lunedì 28 aprile 2008

ARTE NASCOSTA. Vicenza ha un tesoretto sepolto in buie cantine

ARTE NASCOSTA. Vicenza ha un tesoretto sepolto in buie cantine
Venerdì 31 Agosto 2007 il Giornale di Vicenza

Molte domande sul perché tanto patrimonio riemerso dalla storia non possa essere pubblicizzato e messo a disposizione del pubblico

Ritrovamenti e donazioni rimaste sempre nell’ombra costituiscono di fatto un “museo che non c’è” della nostra città
Il medagliere: circa 30 mila pezzi d’epoca romana, medievale e non solo, tenuti nei cassetti
Alcuni mosaici rinvenuti durante scavi sono ancora nei sotterranei di Padova in attesa di catalogazione
Vicenza in effetti poggia su fondamenta romane: la Piazza è alta per questo


Roberto Luciani
C’è un tesoretto che magari non farà ingolosire il ministro Padoa-Schioppa ma che di sicuro farebbe la felicità di turisti, studiosi e, perché no, pure di tanti vicentini.
È il tesoretto delle 30 mila fra monete e medaglie conservate nei magazzini del Museo civico cittadino nonché di tutti quei reperti - come ad esempio le 300 anfore ritrovate durante gli scavi di contrà Mure Pallamaio o i reperti provenienti dal Teatro Berga - mestamente accatastati nei sotterranei di palazzo Chiericati o in qualche cassa nei chiostri di S. Corona. In attesa per la maggior parte di una catalogazione e tutti di uno spazio espositivo che probabilmente non arriverà mai. Con tanti saluti anche alla memoria e alle radici.
IL MUSEO CHE NON C’È. Si fa presto a dire che Vicenza non dovrebbe essere solo Palladio. La storia del medagliere è annosa ed emblematica. Già sei anni fa se ne parlava. Un patrimonio splendido e importante di circa 30 mila pezzi, talora rari se non unici, d’epoca romana, medievale, gota, bizantina, veneziana e non solo. Proveniente gran parte da donazioni e anche da scavi, solo per 2000 di questi si è riusciti a fare uno studio approfondito, come conferma la pubblicazione dell’opuscolo “Storia della Moneta a Vicenza”. Esposti per qualche tempo, sono però presto ritornati anche loro nei cassetti, compresi i 94 denaretti medievali donati dal commendatore Gaetano Rossi di Piovene con la disposizione che fossero visibili a tutti. Un museo virtuale. Stessa sorte per le oltre mille medaglie papali catalogate e illustrate dai ricercatori Renato Zironda e Armando Bernardelli, e raccolte in uno splendido volume in carta patinata dal titolo “Il medagliere dei Musei civici di Vicenza. Le medaglie papali”. Potranno essere consultate solo dai ricercatori e previa domanda scritta, inutile cercarle nelle sale museali. Sottratti agli occhi del turista e dei vicentini. Per non parlare degli eccezionali reales de a ocho o “maltagliati” spagnoli d’argento delle zecche sudamericane di Lima e Potosi. Rinvenuti agli inizi del secolo scorso a Gambellara e, pare, donati con lettera dallo Stato al Museo civico di Vicenza, sono stati trasferiti quasi d’imperio negli anni ’90 alla collezione Cà d’Oro di Venezia senza essere mai transitati in una bacheca berica. Le domande allora sorgono spontanee. A cominciare da quella se chi ha richiesto tale trasferimento avesse in realtà i titoli per farlo e per spostarle da Vicenza. Ma perché non organizzare una sala espositiva al riguardo, vista la presenza di un esperto numismatico nella pianta organica (il dott. Bernardelli) e del direttore scientifico Zironda? E perché, ancora, non trasformare questi progetti sporadici, realizzati benissimo dai due esperti di cui sopra grazie anche all’intervento delle Fondazioni bancarie, in una attività organizzata e continuativa, che spieghi finalmente cosa c’è nei cassetti?
Dubbi e domande, poi, sorgono spontanee anche nelle sale della pinacoteca, dove, nelle giornate torride di questa estate, la temperatura raggiungeva i 35-40 gradi per mancanza di aerazione tanto da rendere necessario un cartellino di avvertimento per i visitatori e, pare, pure qualche fazzoletto zuppo d’acqua per non svenire. Chiusa al pubblico la sezione medievale - pare per infiltrazioni - nelle 23 sale, fra le quasi 100 tele esposte, colpisce la mancanza di una sezione moderna. Il viaggio si ferma all’800. Ma dov’è finita allora la collezione Neri Pozza? Per non parlare di quella Vicenza Romana che sopravvive sconosciuta nei sotterranei cittadini e di palazzo Chiericati. Eppure basta recarsi al Museo diocesano e in Cattedrale per rendersi conto di un’altra realtà.
E LE SOPRINTENDENZE? Batti un colpo se ci sei, verrebbe da dire. Soprattutto per quanto riguarda la Soprintendenza dei beni archeologici di Padova. Nei Quaderni archeologici della Regione, editi dal 1985 ad oggi in collaborazione con l’Ente, su Vicenza città c’è davvero pochissimo. E quasi nulla riguardo all’epoca romana. Eppure rinvenimenti importanti ne sono stati fatti, basti pensare agli scavi dei Filippini e di S. Biagio, in cui sono state riportate alla luce domus con fontane e giardini, e a quelli di via Mure Pallamaio. «In effetti - sottolinea Mario Giulianati, presidente della Biblioteca civica - da S.Michele a venire in su Vicenza poggia su fondamenta romane. La stessa piazza dei Signori, anticamente della Ragione, è più alta di diversi metri proprio per questo motivo». Tanto che quando fu rifatta la pavimentazione si scoprirono vestigia che si decise di ricoprire per la mancanza dei soldi necessari - centinaia e centinaia di milioni - per procedere. Cose note e purtroppo occasioni anche turistiche mancate per tentare, come succede nella vicina Trento, un recupero dell’antica Vicetia articolato e fruibile dai visitatori. Ciò che purtroppo non si riesce comunque a vedere è tutto il materiale scavato e affidato alla Soprintendenza. Copioso e probabilmente anche di pregio, come ad esempio alcuni mosaici.
Dovrebbe essere ancora nei sotterranei di Padova in attesa di catalogazione. Ed il condizionale vale anche per la tipologia dei reperti, visto che dagli uffici patavini, contattati telefonicamente, non si ha comunicazione di documentazioni pubbliche al riguardo. È vero che il Veneto è un vasto cantiere archeologico, però fa effetto trovare, sui quaderni di cui sopra, una vasta produzione di articoli sulle altre province.
Non resta allora che attendere.
Sperando magari di riuscire a vedere un giorno esposte, almeno su qualche catalogo, queste testimonianze del nostro passato. Certo è che se turisticamente è duro vivere di solo Palladio, figurarsi tirare avanti senza memoria, come una cittadina qualsiasi dell’Oklahoma.

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