martedì 20 maggio 2008

Un playboy nella Venezia del '700

Il Gazzettino, 20/05/2008, pagina 17
Nella "Raccolta de proverbii" del nobile decaduto Francesco Zorzi Muazzo, uno sguardo curioso alla quotidianità nella Serenissima
Un playboy nella Venezia del '700
Dalle partite a carte sulle donne nude alle bettole che Goldoni non ebbe il coraggio di raccontare
di Chiara Pavan

Quel «gran zarlatan de Carlo Goldoni» lo irritava nel profondo: «se giama reformador», in realtà «lo diravve distruttor del teatro comico venezian». Molto meglio i conti Gozzi, «l'uno dei quali se giama Gasparo, e l'altro Carlo, fradelli, per altro omeni onesti tutti e do e molto letterati». Anche lui, in fondo, si sente onesto e letterato nello svelare «le parti essenziali della mia prima morosa che gavea nome Zanetta. La gavea un bel musetto tondo e le più belle fattezze, una bella testa de cavei biondi e fini...le ganasse tanto de sotto quanto de sora piene, do sguardi intel viso che pareva do pomi da riosa, bellissima carnagion, denti de latte, un senato stupendo e lussurioso...».

Difficile sfuggire alla verve e alla vis dissacratoria del venezianissimo Francesco Zorzi Muazzo (1732-1775), nobile curioso, vivace e appassionato sciupafemmine che dedicò tutta la sua breve vita (morì a soli 45 anni) ad una immensa "Raccolta di proverbii, detti, sentenze, parole e frasi veneziane, arricchita d'alcuni esempii ed istorielle". Più di mille pagine - molte delle quali davvero piccanti - dalle quali affiorano volti, sguardi, ragionamenti spiccioli e di buon senso, modi di dire, ma soprattutto usi e costumi di un città osservata dal basso. Un mondo che si mescola ai ricordi personali, ai pettegolezzi, a pittoresche e esilaranti descrizioni di incontri, eventi, ambienti e angoli di un universo che Muazzo sentiva profondamente suo.

Più di «mille fogli volanti» finiti per caso nell'Archivio Storico di Venezia e infine approdati nelle mani di Franco Crevatin, docente di Etnolinguistica all'università di Trieste, che per cinque anni ha studiato, analizzato e rivisto il manoscritto concludendo il lavoro avviato dall'amico e collega Paolo Zolli, l'italianista che per primo aveva analizzato il testo negli anni Settanta. Curata da Crevatin, la "Raccolta" - pubblicata adesso dalla Fondazione Cini, Regione Veneto e Angelo Colla editore (69 euro) - rappresenta un imperdibile viaggio nella Venezia che Goldoni non ha voluto raccontare, «diciamo l'altra faccia del '700 cui non siamo abituati» conferma lo studioso che regala anche un utilissimo indice conclusivo per aggirarsi con facilità tra i "nomi di persona", le "cose notevoli" e i luoghi di Venezia segnalati da Muazzo. «Goldoni raccontava i popolani che non dicevano mai parolacce, osservava cicisbei o cavalieri serventi estremamente servili e cortesi. Una Venezia, per quanto artisticamente ricca e innovativa, per certi versi anche un po' stucchevole. Invece Checco Muazzo osserva la sua città senza fronzoli», le case in cui piove dentro, i rifiuti gettati dalla finestra, l'igiene sempre "poco igienica", le malattie, i mestieri, le osterie, senza temere le parole forti o le situazioni spinte. Basta sfogliare la "Raccolta" per imbattersi nella schiena nuda di una prostituta usata da tre amici come tavolo da gioco, oppure osservare la moglie tradita che evira il marito «castigandolo in quella parte ove el peccava». Ecco una candela "sadomaso" per amanti focosi, il parente che si distingue «a far el magnamarroni, o sia el ruffian», il bell'«andamento» delle dame mentre camminano, «che bel visin, che bel sestin e grazietta, e che da quel che se pol ricavar dall'esterno, che bella cosetta mollesina che la gaverà in mezzo le so culattine».

Il piglio è divertito e irriverente, il linguaggio esplicito e diretto: Muazzo ama Venezia, ma non chiude gli occhi davanti a ciò che non funziona. Denuncia e irride gli speculatori, gli imbroglioni, i corrotti (una voce che occupa diverse pagine), ricolizza medici ciarlatani, gli avvocati azzeccarbugli, prende in giro gli ipocriti, il clero, i supponenti, spiega come aggirare le norme amministrative della Serenissima. Muazzo si rende conto che i nobili, pur rubando come matti, la fanno sempre franca, mentre i poveri diavoli vengono sempre frustati come niente. «La Raccolta aiuta a rileggere la storia di Venezia - osserva lo studioso nella sua illuminante introduzione al testo (arricchita dalla biografia di Erica Uliana e dalla una nota sulla grafia di Muazzo di Ivina Gorra Gusmani) - E ci conduce per la città, ci porta al mercato, consiglia le migliori "fritole", indica le bettole dove il vino è buono o annacquato, i negozianti che truffano. Si tratta di un testo ricchissimo, che rappresenta anche un grande omaggio al dialetto di Venezia». Ma non va neppure dimenticata «la lettura umana» della "Raccolta". Muazzo è un uomo che ama pericolosamente il vino, le belle donne e il gioco d'azzardo, un playboy del tempo «che in un certo senso vive già nel futuro, l'epoca della rivoluzione francese». E da gran bevitore e frequentatore di osterie, Muazzo si mette spesso nei guai: risse, sbornie, scoppi d'ira, comportamenti violenti si susseguono per tutta la sua esistenza, e queste «gravi intemperanze» lo portano ad entrare ed uscire dagli ospedali, Santo Spirito e San Servolo, dove gli Inquisitori di Stato lo spediscono sempre con maggior frequenza e con la benedizione dei familiari. Eppure, tra una reclusione e l'altra, tra le malattie che lo provano - malattie veneree, le piattole, fino alla "febbre maligna e infiammazione delle viscere" (probabilmente cirrosi epatica) che lo uccide - Checco Zorzi Muazzo non perde mai di vista la sua Raccolta. Un testo «che ci parla della fine di un uomo che si fonde e trascolora nel tramonto della Serenissima Repubblica di San Marco». E chi avrà la pazienza di addentrarsi tra queste coloratissime pagine, non potrà che divertirsi: «Avrò letto la Raccolta sei sette volte - assicura Creatin - la conosco quasi a memoria, ma ogni volta che la prendo in mano continuo a ridere. Spero che anche i veneziani possano divertirsi e apprezzarla, sentendo risuonare una voce soffocata a suo tempo».

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