituisce sue eredi le figlie minorenni Caterina e Isabella, nominandone tutore e curatore il fratello Andrea. C'è poi quello del 26 maggio 1472, il più "imbarazzante" per gli storici, in cui Antonio Brugnara afferma di conoscere Tommaso e Andrea e di ritenerli fratelli, figli del fu Biagio che vendeva "panes in plateis et faciebat bolzonos". Vocabolo quest'ultimo che farà scrivere fiumi d'inchiostro.
Infine il testamento, stilato il 9 ottobre 1447, di Bartolomeo da San Biagio fu Gregorio, che nomina sua erede la fraglia di Sant'Antonio e ordina sia completata la pala d'altare che stava facendo eseguire, da porre sopra l'altare maggiore della chiesa di Santa Sofia. Da ognuno però dei documenti, tutti iconograficamente inediti, si possono trarre notizie che la Fantini sbocconcella, stuzzicando l'appetito degli amanti delle vicende padovane. Si può così capire che è perlomeno inesatto parlare di "fame" e di "deep country" nel caso di Biagio, Tommaso e Andrea Mantegna. Il capofamiglia era «marangone», artista, quindi; Tommaso era «sarto e ricamatore» e Andrea enfant prodige, che presto fece soldi. Le pecore Andrea l'avrà solo viste, mai pascolate! Papà e figlio primogenito lavoravano a servizio degli Ovetari e risulta probabile che il marangone abbia preparato al figlio anche le cornici delle prime sue pale. Una famiglia, quella Mantegna, che non ha mai patito la fame, che anzi, da numerosi documenti, ha possessi su campi e case. Interessante l'ultimo documento del 14 ottobre 1458 in cui appare il tredicenne Giovanni Battista fu Michele da San Clemente, che, tramite il fratello Martino, chiede ad Andrea Mantegna d'imparare l'arte, con un apprendistato di sei anni, pagando annualmente 15 lire, per divenirne così l'unico discepolo storicamente noto. Avverando quanto afferma lo Scardeone circa la permanenza di Andrea presso Squarcione e del modo di agire dei maestri, non certo "sfruttatori".

Al.Pe.

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