venerdì 11 aprile 2008

Colli Euganei Mutazione (ir)reversibile

VENETO - Colli Euganei Mutazione (ir)reversibile
Fausto Pezzato
Corriere del Veneto 10/04/2008

Alla deturpazione dei Colli Euganei, uno dei siti naturali più belli della regione e del Paese, questo giornale ha dato ampio risalto. Una scelta spontanea, determinata, penso, dalla sintonia che l'informazione (o parte di essa) ha mantenuto con le istanze civili che il mercato da solo raramente rappresenta. Dagli anni delle cave all'attuale «villettamania», il semicerchio di colline che sovrasta Abano Terme non ha avuto tregua. Complice della corsa indiscriminata alla seconda casa, proprio nel poetico contesto petrarchesco, è stato un malinteso «istinto turistico». A malapena si è riusciti a sottrargli un'area pomposamente definita Parco, a sua volta in balia degli affaristi. I colleghi cronisti hanno già fornito ai lettori i dettagli di questa amara vicenda. E se oggi ne parliamo ancora, a poche ore dalle elezioni, è anche perché essa rimanga nella memoria degli elettori. I Colli Euganei, infatti, sono un esempio incontestabile dell'italico vezzo di predicare bene e razzolare male. Da una quindicina d'anni, almeno, ci siamo sentiti ripetere fino alla nausea che i valori di questa nostra terra sono sacri e inviolabili: sui medesimi, con annessi e connessi, si è addirittura insediato un movimento politico ancora oggi pronto a imbracciare i fucili per difenderli. Occorre citare sigle e nomi? Non credo.
Piave, il fiume della Patria, e la testa nella politica e/o nella speculazione, i campioni del «venetismo» duro e puro (non da soli, è ovvio) poco o nulla hanno fatto per evitare che sui valori degli avi, cioè sul paesaggio ereditato, calasse la crosta di una modernità becera e avida, spinta soprattutto dal bisogno di monetizzare la bellezza. Il Veneto idealizzato, esistente ormai soltanto nelle favole televisive, è stato trasformato in un groviglio di svincoli autostradali, di caotiche estensioni urbane, di capannoni, di centri commerciali. Con la fattiva collaborazione delle varie categorie interessate e il pesante silenzio degli abitanti: il mito della produzione e del lavoro (come del resto era accaduto molti anni prima a Marghera) ha dato una mano agli artefici di una mutazione irreversibile. Chi poteva perdere il sonno, su un simile sfondo, per la sorte degli Euganei? Solo qualche sopravvissuto esemplare della tribù ecologica, che, perseguitato da una coscienza implacabile, ha continuato a predicare nel deserto e a farsi prendete per i fondelli. Bisogna aggiùngere per onestà che se oggi messer Francesco si rivolta nella tomba, la colpa non può essere scaricata soltanto sulle spalle della classe dirigente più pittoresca dlta-lia, dislocata sulla pianura Padana dove da un ventennio ci fa una testa così con i suoi riti celtici. C'è una responsabilìtà generale nell'«euganicidio»: la degenerazione del costume con le relative, brutali ricadute; ha via via tolto dalla scena quella che un tempo chiamata opinione pubblica e che era l'espressione della coscienza sociale, borghese finché si vuole ma pur sempre portatrice di una cultura degna di questo nome.

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